
Siamo a Bergamo, inizio aprile, quando Giulia, una bambina di soli nove mesi, si ritrova improvvisamente con una sola mamma. Il Tribunale di Bergamo ha infatti accolto l’istanza della procura locale, che lo scorso gennaio aveva chiesto di rimuovere dal certificato di nascita della bambina, concepita all’estero con fecondazione eterologa, il nome della madre non biologica come secondo genitore. Si tratta certamente di un atto politico, di una decisione che riflette l’inalterabile determinazione del governo Meloni a procedere nella sua offensiva contro il modello di famiglia omogenitoriale, anche a discapito di quelli che, almeno in teoria, dovrebbero essere gli interessi più importanti da tutelare: gli interessi del minore.
Quanto stabilito dal Tribunale di Bergamo costituisce l’epilogo di una vicenda giudiziaria che va avanti ormai da anni, causata dal vuoto normativo che incombe sul tema del riconoscimento dei figli nati da coppie omogenitoriali in Italia e sulla trascrizione degli atti di nascita di quelli che sono nati all’estero.
Ebbene, come ha reagito il governo Meloni di fronte a questo vuoto normativo? Non di certo cercando di colmarlo.
Ha scelto invece di aggirare l’ostacolo imboccando una strada che gli permetterà di non sporcarsi le mani e di uscirne “pulito” agli occhi del proprio elettorato. L’attuale governo infatti si è sempre detto fermamente contrario rispetto al ricorso alla maternità surrogata e, di conseguenza, andare a regolamentare il riconoscimento dei bambini concepiti all’estero attraverso tale pratica potrebbe apparire come una scelta incoerente. Ecco che allora il governo ha scelto di ricorrere ai divieti: con la circolare n. 3 del 2023 del Ministero dell’Interno è stato chiesto ai sindaci di rispettare la sentenza n. 38162 della Corte di Cassazione che vieta la trascrizione dei certificati di nascita dei bambini concepiti all’estero tramite la gestazione per altri.
In contemporanea la commissione Politiche europee del Senato ha bocciato la proposta di regolamento Ue sul riconoscimento dei figli da genitori dello stesso sesso, in vista della creazione di un certificato europeo unico di filiazione, il quale avrebbe permesso a chiunque avesse avuto figli in qualsiasi Stato europeo di essere automaticamente riconosciuto come genitore anche nel proprio Paese. La commissione ha poi giustificato la sua decisione sostenendo che la proposta di regolamento Ue sarebbe andata ad agevolare il ricorso alla gestazione per altri.
Insomma, la linea seguita dal governo, e in particolare dalla destra italiana, è evidente, ma questi provvedimenti sono davvero conformi a tale linea o sono soltanto espressione della volontà di ottenere il plauso dei propri elettori, chiudendo invece gli occhi di fronte a una situazione di fatto che c’è, e che continuerà ad esserci, quella di tanti bambini figli di coppie omogenitoriali che hanno bisogno di tutela?
Se si considera che oggi, come evidenziato dal commissario europeo alla giustizia Didier Reynders, circa due milioni di bambini in Europa potrebbero non vedere riconosciuto il loro legame di parentela con i genitori in un altro Stato dell’Unione, la risposta sembra venire da sé. Il tema in discussione infatti non è quello relativo alla possibilità e all’opportunità di legalizzare in Italia il ricorso alla gestazione per altri, bensì quello inerente alla regolamentazione della situazione giuridica dei bambini nati attraverso tale pratica, facendo in modo che prima di tutto vengano tutelati i loro interessi.
Anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 33 del 2021, si era espressa in tal senso: in particolare aveva sottolineato l’urgenza di un intervento del legislatore volto a individuare una soluzione tramite cui operare il “difficile bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso alla maternità surrogata, e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori”.
Di fronte a quanto accaduto però non è azzardato pensare che il termine “imprescindibile” sia stato preso un po’ con le pinze: infatti, come può venire tutelato l’interesse del minore se ad essere riconosciuto è il solo genitore biologico? Per lo stato italiano il genitore non biologico, quello d’intenzione, rimane di fatto un estraneo, che, per avere a che fare con il bambino di cui si è preso cura sin dal momento della nascita, ha continuamente bisogno di deleghe e altri permessi.
