Mercoledì scorso, al solito bar vicino all’università, in una breve pausa tra una lezione e l’altra, il caffè è arrivato accompagnato da un biscotto a forma di scarpa con il tacco. L’idea era senza dubbio quella di omaggiare le clienti donne nella Giornata Internazionale della Donna. In un primo momento, non ci si fa nemmeno troppo caso, sgranocchiando senza pensieri la pasta frolla. Prima di addentare il profilo appuntito del tacco, però, ci si può soffermare un po’ meglio sulla forma, ormai acefala, del biscotto.
Una scarpa con il tacco. Una metonimia: quella scarpa era lì a simboleggiare la figura femminile, facendosi rappresentante di tutte le donne. Subito vengono in mente numerose locandine di eventi che vengono organizzati annualmente in occasione di un’altra ricorrenza importante, la Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne, il 25 novembre. I tacchi rossi disposti per le strade delle città diventano uno strumento di denuncia, che grida giustizia, a voce ben più alta di un innocuo biscotto appoggiato sul piattino del caffè vicino allo zucchero. Anche in quel caso si crea una diretta connessione tra legame tra le donne e le scarpe con i tacchi.
Alla vista di quelle scarpe rosse, nessuno ha il minimo dubbio riguardo il messaggio che si vuole lanciare. Nell’immaginario collettivo, i tacchi rappresentano le donne.
Può quindi scappare un sorriso se si pensa che uno dei primi a lanciare la moda del tacco fu Luigi XIV, che in uno dei suoi ritratti più famosi calza proprio dei tacchi rossi. Alla corte del Re Sole, i tacchi erano un simbolo di privilegio politico: solo chi li indossava poteva accedere a corte. Il colore non è casuale: la vernice rossa era molto costosa. I tacchi poi esprimevano anche nella pratica il concetto di potere e supremazia, annunciando l’arrivo di chi li indossava con il “tacchettio”, il rumore prodotto dalla scarpa nel colpire il suolo.
Se ancora oggi il rosso ai piedi delle persone spesso indica una calzatura costosa, lo dobbiamo a Christian Louboutin. Lo stilista si è ispirato direttamente al Re Sole per i vari modelli di scarpe dalla suola rossa, che ha dato un segno distintivo alle calzature firmate Louboutin.
Chi ha fatto dei tacchi un simbolo della femminilità è stata Maria Antonietta. Se fosse nata in tempi moderni, sarebbe diventata la protagonista di “I love shopping”: pare avesse un’ossessione per il collezionismo di gioielli, vestiti, cappelli, e soprattutto scarpe col tacco. La sovrana arrivò a possedere centinaia di paia di tacchi; coi tacchi amava dilettarsi a corte, nell’acquisto di tacchi spendeva gran parte del suo patrimonio e coi tacchi ai piedi si diresse verso la ghigliottina dove trovò la morte, all’alba della Rivoluzione Francese. Il luogo di nascita dei tacchi comunque non è di certo la Francia settecentesca.
Prima di essere simbolo di ricchezza e di femminilità, i tacchi sono stati un pezzo di attrezzatura militare.
I tacchi servivano ai cavalieri per acquisire maggiore stabilità, assicurando il piede alla staffa durante le battaglie. Lo stesso scopo hanno nelle calzature dei cowboy: gli stivaloni del far west hanno sempre un tacco importante. In un mondo in cui le donne non potevano nemmeno cavalcare con una gamba per lato, i tacchi, utilizzati soprattutto in ambito militare e cavalleresco, di certo non erano oggetto di loro competenza. Donne e tacchi continueranno ad essere due mondi sconnessi fino a Maria Antonietta, prima della quale le calzature alte erano simbolo di potere e aristocrazia nelle corti francesi, di nuovo qualcosa a cui le donne non potevano avere accesso.
