Del: 29 Aprile 2023 Di: Maria Pia Loiacono Commenti: 0
L'abbandono scolastico in Italia

L’abbandono scolastico è il fenomeno riguardante quegli studenti che, con l’esclusivo possesso della licenza media, decidono di terminare i propri studi prima di aver conseguito il diploma o un’altra qualifica professionale.

In Italia, l’obbligo di istruzione riguarda la fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni (secondo la circolare del MIUR n.101/2010) ed è considerato a titolo pieno un diritto-dovere.

L’abbandono scolastico rientra però in un fenomeno più ampio, quello della dispersione scolastica, comprendente anche ritardi costanti, evasione dell’obbligo, interruzioni e il conseguimento del titolo non conforme alle competenze acquisite.

La percentuale di abbandono complessiva nel 2021 è stata pari a 0,64% per gli alunni della scuola secondaria di I grado, e di 3,79% per la scuola secondaria di II grado. Il divario non riguarda esclusivamente i due gradi scolastici, ma è anche sociale e territoriale.

Facendo sempre riferimento all’anno scolastico 2021/2022, il fenomeno della dispersione scolastica è stato pari al 13,5% per quanto riguarda la media nazionale, ma al 21,1% per la regione Sicilia.

La propensione all’abbandono si registra nettamente più consistente nel Sud Italia e dai risultati emergono varie motivazioni: il 38,6% degli studenti abbandona la scuola per una importante ansia da prestazione provocata dallo stress della valutazione e dal carico dei compiti, il 24,4% per lo scarso interesse da parte delle famiglie, il 20,9% per relazioni conflittuali tra studenti/docenti e, infine, il 5,8% per un proprio disagio socioeconomico.

Il ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli ha presentato il progetto di autonomia differenziata che prevede la gestione diretta da parte delle regioni delle 23 materie concorrenti indicate nella Costituzione.

Il disegno di legge, che è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri lo scorso 3 febbraio, ha come scopo quello di rinnovare e modernizzare l’Italia, in prospettiva di coesione e nel rispetto dei LEP (livelli essenziali di prestazione, che devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale).

Uno dei temi fondanti del ddl Carderoli è proprio l’istruzione: se pur fosse reale l’obbiettivo di coesione, esso non gioverebbe di certo al divario che vige attualmente tra Nord e Sud.

Graziamaria Pistorino, segretaria nazionale Flc Cgil, spiega:

La prima emergenza che ci si pone come sindacato è quella di difendere e rilanciare il diritto universale all’istruzione. Differenziare i programmi su base regionale, assumere localmente insegnanti e dirigenti, magari pagandoli diversamente, configurerebbe un diritto allo studio ancora più diseguale di quello attuale.

Se si entra ulteriormente nella realtà territoriale scolastica, si riconosce una correlazione positiva tra la qualità dell’offerta in termini di strutture e il livello di apprendimento conseguito da studentesse e studenti. Sono infatti le scuole che assicurano una maggior offerta di tempo pieno e un maggior numero di mense a registrare un indice di dispersione più basso.

Queste condizioni diventano fondamentali se si considerano i minori svantaggiati dal punto di vista socioeconomico.

La stessa pandemia, che ha causato la chiusura delle scuole nel marzo 2020, ha costretto gli studenti e le studentesse a frequentare gli istituti scolastici per molto meno della metà dei giorni teoricamente previsti. Secondo un’indagine condotta dall’Ipsos, nel periodo in cui la dad era l’unico strumento per istruire i ragazzi, nel 28% delle classi almeno un compagno ha abbandonato gli studi.

Ciò deriva da molteplici errori dettati dalla superficialità e dalla portata dell’evento che è stato difficilmente gestibile: la dad, infatti, oltre a non permettere di ricreare lo stesso contesto dell’aula, ha creato dei disagi a tutte le famiglie che, ad esempio, non avevano a disposizione dispostivi elettronici, ed è stata poi effettivamente accertata una riduzione netta dell’orario scolastico.

Vi sono quindi una moltitudine di cause che negli anni hanno provocato un incremento del fenomeno dell’abbandono scolastico, e sono state altrettante le soluzioni proposte. Un aiuto concreto dovrebbe derivare dal PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza), di cui l’istruzione è parte della missione 4 presentata nel piano, che propone un investimento economico massiccio a scopi molteplici: mettere in sicurezza e riqualificare l’edilizia scolastica, aumentare le dotazioni digitali, estendere il tempo pieno, diminuire il numero di alunni per classe e aumentare i posti in asili nido e scuole dell’infanzia.

Secondo un rapporto Svimez, emerge però che «l’investimento per alunno del Pnrr sull’istruzione (esclusi gli asili nido) è stato pari a 903 euro nella provincia di Milano, dove il tempo pieno è assicurato al 75% dei bambini della primaria, mentre è di 725 euro a Palermo, col tempo pieno solo al 10%», come spiega l’analista Luca Bianchi.

Ciò comporterebbe quindi un ulteriore accrescimento del divario nord-sud.

Sono stati poi introdotti i patti educativi di comunità (previsti originariamente per l’anno scolastico 2020-2021), al fine di coinvolgere soggetti pubblici e privati nella realizzazione di progetti didattici e pedagogici, con la volontà di promuovere una uguaglianza di opportunità e far diminuire il livello di povertà educativa.

L’Italia è inoltre oggi il paese in cui il fenomeno incide maggiormente: circa il 12,7% dei residenti tra i 18 e i 24 anni hanno abbandonato il proprio percorso di studi ottenendo esclusivamente la licenza media. L’agenda UE, che ha posto come obiettivo da raggiungere entro il 2030 una diminuzione al 9% degli abbandoni precoci, ha appurato che il fenomeno in Europa nel 2021 ha riguardato il 9,7% dei giovani (in prevalenza ragazzi, circa l’11% rispetto alle ragazze, la cui percentuale è di circa l’8%).

Maria Pia Loiacono
Studentessa di beni culturali, scrivo con lo scopo di imparare più cose del mondo che mi circonda, cercando di farmi e farvi incuriosire.

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