Del: 25 Aprile 2023 Di: Nina Fresia Commenti: 0
Per non dimenticare. La casa dello studente di Genova

I giorni che hanno preceduto il settantottesimo anniversario della Liberazione hanno visto accendersi il dibattito che spesso accompagna questa ricorrenza: oltre allo scontro in Senato tra maggioranza e opposizione circa le mozioni sul 25 aprile, le parole di Ignazio La Russa sull’inesistenza di un legame tra antifascismo e Costituzione italiana vorrebbero ancora una volta dimostrarci che si tratti di una data “divisiva”.

Altro non è che il risultato di una mancata resa dei conti con il nostro passato e la nostra storia: in molti casi è stato meglio distruggere e dimenticare piuttosto che assumersi la responsabilità ed il peso di un totalitarismo.

Ed è proprio quello che è accaduto alle vicende della Casa dello studente di Genova, le cui porte sono state aperte alla cittadinanza per l’occasione.

La Casa dello studente viene inaugurata nel 1933, voluta proprio dalla dirigenza fascista per indottrinare gli universitari che vi avrebbero alloggiato, a cui, non a caso, è richiesto di essere iscritti al gruppo universitario fascista (Guf).

Ma la storia più tragica di questo edificio si concentra tra il 1943 e il 1945: le camicie nere consegnano i sotterranei ai nazisti e coadiuvano le azioni dei tedeschi durante le operazioni di cattura di antifascisti, dissidenti politici e partigiani. I prigionieri sono costretti a rimanere all’interno di celle di tortura: degli strettissimi cubicoli bui in cui vengono stipate dieci persone, obbligate a rimanere in piedi ore ad ascoltare le grida di chi li ha preceduti. 

Infatti, l’obiettivo degli aguzzini è quello di ottenere preziose informazioni sui movimenti della Resistenza e dei suoi componenti attraverso la coercizione e la tortura.

Ed è così che i detenuti vengono poi trasferiti nel tristemente noto sotterraneo dei tormenti: i testimoni raccontano di schiaffi, bastonate, scosse elettriche, unghie strappate, soffocamenti, strangolamenti e altre forme di vessazione durante gli interrogatori.

È essenziale che la vita cittadina resti lontana con lo sguardo da quel che accade all’interno della Casa dello studente, ma ai nazifascisti serve che i genovesi sentano le urla e i lamenti di chi osava opporsi e resistere.

Non si conosce il destino di chi viene sequestrato: può essere la carcerazione a Marassi, la fucilazione al Forte San Giuliano o al cimitero di Crevasco.

I canali di scolo ai lati del sotterraneo hanno permesso ai torturatori di far svanire con facilità le tracce delle loro azioni, e con altrettanta agevolezza nel dopoguerra si è deciso di far scomparire questa storia. Sono ancora ben visibili i resti dei muri di mattoni costruiti per blindare e far scivolare nell’oblio quel sotterraneo, così come la porta a tenuta stagna messa a sigillare l’ingresso in cui venivano scaricati i prigionieri politici e i segni delle piastrelle usate per ricoprire le pareti delle minuscole celle.

Bruciati i documenti, portati via gli strumenti di tortura e occultate le scritte lasciate sui muri dai prigionieri (sono poche quelle ancora leggibili): è come se niente fosse successo. È solo negli anni Settanta che, grazie alle agitazioni studentesche, è stato finalmente riaperto questo capitolo oscuro. E la volontà non è solo quella di non permettere ancora che questo luogo venga dimenticato, ma anche di allargare quanto più possibile la portata del movimento di Resistenza che proprio dentro a quelle mura ha dato prova della sua forza.

Questa vocazione internazionalista è rimarcata non solo dalla dedica all’operaio tedesco Rudolf Seiffert, ma anche dalle pareti del sotterraneo tappezzate da lettere di condannati a morte della Resistenza europea: documenti da Grecia, Francia, Jugoslavia, Danimarca, Olanda a ricordare che in ogni luogo e in ogni tempo è importante proteggere la libertà.

Come cantato da Francesco De Gregori, «la storia non si ferma davvero davanti a un portone» e soprattutto «non ha nascondigli»: per quanto si tenti di celarla, stravolgerla e riscriverla, ciò che ci tramanda riuscirà ad emergere.

Smontando le ricostruzioni storiche di comodo o volte a farci perdere la memoria, si giunge ad una sola conclusione: il 25 aprile non può dividere, in quanto unisce chi beneficia ancora oggi della lotta per la Liberazione in termini di libertà e democrazia. E «nessuno si senta escluso».

Nina Fresia
Studentessa di scienze politiche, curiosa per natura, aspirante giramondo e avida lettrice con un debole per la storia e la filosofia. Scrivo per realizzare il sogno della me bambina e raccontare attraverso i miei occhi quello che scopro.

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