Del: 10 Marzo 2023 Di: Beatrice Balbinot Commenti: 0
Difficoltà nella carriera vere o presunte: la mail del Dipartimento di Filosofia solleva polemiche.

Pubblichiamo qui di seguito l’esperienza di una studentessa del primo anno della laurea magistrale in Scienze Filosofiche nel nostro Ateneo, relativa al servizio riguardante “problematiche e difficoltà relative alla carriera”.


Immaginate di aprire la vostra casella di posta elettronica dell’università e trovare una mail da parte del vostro dipartimento con questo oggetto: «Convocazione a colloquio per valutazione problematiche e difficoltà relative alla carriera». La mail prosegue offrendovi un colloquio per parlare delle vostre «difficoltà accademiche», dedotte aprioristicamente da un fantomatico ritardo nel conseguimento dei CFU durante il primo semestre.

Quale sarebbe la vostra reazione? Lucia (nome di fantasia), studentessa del primo anno in Scienze Filosofiche alla Statale, ha reagito con indignazione.

Lucia lavora sodo per mantenersi da sola a Milano mentre studia, ma trova lo stesso il tempo di andare al colloquio proposto dal dipartimento per capire cosa avessero da ridire sulla sua carriera universitaria. Come era lecito aspettarsi dalle dubbie premesse, la chiacchierata non va benissimo: il professore che ha organizzato l’incontro apre la discussione con degli incrollabili dati statistici: è stato osservato come gli alunni che non conseguono 15 crediti durante il primo semestre sono più propensi ad abbandonare l’università. La Statale non vuole che ciò accada, per cui monitora le carriere dei suoi studenti e offre questi colloqui per comprendere come arginare una situazione di difficoltà prima che sia troppo tardi.

Lucia fa presente al professore che i suoi tre lavori inevitabilmente sottraggono tempo allo studio, oltre a ricordargli la laurea triennale conseguita a dicembre, tra l’altro con un ottimo risultato, proprio in Statale. La cosa sembra interessare poco. Il docente chiede di essere ricontattato nel caso in cui entro la fine dell’anno Lucia non avesse raccolto almeno 30 CFU, in modo da poter studiare una soluzione ai suoi «problemi».

Il racconto di quanto accaduto a Lucia non può che lasciare perplessi, soprattutto alla luce dei tragici avvenimenti che hanno toccato il sistema universitario nelle ultime settimane. Come anche il professore che ha tenuto il colloquio ha rimarcato, le intenzioni della Statele dovrebbero essere lodevoli, cioè quelle di venire in aiuto ai ragazzi e alle ragazze che sono in effettiva difficoltà con il proprio percorso di studi e aiutarli a risollevarsi. Il metodo utilizzato però fa acqua da tutte le parti, dal concetto di fondo veicolato dalla mail e dal colloquio al tipo di approccio agli studenti. In primo luogo si dà per scontato, senza alcuna giustificazione apparente se non la mera statistica, che il mancato conseguimento di 15 crediti nel primo semestre di magistrale sia già da considerarsi un ritardo tanto drammatico da richiedere l’intervento speciale – e non richiesto – del dipartimento.

Il risultato non è affatto quello di offrire delle soluzioni a studenti disorientati, soluzioni che infatti Lucia non si è vista proporre durante il suo colloquio, ma solo quello di aggiungere un’ulteriore scadenza alle già tante e pressanti dead line che la vita impone. Sembra poi implicito nel discorso emerso durante il colloquio che un’eventuale rinuncia agli studi vada percepita come un evento apocalittico nella vita di una persona, da scongiurare a tutti i costi.

Eppure può tranquillamente capitare di accorgersi di aver sbagliato strada e di voler ricominciare, di volere qualcosa di diverso o, perché no, di preferire già da subito il mondo del lavoro.

«L’università non vuole questo», diceva il professore. Ma talvolta lo può volere, a pieno diritto, lo studente e questa possibilità andrebbe accettata e normalizzata, non bollata come un fallimento personale. Oltre a queste problematiche di fondo, si scorgono anche diversi errori di metodo e di applicazione. Nella mail si parla chiaramente di un monitoraggio delle carriere, ma quale attento monitoraggio si sarebbe lasciato scappare il conseguimento di una laurea triennale a pieni voti nello stesso Ateneo? A questo si aggiunga il fatto che molti altri studenti iscritti allo stesso corso di Lucia e nella medesima situazione accademica non hanno mai ricevuto la mail. Se, come detto e ribadito durante il colloquio, l’intenzione è quella di venire incontro agli studenti in difficoltà, appare chiaro che l’Università non sta facendo un buon lavoro.

