Del: 18 Febbraio 2023 Di: Nina Fresia Commenti: 0

Nella notte fra 5 e 6 febbraio una scossa di magnitudo 7.8 ha colpito il sud della Turchia e il nord della vicina Siria. L’epicentro è situato nella provincia turca di Kahramanmaras, il cui omonimo capoluogo, che conta oltre un milione di abitanti, è per metà raso al suolo. E tra le centinaia di scosse di assestamento, nel corso della mattinata è stata avvertita una seconda forte scossa di magnitudo 7.5. Se questi numeri non fossero sufficienti per comprendere l’entità della catastrofe, basti dire che la prima scossa è stata circa cinquecento volte più intensa del sisma ad Amatrice nel 2016, la sua potenza ha attivato l’allerta maremoto in Italia e ha causato lo spostamento del suolo anatolico di 3 metri.

Sono oltre 40mila i morti in Turchia e Siria, mentre secondo quanto riportato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan sarebbero più di 8mila coloro tratti in salvo da sotto le macerie.

E anche ad oltre 200 ore di distanza dal sisma i soccorsi continuano a scavare per trovare sopravvissuti, come nel caso di una madre e i suoi figli che hanno resistito dieci giorni sotto ad un palazzo crollato. Sono proprio le immagini di questa flebile speranza in mezzo all’inferno a fare il giro del mondo: un neonato estratto vivo dagli edifici crollati dopo 120 ore, una bambina appena nata salvata con ancora il cordone ombelicale attaccato al corpo senza vita della madre, due fratellini abbracciati sotto le macerie che ricevono soccorso.

Decine di paesi ed organizzazioni internazionali si sono prontamente mobilitati per prestare aiuto nelle zone terremotate del territorio turco. Tuttavia, gli ostacoli verso il raggiungimento delle zone colpite dal sisma da parte dei soccorsi hanno fortemente rallentato le operazioni di salvataggio. Molti aeroporti, infatti, sono stati chiusi per i danni riportati a seguito del terremoto, riducendo i movimenti in entrata e uscita dal paese e costringendo chi arriva a muoversi anche per lunghe distanze su gomma. Dai reportage di alcuni giornalisti emergono le difficili condizioni climatiche da affrontare per raggiungere l’epicentro del terremoto: forti nevicate e gelo rendono le strade difficilmente praticabili. Alcuni percorsi non possono essere seguiti perché, sostanzialmente, non esistono più, dilaniati dal sisma o ostruiti dalle macerie.

Oltre alle oggettive difficoltà nelle attività di soccorso, la risposta alla catastrofe data dal governo turco sembra aver destato malcontento nella popolazione. Molti cittadini hanno lamentato una scarsa organizzazione e un’eccessiva lentezza nell’aiutare gli abitanti delle aree colpite dal terremoto, spesso condividendo foto e video sui social network, inevitabilmente diffuse in tutto il paese e non solo. E pare sia stato proprio questo a portare il governo turco ad ordinare un blocco di Twitter in tutto il paese. Non sarebbe la prima volta che la piattaforma viene resa inutilizzabile durante situazioni emergenziali e di crisi. 

Ma se, nonostante i ritardi, aiuti e soccorsi sono stati inviati alla Turchia sia da parte del governo locale che da altri paesi, in Siria lo scenario è completamente diverso. A tutte le complicazioni rilevate in Turchia, bisogna sommare la difficile situazione di guerra civile che prosegue da oltre dodici anni tra il governo di Bashar al Assad e gli oppositori ribelli (tra cui gruppi catalogati come terroristici dalle Nazioni Unite) che detengono il controllo della zona nord-ovest del paese.

La natura, però, non bada agli scontri politici: sono stati colpiti indistintamente i due territori e gli aiuti sono necessari ad entrambe le parti.

Il fatto che il paese versasse già in condizioni disastrate non fa che amplificare gli effetti del sisma, si pensi agli affollati campi profughi o alle epidemie che decimano le popolazioni dei villaggi. 
Sulla Siria gravano una serie di sanzioni volte ad indurre il presidente a risolvere la situazione conflittuale vissuta dal suo territorio, e ciò renderebbe difficile l’arrivo di aiuti internazionali. Il timore di Stati Uniti e Ue è che Assad approfitti in modo distorto della sospensione delle sanzioni e contemporaneamente benefici delle risorse in arrivo senza distribuirle nelle zone ribelli o usandole come arma di ricatto. Sono, però, numerose le richieste di allentare le sanzioni così da poter inviare il prima possibile aiuti in Siria: Onu, organizzazioni umanitarie e persino la Cina.

A tre giorni di distanza dal sisma, Assad ha garantito all’Unione Europea che avrebbe spartito gli aiuti ricevuti anche con le aree controllate dai suoi oppositori. Ed è così che gli Stati Uniti decidono di agire, sia pure con cautela: è stato deciso di sospendere per la durata di sei mesi una sanzione per facilitare l’arrivo di aiuti umanitari. Nonostante inizialmente fosse stato deciso che gli aiuti alle zone ribelli non sarebbero potuti arrivare da oltre la frontiera ma solo attraverso il paese, il 14 febbraio è arrivato dalla Turchia il primo convoglio internazionale nella parte di Siria non controllata dal governo. Vista l’intransitabilità del valico di Bab al Hawa (solitamente unica strada percorribile dalle organizzazioni internazionali), è stato autorizzato il passaggio attraverso quello di Bab as Salama. 

La situazione si starebbe quindi sbloccando, ma ogni lentezza e ritardo non ha fatto che aggravare l’emergenza umanitaria.

Rimane cruciale, ora che le operazioni di soccorso e salvataggio stanno giungendo al termine, pensare al dopo: alla ricostruzione, al ricollocare le famiglie sfollate, al prestare supporto ai sopravvissuti, specialmente alle migliaia di orfani. Le premesse non sono delle migliori: stando a quanto riportato dalle autorità siriane, la città di Marea è stata bombardata da parte del governo di Damasco nelle ore successive al sisma. Ripartire dopo un terremoto è un’impresa: servono i fondi, servono i mezzi e serve molto tempo. Ma ripartire dopo un sisma di questa portata e simultaneamente combattere una guerra comporta il rischio di rimanere bloccati in un’insostenibile situazione di stallo. Anche in Turchia la lotta politica tra Erdogan e opposizione non fa che distogliere l’attenzione dalla difficile ricostruzione da attuare, dal profondo lutto di tutto un paese da affrontare. E dovrebbe essere interesse dell’intera comunità internazionale che questi due paesi si riprendano, perché senza ricostruzione la paura è quella di scivolare in un’interminabile spirale di miseria che potrebbe causare più danni di ciò che l’ha generata.

Nina Fresia
Studentessa di scienze politiche, curiosa per natura, aspirante giramondo e avida lettrice con un debole per la storia e la filosofia. Scrivo per realizzare il sogno della me bambina e raccontare attraverso i miei occhi quello che scopro.

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