Del: 24 Marzo 2023 Di: Gaia Martinelli Commenti: 0
Non sono più solo parole: dallo storytelling allo storydoing

                                               “We are all stories, in the end”

Siamo tutti storie alla fine, così, anche i brand. Soltanto che non vale più semplicemente raccontare; i discorsi, certo, hanno un peso, ma ciò che è determinante è l’azione effettiva conseguente. Un po’ come quando in una coppia “non contano le parole, ma i fatti”, i marchi sono chiamati a rispettare quanto proclamato dal loro storytelling, attraverso, appunto, lo storydoing. Quest’ultimo è infatti uno dei più recenti trend intercettati, ad esempio da Evercom nel 2019, destinato a ricoprire un ruolo cruciale per il successo di un’impresa.

l’Harvard Business Review riporta che le “storydoing companies are growing faster then their storytelling counterparts in revenue and share price”.

Dunque, è fondamentale che la narrazione sia seguita da un’attuazione effettiva. Infatti, lo storydoing non esclude affatto lo storytelling, rappresenta semmai una sua evoluzione: non sono più solo parole, ma azioni concrete.

Più precisamente lo storydoing si riferisce alla comunicazione dell’operato del brand in grado di coinvolgere ed appassionare i consumatori in tali attività al fine di generare un’interazione fruttuosa. L’impresa è quindi chiamata a “vivere attivamente la propria storia”, integrandola nello svolgimento routinario delle mansioni. Precisa David Natal nella “Conferencia Del Storytelling al Storydoing” che lo storydoing è l’arte di creare storie, non solo di raccontarle, che abbiano un valore concreto ed un impatto efficace nella società e nei singoli.


Non risulta più sufficiente per un brand captare e colpire il consumatore sfruttando il livello emozionale, come avveniva precedentemente con delle campagne pubblicitarie volte a diffondere un messaggio, spesso anche rilevante socialmente, ma occorre che il comportamento dello stesso rispecchi e si faccia portavoce di determinati credo diffusi ed urgenze comuni.  


Metastory is a story that is told through action. It is not a story that you say, it’s a story that you do. Every individual has one. And every company has one, too”. Si tratta, quindi, di fare la storia.


La storia parte dall’interno: per essere vincenti le imprese dovrebbero difatti sia assicurarsi che gli interessi dei suoi impiegati siano allineati ai loro sia dimostrarsi in grado di ispirare il proprio capitale umano. In effetti, quando i lavoratori interni ad una compagnia sono parte della storia, comprendono e condividono la mission e l’essenza di questo racconto, paiono essere più prodottivi e partecipi. Sono infatti i guardiani della storia oltre che i primi fan ed evangelisti.
Non solo, i business di successo riescono a far parlare di loro esteriormente e le loro storie sono dunque narrate anche da terzi. Così, alle loro azioni partecipano anche i clienti, succedono anche al di fuori delle stesse e divengono anche “customer stories”.

Secondo l’Harward Business Review esistono 6 caratteristiche cruciali che contraddistinguono “successful storydoing companies”: hanno una storia; la loro storia riguarda l’ambizione di rendere il mondo o la vita delle persone migliore; la loro storia è compresa e d’interesse per la seior leadership al di fuori del marketing; la loro storia viene utilizzata per guidare azioni tangibili nella compagnia come lo sviluppo dei prodotti, le campagne di HR, lo stipendio e così via; queste azioni contribuiscono ad una coesione complessiva; i consumatori ed i partners sono motivati ad interagire con la storia e la utilizzano in maniera attiva per portare avanti le proprie storie.

Elemento centrale è il fatto che il consumatore sia propenso a prendere parte alla storia, a farla sua, a condividerla con la sua cerchia, a parteciparvi e dunque a rafforzarla ed amplificarla.

I business per raggiungere un tale livello di engagement da parte del proprio target, ma anche ad ampio raggio da parte dei cittadini, ed ancor più in generale da parte della società in cui operano, dovranno creare esperienze utili ed attraenti, fornire nuovi prodotti, servizi e strumenti capaci di sostenere la narrazione che portano avanti.
Caso esemplare di “brand storydoing” è TOMS shoes, compagnia che ha incitato le persone a concludere un acquisto attraverso la promessa che la loro azione contribuisse ad una causa sociale: aiutare chi si trova in una condizione più svantaggiosa. Infatti, la storia costruita dall’impresa è mondiale, è civica, è sociale, è bella: per ogni scarpa comprata da un cliente ve ne è una donata dal marchio ai più bisognosi che non possono premettersela. Un oggetto, comunemente definito accessorio, è invece fondamentale: determina la salute di un essere umano. Protegge la sua salute da tagli, infezioni e malattie. E’ requisito mandatorio per essere ammessi all’interno delle strutture educative in varie nazioni, dunque, è sinonimo di accesso all’educazione. Inoltre, accompagna la persona in ogni passo, dal presente verso il futuro. Perciò TOMS shoes sostiene una causa inerente non soltanto alla povertà, ma anche alla salute, all’educazione, al futuro. Risveglia la sensibilità oltre che l’attenzione del cliente e lo guida verso una scelta caritatevole, onesta, migliore. Desta la sua emozione ma lo conduce verso un comportamento che ravviva il suo senso civile e la considerazione dell’altro, e così, del sé: favorisce il benessere collettivo.


Questo è il potere dello storydoing di successo, di una storia che viene narrata e costruita da un’impresa e a cui il consumatore appone un mattoncino, contribuendo così a rinforzare anche la casa in cui abita e convivono gli altri: il mondo, la società, l’intorno.

Si passa dall’engagement alla partecipazione attiva, coinvolta, vivida e cosciente del consumatore.

Si va oltre il conquistare il cuore del cliente, si caccia la sua mente. Si ispirano le persone a conoscere l’operato del brand affinché anche loro possano agire a riguardo. Si produce non soltanto un bene o un servizio, ma si costruiscono le condizioni per migliorare il presente ed il futuro. Come scrisse Rowling, “there is always a room for a story that can trasport people to another place”, e chissà che al di là di ipocrisie e falsità, tattiche meramente economiche velate da interesse sociale, blackwashing o greenwashing, il marketing davvero non contribuisca a rendere il domani un posto migliore. Basta forse una storia, non più fatta solo di parole, ma di atti concreti e convinti e specialmente, la volontà di scriverla insieme.

Gaia Martinelli
Gaia di nome e di fatto – ma non sempre. 22 anni di tramonti, viaggi e poesie. A tratti studio anche corporate communication presso la Statale di Milano. Scrivo di cose belle perché amo l'idea di diffondere bellezza.

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