Del: 15 Marzo 2023 Di: Giulia Scolari Commenti: 0
Oscar 2023: niente di nuovo sulla West Coast

Nella notte tra il 12 e il 13 marzo, in diretta dal Dolby Theatre di Los Angeles, si è svolta la 95esima edizione degli Academy Awards, più comunemente conosciuti come Oscar, condotta da Jimmy Kimmel. Dal 1929, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, è incaricata prima di selezionare le candidature e poi di assegnare i tanto ambiti premi Oscar.

Fondata da trentasei membri, tra cui attori, registi, sceneggiatori, tecnici e produttori, ad oggi sono 6000 le personalità dello spettacolo che fanno parte dell’Academy, tra cui figurano anche alcuni italiani, come Toni Servillo, Carlo Verdone, Pierfrancesco Favino, Francesca Archibugi e Cristina Comencini.

Oltre al giudizio meramente artistico sulle opere candidate, gli Awards sono un evento mediatico, basti pensare allo scorso anno. Molte critiche inondano ogni anno l’Academy, alcune positive altre negative, partendo già dalle nominations, seguite a ruota dalle vittorie. A volte, infatti, l’Academy è stata definita poco oggettiva, per quanto i giudizi possano effettivamente essere del tutto oggettivi.

Come previsto, Everything Everywhere All at Once si aggiudica ben sette statuette sulle undici nominations ricevute, tra cui Miglior Film, Miglior Attrice protagonisti, Miglior Attore e Attrice non protagonisti, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura originale.

La storia comincia con una famiglia immigrata dalla Cina agli Stati Uniti. Evelyn Quan (Michelle Yeoh) e Waymond Wang (Ke Huy Quan) sono i proprietari di una lavanderia e hanno una figlia giovane e ribelle, Joy Wang (Stephanie Hsu). Davanti ai piccoli drammi della vita quotidiana, come la dichiarazione dei redditi e l’organizzazione di una festa a sorpresa, il loro microcosmo sembra implodere. Nel pieno del caos, Waymond sembra diventare un’altra persona e rivela ad Evelyn di essere arrivato da un altro universo per prepararla a salvare il mondo da un pericoloso despota. La trama sembra per tutto il corso della pellicola destreggiarsi tra una comica fantascienza e il dramma, ma è impossibile distrarsi e perdere il filo. Il finale lascia senza parole e porta un messaggio che ottiene sempre successo: l’amore vero vince su tutto, in tutti gli universi umanamente possibili. Le interpretazioni di Yeoh e Quan sono eccezionali, ma spicca anche la giovanissima Hsu che sa far prendere vita al personaggio più complesso del film.

Con queste ultime premiazioni si conferma come film molto apprezzato da critica e pubblico, diventa d’obbligo aggiungere considerazioni sulla sua realizzazione: il budget si è aggirato intorno ai 14 – 25 milioni di dollari (pochi per un film di Hollywood) ed è stato girato in soli 38 giorni. Il tema era stato concepito intorno al 2010 – inizialmente il protagonista doveva essere un uomo, ma non risultava convincente – così fino al 2018 (quando è stata scelta per il ruolo Michelle Yeoh) non sono iniziati i lavori.

Nonostante sia stato apprezzato sia dal pubblico che dalla critica quasi all’unanimità, il film non è perfetto: il contrasto tra la profondità dei temi e la resa spesso demenziale, ma con elementi interpretabili nei due sensi al contempo per alcuni è stato forzato e poco credibile; la resa del multiverso è molto confusionaria; l’epilogo ha toni esistenziali e confronta visioni del mondo nichiliste e relativiste, con ribaltamenti prospettici e soluzioni all’apparente manicheismo. I più attenti si sono interrogati sui temi meno chiari: se gli universi alternativi dipendono da azioni o mancate azioni di Evelyn, come si spiegano gli universi in cui gli umani si sono evoluti diversamente e in cui sua figlia ha un diverso orientamento sessuale? Seppur cosciente delle proprie versioni alternative, Jobu Topaki è il nichilismo per antonomasia, dunque, perché si sente così offesa dall’omofobia di Evelyn verso un’altra versione di sé? inoltre molti denunciano una certa ripetizione nel film, sia in ciò che vuole dire sia in come lo dice, sfociando così in una parte centrale ripetitiva che, per il tipo di film che vuole essere, non si giustifica molto.

