Gli ingredienti per dare luce a una splendida e originale saga famigliare ci arrivano dai classici e non sbagliano mai. Serve una buona dose di personaggi: devono essere diversi tra loro, ma allo stesso tempo accomunati da alcune caratteristiche. Poi è necessario scegliere un’epoca abbastanza interessante nella quale fare dispiegare le loro vite, in modo da permettere al romanzo di spaziare anche nel tempo. Infine, se proprio si vuole creare una storia indimenticabile, serve del realismo magico.
Haratischwili – giovanissima autrice georgiana che esordisce con L’Ottava Vita nel 2014 – custodisce segretamente la ricetta del romanzo famigliare perfetto ricevuta misteriosamente dai giganti della letteratura.
È proprio a partire da una ricetta perfezionata, custodita e poi condivisa solo con poche persone scelte che si cominciano a diramare i destini delle protagoniste della storia. Ma questo i lettori lo scoprono pian piano, perché tutto parte da Brilka: l’ultima vita, l’ultimo ricamo dell’arazzo, l’inizio di tutto.
Brilka nasce nel 1993, in una Georgia che ormai non è più parte dell’Unione Sovietica, ma non sa liberarsi dal giogo né emanciparsi. Cresce in una famiglia che la riempie di amore, ma che non sa sostituirsi ai suoi genitori, morti prima che potesse davvero conoscerli. Un giorno, con la scusa di un viaggio insieme al gruppo di danza, decide di scappare e andare alla ricerca delle due parenti da cui spera di ottenere tutte le risposte alle domande che si fa dall’inizio dei suoi giorni.
È così che, a partire dalle domande di Brilka, Niza comprende finalmente un concetto spiegatole dalla nonna tanti anni fa e comincia a ripercorrere la fitta rete di avvenimenti che ha portato la giovane Brilka a diventare sé stessa.
Le vite delle donne della famiglia Jashi vengono dunque descritte una dopo l’altra secondo l’interpretazione che Niza ne dà – influenzata dai suoi tempi, dalle storie raccontatele dagli stessi parenti e soprattutto dalla bisnonna Stasia, che dà inizio a tutto (e tutti).
Tra Stasia e Brilka vi è quasi esattamente un secolo, il secolo che noi Occidentali conosciamo come quello degli Stati Uniti, ma che dall’altra parte della cortina è conosciuto come il Secolo Rosso. Attorno alle vite dei personaggi si intrecciano i destini della Georgia, uno stato che diventa molto presto regione quando gli ideali del comunismo cominciano a diffondersi e accecano le coscienze dei suoi abitanti e dei suoi governatori.
Le loro esistenze entrano spesso in collisione con personaggi che hanno fatto la storia, non solo per la famiglia Jashi o la Russia, ma per il mondo intero. Nel raccontare queste vicende, Haratischwili sceglie di usare l’arma dell’ironia. Non cade mai nella comicità, ma rifiuta di nominare due dei burattinai che più crudelmente manipolarono le vite della Russia e affibbia loro soprannomi canzonatori che ne minano l’onore.
Come molti hanno fatto notare, soprattutto tra le donne della famiglia spesso è facile notare similitudini: le vite di alcune sembrano svolgersi nello stesso modo, ma con contingenze che le dividono comune l’una dall’altra non solo sul piano temporale. Molto probabilmente questa percezione è proprio ciò che Haratischwili voleva suscitare, per sottolineare ancor più fortemente gli stretti collegamenti tra le vicende e i membri della casa Jashi.
Sia nella narrazione di Haratischwili che nella metanarrazione di Niza è evidente come vi siano due piani sui quali la storia si svolge: uno è quello rappresentato dallo scorrere del tempo e dal susseguirsi delle generazioni di tutti i membri della famiglia; l’altro è quello che unisce in maniera più stretta i destini delle donne scelte per la custodia della ricetta della cioccolata.
La storia di tutti parte, infatti, con una cioccolateria di successo, con una cioccolata che sembra dare dipendenza e che soggioga tutti coloro che la provano almeno per una volta.
La cioccolata è l’elemento magico della narrazione: inspiegabilmente, il cioccolataio che dà inizio alla dinastia Jashi si rende conto che tanta bontà sembrava contenere in sé altrettante dosi di male. Credendo si trattasse di una maledizione, ormai in punto di morte prega la figlia Anastasia (Stasia) di custodire la ricetta e le fa promettere di non farla mai a nessuno a cui voglia bene. Ovviamente questa promessa sarà rispettata solo a metà e così si verrà a creare il lungo passaggio matrilineare della ricetta della cioccolata unicamente tra le donne che avevano la forza di poterne custodire i segreti e le conseguenze.
I più attenti lettori capiranno prontamente che dietro la ricetta della cioccolata vi sia in realtà una semplicissima – e molto meno magica – reazione chimica tra elementi ben noti. Che dietro ci sia un’antica maledizione o un capro espiatorio che permetta ai personaggi di non prendersi la responsabilità delle loro azioni, poco importa ai fini del romanzo.
In L’Ottava Vita è impossibile non immergersi in ogni storia, è impossibile non entrare dentro i personaggi e non rimanere completamente catturati dalla narrazione. Non importa chi abbia ragione e chi torto, se dietro le decisioni ci sia amore o desiderio di potere, la complessità dei personaggi rende vana ogni discussione e costringe a sospendere ogni giudizio.
Alla famiglia Jashi – che contiene già due linee narrative parallele – si avvicina spesso quella serie di rette incidenti che è la linea del tempo della famiglia Eristavi.
Specularmente alla famiglia protagonista, l’albero genealogico di questa seconda dinastia vede alle sue radici una donna e si dispiega poi tramite i vari successori uomini. Tutto parte da Sopio, madre indipendente ed eccentrica, che per prima sfidò il Generalissimo con il suo solo potere: esistere senza chiedere permesso alcuno.
L’Ottava vita (Per Brilka) è in breve tempo diventato un candidato a diventare classico della letteratura:
amatissimo sia da un pubblico più vicino al mondo social e alla letteratura del momento che dai grandi lettori, finalista all’International Booker Prize 2020, non ci sono dubbi nel mondo della letteratura riguardo all’estrema cura con cui è stato scritto e sulla sua qualità.
Le saghe famigliari, si sa, non sono per tutti, ma questo libro sa essere fresco nonostante la mole e sa entrare nelle nostre vite nonostante le vicende che racconta siano spesso lontane e appartenenti a un mondo a noi estraneo.