Radici racconta fatti, personaggi e umori della storia della Prima Repubblica italiana, dal 1946 al 1994. A questo link è possibile trovare gli articoli precedenti della rubrica.
Da oltre un anno, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e della conseguente risposta diplomatico-militare di NATO e UE, l’opinione pubblica italiana si ritrova profondamente divisa sull’invio di armi in sostegno dell’Ucraina.
C’è chi ricorda un diverso atteggiamento quando erano gli USA a invadere altre nazioni e chi sottolinea la maggior pertinenza di un criterio di giudizio fondato sull’identità dell’aggressore, piuttosto che chiedersi da che parte stiano di volta in volta gli americani.
Ma come si comportò la politica italiana della Prima Repubblica durante le altre guerre scoppiate nel mondo?
Senza pretese di esaustività (date le cospicue risorse ma anche i limiti offerti dagli archivi online del Senato e della Camera dei Deputati), si può tentare una panoramica delle discussioni parlamentari avvenute in quegli anni.
Il primo importante conflitto che si affacciò sul globo dopo il 1945 è stata la Guerra di Corea, scoppiata nel 1950. Nel primo conflitto per procura della Guerra Fredda, l’Italia si allineò al blocco NATO ma senza fornire armi: inviò soltanto la Croce Rossa nel 1951, a sostegno della Corea del Sud.
In un quadro così polarizzato, gli schieramenti parlamentari furono prevedibili: erano i senatori comunisti e socialisti a criticare il commercio capitalista di armi e il riarmo occidentale, contrastati dai colleghi della DC.
Un anno dopo l’ex-primo ministro Parri, repubblicano, pur in una cornice pacifista sottolineava come la pace «non può essere intesa da nessuno di noi come una resa» e dovesse fondarsi sul diritto, incontrando le rimostranze di Labriola da sinistra.
Quando il presidente americano Truman rimosse dagli incarichi il generale MacArthur (che propose di usare strategicamente l’atomica in Corea), a festeggiare fu sì un senatore repubblicano, ma anche lo stesso segretario del PSI Nenni, prontamente redarguito dall’ala DC della Camera.
Solo nel 1953 il primo ministro De Gasperi poté comunicare ai deputati il raggiungimento di un armistizio, i cui meriti si imputavano all’URSS già da un anno, in area socialista (che ancora nel ’54 sosteneva il ruolo dei «partigiani della pace»).
Non passò molto prima che la politica italiana dovesse affrontare una nuova stagione di conflitti divisivi, questa volta nel Vicino Oriente: nel 1956 (anno di rottura fra PSI e PCI) Israele, Francia e Regno Unito occuparono il Canale di Suez, nazionalizzato dall’Egitto di Nasser.
Intervenendo in entrambe le camere, il ministro liberale Martino addossò le colpe della Crisi di Suez ai veti e alle armi dell’URSS, invocando anche la supposta superiorità democratica anglofrancese su altri Paesi.
Il conflitto arabo-israeliano si inasprì nel 1967, con la Guerra dei Sei Giorni in cui Israele ed Egitto si contesero nuovamente il Sinai: stavolta il governo di centrosinistra guidato da Moro non prese incisivamente posizione, mentre fu un gruppo di liberali a sostenere le ragioni di Israele, contrastato da un deputato del neofascista MSI che denunciò la «istigazione faziosa e razzista contro i popoli arabi».
Fu di nuovo il Sinai il casus belli della Guerra del Kippur (o del Ramadan) nel 1973, che vide Moro impegnato diplomaticamente, ma in questo caso il MSI si ritrovò a difendere la sovranità di Israele in un’ interrogazione al governo firmata anche dal senatore La Russa (padre dell’attuale Presidente del Senato), mentre a sostenere la causa palestinese erano i parlamentari del PCI (fra cui la futura Presidente della Camera Iotti).
Nel frattempo il mondo attraversò il ventennio di Guerra del Vietnam (1955-75), durante il quale l’Italia riconobbe il Vietnam del Sud filo-occidentale (tentando però segretamente di organizzare dei colloqui di pace). Non si registrano comunque particolari dichiarazioni in Parlamento, fatta eccezione per il 1964: a seguito dell’incidente del Golfo del Tonchino, pretestodell’intervento americano sotto Johnson (peraltro poi oggetto di forti dubbi), il socialista Lussu criticò fortemente gli USA.
