Del: 6 Marzo 2023 Di: Giulia Scolari Commenti: 0

In occasione dei 110 anni dalla nascita di Robert Capa (22 ottobre 1913), il Mudec rende omaggio al grande fotografo ungherese con una mostra personale che ripercorre i principali reportage di guerra e di viaggio che Capa realizzò durante vent’anni di carriera, anni che coincisero con i momenti cruciali della storia del Novecento. Realizzato grazie alla collaborazione con l’agenzia Magnum Photos, la mostra – curata appositamente per il Mudec – riunisce un eccezionale corpus di fotografie: oltre 80 stampe fotografiche, alcune delle quali mai esposte prima in una mostra italiana, accompagnate da alcuni documenti d’epoca provenienti dalla collezione di Magnum.

“Robert Capa. Nella Storia” racconta la storia del Novecento attraverso i ritratti in bianco e nero, unendo reportage di guerra e di viaggio e raccogliendo negli spazi del Mudec i volti di uomini e donne protagonisti della vita quotidiana fatta di piccoli momenti di gioia e voglia di riscatto, di presente e futuro, di realtà e di sogni delle persone comuni, indifferentemente da una parte all’altra del globo.

Attraverso sette sezioni e con un percorso diacronico vengono raccontati i più importanti reportage in bianco e nero realizzati da Robert Capa, dagli esordi a Berlino e Parigi (1932- 1936) alla guerra civile spagnola (1936-1939); dall’invasione giapponese in Cina (1938) alla seconda guerra mondiale (1941-1945); dal reportage di viaggio in Unione Sovietica (1947) a quello sulla nascita di Israele (1948-1950), fino all’ultimo incarico come fotografo di guerra in Indocina (1954), dove troverà la morte.

Sul rapporto di causa – effetto tra grandi personalità ed eventi storici ci si interrogherà per tutta la storia dell’umanità.

Non sapremo mai se la Vienna di metà Ottocento sia stata quella che era grazie a Freud e Klimt o se de Beauvoir e Sartre siano stati quelli che erano grazie alla loro Parigi.

Vasily Grossman, in un celebre passo del suo Stalingrado, si interroga sul significato di “personalità storica autentica”. Cosa significa essere una figura importante per le sorti del mondo? C’è una responsabilità morale in questo ruolo? La sua risposta sembra sottintendere che ci debba per forza essere una distinzione tra “buoni” e “cattivi”, tra chi è stato grande per cambiare il mondo in meglio e chi in peggio.

Queste riflessioni scaturiscono naturalmente quando si ripercorrono gli anni della Guerra Civile Spagnola a Madrid. Un evento chiave per la storia degli anni immediatamente successivi, eppure non tra i più celebri, ma indubbiamente pivotale per la storia del giornalismo moderno: dal 1936 al 1939, per le stesse strade si incontravano alcune delle più importanti “personalità storiche autentiche”. Qui si sono intrecciate le storie di Robert Capa, Gerda Taro, Ernest Hemingway e Marta Gellhorn – quattro dei più famosi intessitori della storia del mondo.

Con le lenti di Grossman, chissà se tutti questi personaggi possano risultare meritevoli di tale titolo. Ripercorrendo i passi di Capa al Mudec, risulta però evidente quanto egli abbia tentato nel suo piccolo di essere uno dei “buoni”. Se la scrittura godeva già di un piedistallo nell’Olimpo della cultura, la fotografia era ancora poco conosciuta. Il fotogiornalismo era una realtà nata da pochi anni, grazie ai progressi della tecnologia che avevano portato alla creazione di attrezzature sempre più portatili rendendo finalmente possibile seguire il centro dell’azione. Il simbolo per eccellenza di questo processo è la Leica: piccola, leggera e caricabile con un rullino fotografico da 36 pose, essa segnò l’inizio della fotografia moderna.

Il personaggio di Robert Capa nasce qui, insieme alla compagna e amante Taro, che lo accompagna nei suoi scatti (come “Miliziani repubblicani”) e lo aiuta ad identificarsi con la figura di un noto fotografo americano – lui, che era un ebreo ungherese di meno di 25 anni. La documentazione del conflitto spagnolo, che seguirà fino alla caduta della repubblica e al ritiro delle Brigate Internazionali, lo consacrerà come «il più grande fotoreporter di guerra del mondo» secondo il Picture Post (per lo scatto “Morte di un miliziano lealista” del 1936). Dopo la morte di Gerda Taro, avvenuta tragicamente nel 1937, il fotografo rimarrà profondamente segnato e si allontanerà dall’Europa.