L’impressione è più quella di uno screening randomico e superficiale, in cui viene offerto “aiuto” solo a pochi, tra l’altro con i toni di chi ha fretta di far sembrare che tutti i problemi siano risolti, piuttosto di trovare un modo per risolverli davvero. Se l’intenzione è quella di aiutare gli studenti, ci si aspetterebbe almeno che l’università cerchi di aiutarli tutti. Infine, leggendo la mail e osservando il tenore del colloquio, l’impressione è davvero quella di un messaggio automatico mandato senza la minima considerazione di chi c’è a leggerlo dietro lo schermo, senza alcun tipo di sforzo alla comprensione e alla personalizzazione dell’approccio allo studente. Come a dire: «non importa se ti mantieni da solo, se fai sport ad alto livello, se hai altre attività che ti tengono impegnato o se sei in un momento di crisi, l’importante è che tu prenda 15 crediti nel primo semestre, perché così sì che va tutto bene!».

Durante il colloquio è stato addirittura suggerito di accettare tutti i voti che capitano, pur di arrivare ai 30 CFU entro la fine dell’anno. Come è arrivata a Lucia, la mail poteva essere letta, e forse lo è stata, da uno studente o da una studentessa già in crisi per i risultati ottenuti nel primo semestre: all’ansia delle scadenze autoimposte si aggiunge allora l’ansia di scadenze inventate e tirate in ballo proprio quando meno ce n’era bisogno, mentre il sospetto di non essere abbastanza aumenta giorno per giorno e si insinua nelle crepe degli obbiettivi, disintegrandoli.

Non c’è alcun motivo, indipendentemente da cosa si faccia nella vita, per credere che non conseguire 15 crediti nel primo semestre, non laurearsi in tempo, non trovare subito lavoro sminuisca in qualche modo il valore personale.

Lo studio si deve adattare alla mente, alle esigenze, alla persona, non viceversa: questo sarebbe un messaggio più gradito, cara Università. E forse per aiutare davvero a superare certe crisi legate allo studio, che spesso accadono senza che nessuno le noti, la soluzione sta già tutte nelle parole di Lucia, che durante il colloquio ha consigliato di pubblicizzare di più lo sportello psicologico gratuito della Statale. Il servizio esiste già da qualche anno ed è attivo, con tempi non rapidissimi ma nemmeno infiniti: si richiede attraverso la mail servizio.counseling@unimi.it e consiste in un primo appuntamento conoscitivo via Teams, da cui poi ci si accorderà per il percorso più adatto allo studente.

Tale iniziativa, molto pregevole, è poco conosciuta dagli studenti e sarebbe, se potenziata e sponsorizzata, un’ottima alternativa a colloqui depersonalizzanti tesi solo ad assicurarsi che lo studente si sbrighi a recuperare il tempo perso. Quando il corpo delle 19enne sudamericana è stato ritrovato senza vita nel bagno dell’Università IULM a seguito di un probabile suicidio, ci siamo chiesti di chi fosse stata la colpa. Della società, ci siamo risposti: una società che richiede degli automi nati e cresciuti per il lavoro, che ti giudica se non rispetti i tempi e che carica sulle spalle di tutti aspettative e date di scadenza impossibili. Le stesse risposte ce le siamo date quando abbiamo letto sui giornali la storia di Diana Biondi, morta suicida con un esame di latino arretrato che non le permetteva di laurearsi.

Sono storie drammatiche che sicuramente intersecano solo parzialmente la carriera universitaria delle vittime, ma che ci hanno fatto riflettere su quanto siano improponibili e malati certi ritmi a cui il mondo ci sottopone. Ma invece di chiamare in causa sempre queste identità superiori, “il mondo“, “la società“, “il sistema universitario”, pensiamo a che cosa, nel piccolo, ciascuno di noi, ciascuna università e ciascun dipartimento, può fare per alleggerire il carico di pressione a cui i ragazzi sono sottoposti.

Se la colpa è di tutti finisce che non è di nessuno e tutto rimane invariato, spinto da un’inerzia che nessuno denuncia.

Qualcosa invece si può fare e talvolta non bisogna nemmeno inventarsi nulla di nuovo: basterebbe magari far conoscere a tutti uno sportello psicologico già esistente, riconoscere che non andiamo tutti allo stesso ritmo, ammettere che il valore personale non si misura in CFU.

Beatrice Balbinot
Mi chiamo Beatrice, ma preferisco Bea. Amo scrivere, dire la mia, avere ragione e mangiare tanti macarons.

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