Il vincitore come Miglior Attore protagonista è invece Brendan Fraser con The Whale, che racconta la storia drammatica di un insegnante di inglese in condizioni di estrema obesità. In seguito ad un malore, Charlie (Brendan Fraser) si rifiuta di farsi visitare, nonostante i numerosi avvertimenti di Liz (Hong Chau), l’amica infermiera, che non gli nega il rischio che nella sua situazione corre a continuare a rifiutare le cure. Una pellicola molto emozionante, ma anche particolarmente forte da reggere, che si potrebbe definire intimista. Fraser ha ritirato il premio preso dall’emozione ed ha approfittato del ringraziamento per ricordare che la vittoria rappresenta per lui anche la soddisfazione di essere riuscito a tornare a fare ciò che ama dopo anni di guerra contro la depressione. Nonostante non siano mancate le polemiche riguardo al suo casting, Fraser ha dimostrato di essere un grande professionista.

Da sinistra: Ke Huy Quan, Michelle Yeoh, Brendan Fraser e Jamie Lee Curtis

Quattro vittorie anche per il film Netflix Niente di nuovo sul fronte occidentale, tra cui Miglior Film Internazionale, rappresentante della Germania. Terzo adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Erich Maria Remarque, diretto da Edward Berger è ambientato durante la prima guerra mondiale e racconta di Paul Bäumer, giovane ragazzo che si arruola volontario con alcuni suoi amici dopo aver sentito un discorso patriottico a scuola. La loro visione ideale della storia verrà sempre più smontata dalla crudeltà dei fatti, lo spettatore della pellicola sarà così costretto a vedere la discesa di un essere da ragazzo con obbiettivi e progetti a macchina sterile, disintegrata da troppa morte.

Anche il regista Guillermo del Toro ottiene la tanto ambita statuetta con il suo Pinocchio, Miglior film d’animazione, che batte altre pellicole comunque molto amate nella stessa categoria come Il Gatto con gli Stivali 2 e Marcel The Shell.

I premi tecnici invece, come Migliori Effetti Speciali e Miglior Sonoro sono stati assegnati rispettivamente ad Avatar. La via dell’acqua, un film che punta tutto proprio sulla tecnica (incassa 9 nomination su 9 ai VES Awards di febbraio, specie per le nuove tecniche di simulazione di acqua e onde, ma anche per la barriera corallina) e Top Gun: Maverick. A sorpresa, non portano a casa nessuna statuetta Elvis di Baz Luhrmann, vincitore invece di alcuni premi ai BAFTA, e Gli Spiriti dell’isola, che con le sue 8 nominations e le vittorie a BAFTA e Golden Globes era considerato tra i favoriti.  A mani vuote, anche se prevedibilmente, The Fabelmans di Steven Spielberg, nonostante fosse stato definito uno dei miglior film della sua carriera, toccante e molto personale. Anche l’eccezionale interpretazione di Cate Blanchett in Tàr non è stata premiata, nonostante la pellicola sia stata realizzata su misura per lei e fosse considerata una vincitrice sicura.

Molto dibattuto è stato il trattamento riservato a Babylon di Damien Chazelle: delusione per molti, speranza per altri, che questo film abbia ricevuto così poche nominations. La trama segue un gruppo di attori negli anni di transizione dal cinema muto al cinema sonoro, dove insieme al progresso tecnologico vi sono anche cambiamenti della società e del costume che si rivelano per molti ostacoli insormontabili. Babylon è un film che è tante cose insieme: un “Singin’ in the rain” in versione più drammatizzante (che, a differenza del film del 1952, non mostra solo l’avvento del sonoro, ma anche la conseguente nascita di una hollywood differente, come nell’estetica delle scene con Tobey Maguire); un’epopea in costume, che narra un’intera epoca e generazione tramite delle metonimie (in particolare quella di Brad Pitt). Molto si è ragionato su questa pellicola sregolatissima, visto da alcuni come un saggio di bravura di attori già famosi per ruoli simili, con un budget da brividi e un’abbondanza elefantiaca di tutto. È invece un film che si vuole porre in un momento di passaggio, con un messaggio chiaro: quando arriva il progresso, qualcuno deve rimanere indietro. Discorso che però per molti è stato criticato come vuoto, quasi tautologico e scontato che non funziona quindi con un impianto così barocco. Anche se la trama ha un che di drammatico, il film è in realtà abbastanza comico ed enfatico nei toni. Certe scene emozionano, prima fra tutte l’uscita di Margot Robbie. Altre hanno fatto storcere molto il naso, come la visione agiografica che viene data del set durante il muto oppure la visione non realistica della consapevolezza della rivoluzione del muto. Il finale racchiude un inno al cinema, al progresso, all’arte che sa cambiare – e cambiare con – la società, in un film sregolato dalle molte problematiche.

Insomma, che possano essere oggettivi o meno, e rispecchiare le opinioni del pubblico, gli Oscar rimangono, e rimarranno, sempre uno degli eventi più importanti per il mondo cinematografico. Grazie all’Academy molti film, che magari nel nostro piccolo non andremmo mai a vedere, viene suscitata anche molta curiosità, tanta voglia di conoscere e, soprattutto, di tornare al cinema.

Giulia Scolari
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