Del: 20 Aprile 2023 Di: Giulia Maineri Commenti: 0
La realtà iperconnessa dell'arte, parte terza

Seguendo la traccia del saggio di Fabio Fazio e Flavio Caroli dal titolo Voi siete qui, tendiamo un filo tra la parola “arte” e altri termini di vario genere, nel tentativo di mostrare che l’arte è davvero una realtà iperconnessa. C’è arte ovunque attorno a noi e dentro di noi, anche se molto spesso non ne siamo consapevoli. Ad ogni filo teso, appendiamo un’immagine, rappresentativa del collegamento e ricca di significato. 

Segue la terza delle tre parti in cui è diviso questo articolo.


Musica

Il rapporto tra arte e musica fa parte dell’esperienza dell’uomo comune, non solo del pittore o del musicista. Capita spesso, davanti ad un dipinto, di immaginare i suoni della scena, sentire il sottofondo musicale dell’opera. Il dipinto trasporta il fruitore al suo interno, quando si ammira un quadro si abbandona per un attimo il luogo fisico della sala di museo e si viene proiettati nel luogo immaginario dell’arte. Ed ecco affiorare le voci dei lavoratori del Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, il pianto di Maria nella Pala Baglioni di Raffaello, i cori angelici nel Giudizio Universale di Michelangelo. L’arte visiva si può sentire. È una sinestesia che funziona anche quando il suono non c’è: davanti al Cristo morto di Mantegna, per esempio, a chi si mette in ascolto arriva soltanto un enorme, pesante senso di silenzio. E quel silenzio è carico di significato, tanto quanto la musica.

Un dipinto in cui si sente senza dubbio la componente musicale è La danza, di Matisse. È un’opera a tre colori e tre protagonisti, il cielo, la terra, le persone, ma c’è un quarto personaggio invisibile: la musica. La gioia di vivere sta nelle forme libere e armoniche dei danzatori, ma anche nelle note che ne accompagnano il ballo.

La prossima volta, provate a guardare un dipinto ad orecchie tese: vi parlerà ad alta voce e l’effetto sarà memorabile.

Paesaggio

Parlando di paesaggi nelle opere d’arte, la prima cosa a cui si pensa sono i grandi paesaggisti inglesi, come Constable e Turner, oppure l’importanza della natura nei dipinti dei pittori veneti, dalla scuola di Giorgione in poi. Ma cosa succede se proviamo a focalizzarci sul paesaggio in un dipinto qualsiasi, che non è stato concepito per mettere in primo piano il paesaggio?

Ci si può provare con la Primavera di Botticelli, un capolavoro dell’arte del primo Rinascimento. Si scopre che anche in questo caso il paesaggio è curato nei minimi dettagli: le arance sugli alberi rimandano al matrimonio tra Semiramide Appiani e Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, il committente dell’opera; le piante al centro assumono una forma piramidale, a incorniciare la figura della giovane; il tappeto erboso è costellato da una enorme quantità di diverse specie vegetali; i tronchi degli alberi perfettamente verticali servono a slanciare le figure in primo piano.

Ecco che il paesaggio, anche in un’opera in cui si direbbe giocare un ruolo secondario, assume primaria importanza nella lettura del dipinto. 

Città

Pensando alla rappresentazione della città in ambito artistico, non si può non parlare del movimento futurista, sorto proprio a Milano all’inizio del secolo scorso. Marinetti e compagni vogliono celebrare la tecnologia, il progresso, la modernità, lasciandosi alle spalle Venere di Milo e altre classicità, appartenenti ad un mondo antico che considerano superato.

Con buona pace dei futuristi, credo che oggi la sfida sia proprio cercare di fare della città un posto in cui il passato possa convivere armoniosamente con il presente, spianando la strada per il futuro. In questo l’arte può giocare un ruolo importante.  

Emblema di questo dialogo tra arte e città è La città che sale, di Umberto Boccioni.

Design

Anche il design è una forma d’arte, nata ufficialmente nel secolo scorso, ufficiosamente molto prima. Gli oggetti di uso quotidiano si fanno arte, l’utile si mischia al bello e anche una lampada può diventare degna di essere esposta in un museo.

A Milano, l’architettrice e designer più celebre è Gae Aulenti, a cui, non a caso, è stata intitolata la famosa piazza in zona Garibaldi. Le piazze sono state infatti al centro del suo lavoro artistico, da piazza Cavour a Napoli a piazza Cadorna a Milano, passando per piazza Mario Pagano a Potenza. Il suo lavoro artistico non si limita all’urbanistica: emblematica è la lampada Pipistrello, ideata da Aulenti per gli showroom di Olivetti a Parigi e Buenos Aires.

In questo oggetto è visibile chiaramente come l’arte dialoghi con il design. La lampada pipistrello sembra al primo sguardo un ombrellone, ma alla seconda più attenta osservazione ecco che emerge la vera natura dell’oggetto: la sua struttura si rifà a quella di una colonna classica. Ci sono base, tronco e capitello; non un capitello dorico, nè ionico, nè corinzio ma un capitello che prende la forma di un cappello, il pileus di un fungo.

La lampada pipistrello non è quindi soltanto una macchina per fare luce. Piuttosto una macchina per fare arte e luce allo stesso tempo.

Sacro

Il rapporto dell’arte con il sacro è stato fondamentale in tutte le culture del mondo. L’arte viene percepita come l’unico modo per dare voce a qualcosa che l’essere umano, in quanto tale, non è in grado di raccontare. Il sacro è qualcosa che si pone oltre i limiti dell’uomo, ne supera la finitezza e tende all’infinito. L’essere umano immagina sempre ciò che non è, dice Schopenhauer, spesso attribuendo a quanto assente nella sua esperienza finita un attributo sacrale.

Ci sono tuttavia religioni in cui la rappresentazione del sacro è proibita: se il buddismo e il cattolicesimo sono iconofili, la civiltà bizantina e quella islamica si schierano al polo iconoclasta. In questo caso, la rappresentazione è percepita come un pericolo, che piuttosto che avvicinare, rischia di allontanare l’uomo dall’essenza più profonda del sacro. Non sembra possibile tentare di ridurre il sacro a qualcosa di tangibile. E forse non lo è, in alcune religioni.

Ma si dà il caso che nel cristianesimo, “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio”, il Verbo si è fatto carne e quindi la distinzione tra ciò che è materia terrestre e materia divina non è più così netta. Allora il sacro entra in numerose scene di vita quotidiana. Guardiamo ad esempio il Cristo deposto di Matteo Bottiglieri, conservato nel Duomo di Capua, dove il figlio di Dio giace in posizione d’abbandono. Un cadavere qualsiasi, con la bocca aperta, il capo rovesciato e l’immancabile braccio della morte. Niente è più sacro di un momento così lirico come la morte, che sia quella di Dio o quella di una persona comune.

Giulia Maineri
Instancabile curiosona, ho sempre una domanda sulla punta della lingua. Leggo di tutto e di tutti per capire chi sono. Coltivo la passione per la storia dell'arte per capire chi siamo. Studio fisica per rispondere ai come. Esploro il mondo in un’esasperata, ma entusiasmante, ricerca dei perché.

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