Bambini di serie B, ecco cosa si è riusciti ad ottenere con questi ultimi provvedimenti. Nessun timore però: la “coerenza” con la propria ideologia è rimasta ben salda.
Per vedere riconosciuto il proprio legame di parentela, al genitore d’intenzione non rimane quindi altra strada se non quella della stepchild adoption, cioè l’adozione permessa in casi particolari al genitore non biologico. Si tratta però di un procedimento legale spesso lungo e costoso, che richiede innanzitutto che il genitore biologico dia il consenso all’adozione, mentre il genitore d’intenzione deve dimostrare di avere i requisiti necessari per prendersene cura; il Tribunale deve poi esaminare il rapporto tra il genitore d’intenzione e suo figlio, delegando agli assistenti sociali la verifica della sua idoneità genitoriale. La procedura inoltre può avere esito negativo o essere revocata e, per di più, durante il suo corso possono capitare imprevisti, malattie, separazioni, con la differenza che in questi casi il bambino non ha abbastanza tutele.
Nel viluppo di queste procedure infatti ci sono stati casi in cui la madre biologica è morta di parto e non ha potuto dare il consenso. Che cosa è accaduto allora? Semplice, l’adozione si è interrotta e i bambini hanno perso giuridicamente l’altra madre. Ci sono stati poi molti casi in cui le madri si sono separate e colei che aveva partorito ha ritirato il consenso all’adozione, bloccando ogni rapporto dell’altra madre con il figlio. È stato rispettato in questi casi il principio del superiore interesse del minore? La risposta è se non altro intuibile.
A questi recenti accadimenti si aggiunge anche la proposta di legge di Fratelli d’Italia, depositata in commissione Giustizia alla Camera il 3 marzo 2023, volta ad estendere le pene previste per chi pratica la maternità surrogata in Italia anche ai casi praticati all’estero.
Anche in questo caso il governo ha preferito ricorrere allo strumento del divieto piuttosto che tentare di rispondere a esigenze che di fatto ci sono, e che ci saranno sempre, all’interno della società: perché per esempio, prima di andare a vietare la maternità surrogata anche se praticata all’esterno, non proporre misure alternative tali da permettere a chi non può avere figli di realizzare comunque questo suo desiderio, così riducendo in moltissimi casi il ricorso alla pratica della maternità surrogata? Basti pensare alle procedure per l’adozione, che in Italia sono lunghe, complicate e prevedono requisiti molto stringenti: un intervento mirato, volto alla revisione di queste pratiche, avrebbe sicuramente rappresentato una risposta più prudente ed equilibrata rispetto a quella di un divieto sbrigativo.
Ritornando infine alla vicenda di Giulia e alla decisione del Tribunale di Bergamo di rimuovere dal suo certificato di nascita il nome della madre non biologica, è bene considerare il problema che inevitabilmente si presenta: improvvisamente molte famiglie si trovano in una situazione di totale incertezza, non più sicure del riconoscimento che hanno ottenuto anni fa e che potrebbe essere impugnato dalle procure locali da un momento all’altro.
Il caso di Bergamo rappresenta infatti un procedimento retroattivo, visto che Giulia ha già 9 mesi, e, su questa linea, la procura di Padova ha già chiesto la modifica di trentadue riconoscimenti.
Se però da un lato è necessario dare riconoscimento legale ai figli di coppie omogenitoriali, così da tutelare i loro diritti e interessi, ancor di più e a maggior ragione sarebbe opportuno non solo tutelare ma anzi rafforzare i vincoli di parentela che si sono già formati nelle famiglie omogenitoriali, e su cui i minori fanno indubbiamente affidamento.
Eppure l’attuale governo sembra pensarla diversamente, prendendo posizioni che vanno a rinsaldare, almeno in apparenza, la sua posizione ideologica. Quello di cui avremmo bisogno però, al di là di queste instancabili battaglie politiche, sarebbe di una legge volta a normare la vita delle famiglie omogenitoriali. Queste famiglie infatti ci sono, esistono, che il governo lo voglia o meno. E, di fronte a questa evidenza, il governo ha il dovere, inderogabile, di dare ascolto alle loro esigenze.