Poco dopo la fine della Guerra del Vietnam ebbe inizio un’altra guerra per procura: a fine 1979 l’Afghanistan fu invaso dall’URSS, in sostegno del governo socialista e in guerra contro i ribelli mujaheddin sostenuti dagli USA.
Soltanto quell’estate era stata eletta Presidente della Camera Nilde Iotti, il cui PCI era ormai cambiato sotto Longo e Berlinguer: il giorno della sua elezione, Iotti aveva salutato con favore i negoziati SALT II fra Carter e Brezhnev.
Nel 1980, congelati i SALT II a causa della guerra, i senatori del PCI non mancarono di condannare l’invasione sovietica dell’Afghanistan, pur incolpando anche gli USA per il fallimento dei negoziati. Il mese successivo arrivò da parte del MSI la richiesta all’Italia di boicottare le Olimpiadi di Mosca come sanzione all’URSS (gli atleti italiani poi parteciparono, ma senza tricolore).
Sempre nel 1980 l’Iraq di Saddam Hussein invase l’Iran dell’ayatollah Khomeini: se quest’ultimo era sostenuto da Israele (e segretamente da Reagan, si sarebbe scoperto), l’Iraq godeva dell’appoggio di USA, URSS e vari Paesi europei, Italia inclusa.
Un gruppo di deputati radicali si oppose però all’invio di armi, giustificato dal governo di Cossiga come volto a mantenere un equilibrio fra i due Stati: fra di loro figuravano Pannella, Bonino e Roccella, padre dell’attuale Ministro di Fratelli d’Italia.
Successivamente alcuni senatori comunisti sostennero gli accordi sul nucleare con il Paese, difendendoli da «notizie tendenziose e allarmistiche» per «tutelare i nostri lavoratori e […] aziende italiane».
Negli otto anni di guerra si susseguirono interrogazioni e denunce da parte della sinistra (emblematico l’intervento del senatore comunista Milani contro il «made in Italy per […] l’industria bellica […] poco edificante privilegio»), anche se nel 1988 le navi italiane nel Golfo Persico furono difese da PSI e DC.
Dal 1989, comunque, le discussioni sul tema furono monopolizzate da uno scandalo emerso tramite l’FBI, riguardante finanziamenti all’Iraq da parte della Banca Nazionale del Lavoro (di proprietà statale) – col coinvolgimento di Andreotti, ne scrisse il New York Times.
Intanto nel 1982 Israele aveva invaso il Libano per attaccare l’OLP palestinese e l’Italia partecipò al contingente di peacekeeping MFL, difeso in Parlamento dal primo ministro Spadolini. Si ripresentarono le tradizionali divisioni: sostegno alla Palestina da parte di comunisti e proletari (che paragonarono l’invasione al conflitto anglo-argentino sulle Falkland come insensata «guerra giusta»), mentre La Russa ed altri senatori MSI si premuravano contro le strumentalizzazioni sovietiche del conflitto, criticando l’OLP e la partecipazione italiana al peacekeeping.
Mentre nel 1984 la sinistra insorgeva più volte nella stessa seduta contro il motto si vis pacem para bellum, il radicale Negri incolpava proprio il PCI per i missili NATO in Sicilia («vi permettete di minchionare i giovani e la gente tutta») ma anche per la «unanimistica impresa libanese […] spartizione partitocratica».
Nel 1990 scoppiò la Guerra del Golfo, a cui l’Italia prese parte con l’Operazione Locusta contro l’Iraq invasore del Kuwait: i Verdi attaccarono il governo di Andreotti su ipotetiche forniture di armi all’Iraq, un senatore di Democrazia Proletaria si unì all’invocazione pacifista del Papa, mentre sulle armi vendute all’Iraq la DC citava il Manifesto.
Nel 1991, comunque, il PCI pose un limite all’impegno italiano contro l’Iraq e un senatore del Partito Sardo d’Azione esprimeva la sua preoccupazione per gli «iracheni […] innocenti».
Agli sgoccioli della Prima Repubblica, scoppiarono nel 1991 le guerre d’indipendenza slovena e croata: mentre il MSI proponeva al governo di richiedere indietro Istria e Dalmazia e i Verdi gettavano il sospetto sugli interessi di chi riconosceva le neonate repubbliche, si moltiplicarono le voci in favore della loro autodeterminazione – fra queste, la ben nota voce di Domenico Modugno.