I tacchi morirono con Maria Antonietta sotto l’accetta, uccisi con la sovrana che li aveva tanto amati, per poi rinascere più di un secolo dopo in una veste completamente diversa. Compaiono infatti ai piedi delle ballerine di Can Can, un ballo selvaggio e sensuale, diventando così simbolo di sfrenatezza e sensualità. Il fenomeno delle pin-up durante la Prima Guerra Mondiale non fa che accrescere la fama dei tacchi come attributo sessuale, strumento di seduzione e valorizzazione delle gambe lunghe.
La rottura tra mondo maschile e tacchi è portata dall’Illuminismo, che sponsorizza l’uomo come essere razionale dedito al sapere, etichettando come frivolo tutto ciò che riguarda la moda. Nel diciassettesimo secolo, gli uomini che si curano del loro aspetto estetico, come “fop”, “dandy e “macaroni”, sono oggetto delle dure critiche culturali; i tacchi escono così dall’armadio maschile. Anche alla corte papale il tacco è mal visto: il tacco modifica artificialmente l’altezza dell’uomo, andando contro il disegno divino. Chi li indossa pecca della presunzione di potersi elevare più in alto di quanto voluto da Dio. Le scarpe dei papi presentano quindi un tacchetto molto basso, senza abbandonare il colore rosso, ricorrente in numerosi momenti della storia dei tacchi attraverso i secoli.
È con Marylin Monroe che i tacchi si affermano come simbolo della femminilità. Il “ghost writer” di questa storia è Salvatore Ferragamo, che diviene il calzolaio per eccelenza delle dive di Hollywood. La celebre scena di Quando la moglie va in vacanza, in cui l’attrice indossa dei tacchi firmati Ferragamo, consacra definitivamente i tacchi come simbolo delle donne. Da Marylin in poi, i tacchi non sono soltanto le scarpe delle dive, diventano di tutti: delle bambine nelle fiabe, Dorothy e le sue scarpette rosse, delle super-eroine, Catwoman e i suoi stivaloni in vernice, delle super-star della musica internazionale, le armadillo di McQueen indossate da Lady Gaga, delle principesse, le scarpette di Cristallo di Cenerentola e naturalmente delle attrici, tra cui sarebbe ingiusto non citare le kitten heels di Audrey Hepburn e le Manolo Blahnik della protagonista di Sex and the City.
Se in passato erano i re a portare tacchi rossi, nel mondo del cinema moderno è il diavolo a indossare i tacchi a spillo color sangue, un diavolo che veste Prada, impersonato da Meryl Streep.
Il tacco che compare nella locandina della pellicola diventa iconico ed incarna perfettamente il legame tra indole sensuale e determinata della donna e la calzatura che va affermandosi nella società.
I tacchi tornano nel mondo maschile negli Anni Sessanta, con la Rivoluzione dei Pavoni. Così come accade nel mondo animale, i maschi iniziano a vestirsi in modo appariscente, per aderire meglio alla loro funzione biologica di seduzione. Tuttavia, non riusciranno mai davvero a riappropriarsi dei tacchi: resteranno qualcosa di riservato alle celebrità. I Chelsea boots di John Lennon, i trampoli di Elton John, gli stivali glitterati dei Kiss entrano nella storia, ma è una storia che appartiene solo alle rock-star e alle celebrità. Ecco che allora ancora oggi Damiano dei Maneskin con indosso i tacchi neri appare rock’n’roll e un uomo con i tacchi a spillo è additato quantomeno come trasgressivo. Anche dal punto di vista pratico, la scarpa con il tacco spesso non è accessibile all’uomo per questioni di dimensioni; in un qualsiasi negozio di scarpe in corso Buenos Aires per esempio è sicuramente più difficile trovare un tacco taglia 46 piuttosto che un classico 39.
Oggi i tacchi appartengono a tutti. Possiamo continuare a sfornare biscotti a forma di tacco l’otto marzo, ma questo simbolo deve essere un punto di forza, non una prescrizione. L’immaginario collettivo può giocare un ruolo importante nel combattere queste battaglie sociali: i simboli aiutano a identificare il problema, focalizzare l’attenzione, creare un manifesto. La sfida è lasciare fuori i pregiudizi che incasellano, in una società in cui il fluido è (o almeno dovrebbe essere) lo spirito guida.