Avere la fortuna di incrociarsi con personalità così importanti e la possibilità di vivere e documentare eventi di tale portata è una cosa che può avvenire al massimo una o due volte nella vita di un grande uomo.

Capa è riuscito, invece, ad essere gli occhi del mondo su alcuni degli eventi più importanti del Novecento e a farlo insieme ai protagonisti del secolo.

La mostra permette di ripercorrere le fasi più importanti della vita e della carriera di Capa. Costretto a lasciare l’Ungheria a soli 17 anni perché accusato di avere simpatie socialiste, arrivò a Berlino nel 1933 e si fece strada nell’agenzia Dephot. Proprio loro gli assegneranno una conferenza di Trotsky a Copenhagen, cui in realtà l’accesso era vietato ai fotografi. Grazia alla piccola Leica che teneva in tasca, Capa riesce a scattare una serie di ritratti che finiranno in prima pagina. Con l’ascesa del nazismo in Germania, si sposta alla fine del 1933 a Parigi, la città del suo destino. Qui conosce Gerda Taro, Henri Cartier-Bresson e David “Chim” Seymour, con cui fonderà nel 1947 l’agenzia Magnum Photos.

Dopo gli anni della guerra civile, documenterà in Cina l’invasione giapponese e la resistenza del Kuomintang: gli scatti in mostra al Mudec offrono non solo uno splendido esempio del talento del fotografo, ma anche il suo interesse principale. Aldilà dei conflitti e delle dinamiche politiche, vi erano le vite delle persone comuni, i cui destini sfuggivano in parte al loro libero arbitrio per essere plasmati dai voleri dei capi di stato.

Questa attenzione appare anche nei suoi scatti degli anni del conflitto mondiale, ma raggiunge la massima concretizzazione nella copertura del viaggio in Russia che affrontò con l’amico John Steinbeck nell’estate del 1947. Entrambi dichiarano di volersi occupare del popolo russo, senza emettere giudizi: durante la loro permanenza, visitano alcuni luoghi emblematici, come Mosca, Stalingrado e Kiev. Non mancano le visite ad alcuni kolchoz, le fattorie collettive. Questa sezione è la più ampia della mostra, presenta al pubblico una quindicina di scatti mai esposti prima in una mostra italiana testimoniando tutte le tappe del viaggio attraverso scatti emblematici come “Donne che camminano in un panorama deserto” o “Guardando i fuochi d’artificio durante le celebrazioni per l’ottocentesimo anniversario della fondazione di Mosca”.

È un anno significativo per ripercorrere le tappe di un itinerario che comprende territori oggi toccati di nuovo dalla guerra: ecco perché risulta particolarmente toccante. “Più vai a est con una macchina fotografica, meno piaci alla gente, per molte ragioni: e la maggior parte non sono buone”, dichiarò Capa: del viaggio dei due amici e delle difficoltà legate alla presenza di un fotografo vi abbiamo parlato qua.

La mostra si completa anche di sezioni dedicate ai reportage del fotografo a Israele – dove si recherà più volte tra il 1948 e il 1950 – e in Indocina, compreso il suo ultimo scatto che lo rende il primo corrispondente americano scomparso in Vietnam. È data la possibilità di osservare la realtà attraverso gli occhi di Capa e vivere alcuni dei momenti più significativi del Novecento. È impossibile non finire succubi del fascino del fotografo e non affezionarsi ai suoi understatements: convinto pacifista, non poteva fare a meno di odiare ciò che gli consentiva di lavorare.

Una delle sue frasi più famose è proprio: “Come fotografo di guerra, spero di restare disoccupato fino alla fine della mia vita”.

Eppure, la sua fu una vita travolta dalla passione: la passione per la vita e le sue manifestazioni più comuni, quotidiane e lontane dalle “grandi cose” e soprattutto la passione per la fotografia. Proprio quel bisogno di essere al centro della vita, della scena, a stretto contatto col soggetto, sarà la causa della sua fine.

Al Mudec è possibile vivere un’esperienza unica e imperdibile. Curata da Sara Rizzo in collaborazione con Magnum Photos, la mostra espone alcuni scatti prima d’ora mai arrivati in Italia. Una raccolta che permette di viaggiare insieme a Capa nello spazio e nel tempo, di leggere i suoi pensieri e di riconoscersi in quei visi che hanno attirato la sua attenzione.    

Giulia Scolari
Scienziata delle merendine, chi ha detto che la matematica non è un’opinione non mi ha mai conosciuta. Scrivo di quello che mi piace perché resti così e di quello che odio sperando che cambi.

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