A ormai più di un mese dalla sua approvazione, lo scorso mercoledì 24 maggio il Consiglio di Amministrazione dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha bloccato la decisione di includere la pillola anticoncezionale tra i medicinali gratuiti. Erano stati proprio due organi dell’AIFA ad avviare la procedura durante una riunione svoltasi il 21 aprile: il CPR (Comitato prezzi e rimborso), che s’occupa di contrattare i prezzi dei farmaci rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale, e la CTS (Commissione tecnico-scientifica), che svolge invece attività connesse all’autorizzazione in commercio di nuovi medicinali e ne classifica il rapporto costo-efficacia ai fini di eventuali rimborsabilità.
Le due commissioni si compongono di dieci membri ciascuno, di cui tre designati dal Ministro della Salute – uno con funzione di presidente – e uno dal Ministro dell’Economia e delle Finanze; questi componenti durano in carica tre anni, mentre sono membri di diritto il Direttore Generale dell’Agenzia e il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. Di norma, una volta stilata e discussa la procedura prevede un formale assenso da parte del CdA, appunto il Consiglio di Amministrazione, prima che questa possa essere pubblicata in Gazzetta ufficiale e quindi entrare in vigore.
In questo caso, tuttavia, il CdA ha riassegnato la decisione alle due commissioni, citando in causa la carenza d’elementi essenziali per procedere con la deliberazione.
In un comunicato stampa rilasciato sul sito dell’AIFA si richiedono infatti «precise indicazioni sulle fasce di età a cui concedere gratuitamente la pillola anticoncezionale, sulle modalità di distribuzione e sui costi per il Sistema Sanitario Nazionale». Una concessione universale della pillola senza alcun limite d’età o di reddito, come inizialmente stabilito, sembra dunque improbabile, data l’insistenza del documento sulla necessità d’indicare per la procedura determinate categorie: «per esempio […] tutte le donne in età fertile, […] che versano in condizioni economicamente disagiate o […] le giovani fino a 19/26 anni come avviene in alcuni Paesi europei.
Le commissioni dovranno dunque specificare se intendono o meno allinearsi con alcune regioni, tra cui soprattutto Toscana ed Emilia-Romagna, che passano la pillola gratuitamente nei consultori, ma solo alle under-26 e alle donne che hanno partorito o abortito da poco. Il costo per lo Stato era invece già stato calcolato attorno ai 140 milioni di euro all’anno. Non è ancora chiaro però quali sarebbero dovuti effettivamente essere i contraccettivi a carico del SSN e quali no, perché l’elenco definitivo sarebbe dovuto essere consultabile dopo approvazione del CdA.
Il motivo di tale rinvio è in larga parte dovuto alle numerose pressioni da parte dei partiti di maggioranza, che basano molta della loro campagna politica sui valori della cosiddetta “famiglia tradizionale” e da tempo lamentano un crescente calo delle nascite in Italia.
Lo stesso CdA è presieduto da un presidente di nomina leghista, il microbiologo Giorgio Palù, in carica da gennaio 2023; con lui figurano Davide Carlo Caparini, consigliere regionale in Lombardia per la Lega, e Tiziano Carradori, direttore generale dell’AUSL Romagna vicino a Gianfranco Spadoni, prima esponente della Democrazia cristiana e oggi nell’Unione dei democratici cristiani di centro.
Interviene su questo fronte la presidente del CTS Patrizia Popoli, che nega l’influsso della pillola sulla diminuzione delle nascite: «[La pillola, ndr] non rappresenta un ostacolo alla natalità: si tratta solamente di evitare una natalità indesiderata. Concedendo gratuitamente, a chi lo desidera, di prevenire una gravidanza, si previene anche il ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza […]. Quella che dovremmo promuovere è una natalità consapevole, desiderata, il poter scegliere di avere un figlio quando ci si sente pronti ad accoglierlo. Ribadisco infine che si tratta di farmaci ben conosciuti, efficaci e già largamente utilizzati».
Forse quindi si tratta anche d’una strategia, in attesa dell’entrata in vigore d’una profonda riforma dell’AIFA: questa prevede l’abrogazione del Direttore Generale dell’Agenzia in favore dell’accorpamento di molte sue funzioni nella figura del presidente (si ricorda, di nomina ministeriale), insieme all’istituzione d’una commissione unica che sostituisca CPR e CTS. La riforma è stata particolarmente criticata, in quanto renderà l’agenzia più dipendente dal governo.