Circa 500 persone a bordo di un peschereccio in difficoltà in acque internazionali, rimaste da due giorni senza cibo né acqua e in presenza di condizioni metereologiche difficili, sono state soccorse martedì 4 aprile dalla Geo Barents, la nave della ONG Medici Senza Frontiere. L’imbarcazione, salpata dalla Libia, si trovava a circa 300 chilometri di distanza dalla Geo Barents, unica nave umanitaria attiva nel Mediterraneo Centrale in quel momento. Anche a causa della velocità ridotta cui è stata costretta a viaggiare in ragione della tempesta in corso, alla Geo Barents è occorsa mezza giornata di navigazione per arrivare sul posto: un lasso di tempo nel quale le onde alte sino a quattro metri, il sovraffollamento, l’instabilità del peschereccio e la disidratazione avrebbero potuto determinare un epilogo ben più tragico, vista l’assenza di altri attori in grado di prestare soccorso in tempi più brevi.
Nonostante il Mediterraneo si presenti sempre più sguarnito di soggetti in grado di svolgere attività di Search and Rescue – anche in ragione del nuovo codice di condotta imposto alle navi delle ONG, con cui il governo Meloni ha voluto incidere in modo significativo sulla loro operatività –, gli arrivi di persone migranti in Italia via mare non sono affatto diminuiti. Anzi, se dal primo gennaio al 9 marzo 2022 in Italia sono sbarcate 5.976 persone, nello stesso periodo del 2023 sono stati registrati ben 15.823 arrivi.
Più che la presenza o meno di attori in grado di prestare soccorso nel Mediterraneo, infatti, un fattore determinante per quanto riguarda il numero di persone che decidono di partire dalle coste nordafricane risulta essere il meteo.
«Da circa 20 anni il flusso di imbarcazioni di migranti dalla Libia e dalla Tunisia verso l’Italia è regolare. Basta che ci sia bel tempo e un vento favorevole, e le imbarcazioni vengono messe in mare, a prescindere dalla presenza delle ONG, dalla situazione politica in Italia, dal giorno o dal mese dell’anno – ha ricordato anche Luca Misculin nel podcast La nave, nel quale racconta appunto una missione a bordo della Geo Barents – Basta guardare i dati: anche nel 2020, quando il mondo si fermò per la pandemia, arrivarono in Italia via mare circa 34.000 persone migranti».
Nonostante la sussistenza di una qualsivoglia correlazione tra la presenza di navi umanitarie al largo delle coste nordafricane e il numero di partenze sia stata smentita da diversi studi e non venga più menzionata neppure dalla stessa Frontex – vale a dire l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera –, l’espressione pull factor in relazione alle navi delle ONG continua ad essere utilizzata anche dagli esponenti dell’attuale Governo. Si tratta di una falsa accusa cui, per la sua plausibilità, è molto facile credere, e che continua a danneggiare l’immagine delle ONG nell’opinione pubblica, nonostante il primo importante studio in cui questa ipotesi viene smentita risalga ormai al novembre 2019.
Si tratta di uno studio pubblicato dallo European University Institute e condotto da due ricercatori italiani, Matteo Villa e Eugenio Cusumano, i quali, come da loro stessi affermato, hanno deciso di partire da una domanda «”neutra” e persino plausibile. Se salvi di più, è possibile che ci sia un maggiore incentivo a partire. La narrazione del “pull factor” funziona perché a prima vista appare del tutto logica. Per questo era importante studiarla a fondo».
Lo studio, condotto analizzando i flussi migratori mensili dalla Libia all’Italia tra il 2014 e l’ottobre 2019, parte dal presupposto per cui la mobilità umana su larga scala risulta dalla combinazione di:
fattori negativi, che spingono le persone a lasciare la propria terra (quali povertà, persecuzioni, conflitti armati; i cd. push factors), e incentivi positivi a spostarsi verso una destinazione specifica (i cd. pull factors o fattori di attrazione della migrazione). Dal momento che consentirebbero alle persone migranti di attraversare le frontiere marittime in modo più sicuro, le operazioni SAR in prossimità o all’interno delle acque territoriali della Libia potrebbero essere considerate come un fattore d’attrazione. Ma è davvero così?
Per rispondere a questa domanda, i due studiosi hanno combinato dati ufficiali dell’OIM, dell’UNHCR e della Guardia Costiera Italiana, scoprendo che, come mostra il grafico successivo (fig. 3), l’attività di Search and Rescue delle ONG risulta essere solo scarsamente correlata alle partenze mensili, dal momento che tale correlazione non vale né per il 2015 né per il 2017.
Nel 2015, infatti, il numero totale di partenze dalla Libia è leggermente diminuito rispetto al 2014, anche se le persone migranti soccorse dalle ONG sono passate dallo 0,8 al 13% del numero totale di persone soccorse in mare; mentre nel 2017, nonostante le ONG fossero diventate il principale attore nel Mediterraneo in grado di fare ricerca e soccorso, è stato registrato un crollo delle partenze dalla Libia (ad indicare che, più che la presenza o meno delle ONG, ad influenzare le partenze sarebbe stato piuttosto l’accordo raggiunto tra Italia e milizie libiche per opera dell’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti).
I due studiosi hanno poi deciso di concentrarsi sulla valutazione dei primi dieci mesi del 2019 (dal primo gennaio al 27 ottobre):
periodo in cui, in assenza di mezzi della Marina militare e della Guardia Costiera, le navi umanitarie erano rimaste le sole ad effettuare operazioni SAR nel Sud del Mediterraneo. Nel periodo preso in considerazione, si contano 85 giorni in cui erano presenti una (o, molto raramente, due) ONG operanti al largo delle coste libiche, e 225 giorni in cui invece le operazioni SAR sono state condotte soltanto dai libici, che hanno intercettato le persone migranti e le hanno riportate in Libia. Come si evince dalla figura (fig. 4), nulla suggerisce che le partenze siano aumentate quando le navi delle ONG erano in mare, mentre sembra esserci una forte correlazione tra le partenze e le condizioni meteorologiche lungo la costa di Tripoli, nonché in relazione all’altissima instabilità politica della Libia nell’aprile 2019.
Alla luce di questi risultati – che, come ricordato in apertura, hanno poi trovato conferma anche negli anni successivi, sino ad arrivare ai nostri giorni –, perseverare nell’utilizzo di termini quali “taxi del mare”, “pull factor” o “amici dei trafficanti” e adottare conseguentemente delle politiche per limitare l’attività delle ONG nel Mediterraneo, oltre a non essere utile appare, anzi, controproducente e rischioso, perché, come sottolineato dagli stessi Villa e Cusumano, contribuisce a rendere ancor più mortale questa traversata.
Ed episodi quali il naufragio del 26 febbraio al largo di Steccato di Cutro o il difficilissimo salvataggio operato dalla Geo Barents lo scorso 4 aprile – quando 500 persone stremate dalla traversata, dalla fame e dalla sete e alla deriva durante una tempesta hanno dovuto attendere l’arrivo di una nave che si trovava a ben 300 chilometri di distanza per essere soccorse –, purtroppo ce lo ricordano quotidianamente.