Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.
Da qualche giorno gli Stati Uniti stanno facendo tremare gli economisti di tutto il mondo. Sono mesi che si discute della posizione critica del governo statunitense, ma nella scorsa settimana le prospettive sul default del debito americano sono peggiorate vertiginosamente. Facendo un passo indietro, capiamo cosa vuol dire fare default sul debito per gli Usa, e perché questo rischio preoccupi non solo gli Statunitensi, ma tutti i mercati internazionali.
Non è la prima volta che gli Americani sentono parlare di default sul debito.
Come tanti altri Paesi industrializzati, anche gli Stati Uniti tendono a consumare più di ciò che producono: a conti fatti, ciò si traduce in tante uscite e meno entrate di cassa. Per questo motivo, spesso il Governo ha bisogno di coprire il deficit generato, e per farlo si avvale dell’aiuto del Tesoro.
Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America è un organismo membro del Governo Federale, e ha il compito di supervisionare ed amministrare i flussi di moneta che entrano ed escono dalle casse dello Stato, e con essi anche il deficit pubblico. Quando gli Stati Uniti entrano in disavanzo, il Tesoro interviene emettendo titoli di debito per raccogliere liquidità. Il funzionamento dei titoli di Stato è analogo a quello di un finanziamento bancario: il Governo americano chiede ai propri creditori una somma a prestito, promettendo di restituirla con interessi allo scadere dell’accordo. Si tratta di un metodo ordinario per la raccolta di liquidità, messo in pratica da diverse nazioni. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno una limitazione non indifferente: il tetto al debito.
Nel 1917, quando gli Stati Uniti decisero di prendere parte alla Grande Guerra, attraverso il Second Liberty Bond Act introdussero il tetto al debito, pensato per ottenere finanziamenti il più velocemente possibile. Prima di allora, infatti, affinché la Nazione potesse indebitarsi era necessario il consenso del Congresso. Questa pratica però non avrebbe permesso un’agevole raccolta fondi per le spese belliche e l’istituzione del tetto sembrò la giusta soluzione al presidente del tempo, Woodrow Wilson. Nel varare la nuova legge venne quindi imposto un limite di indebitamento, ossia un numero massimo di prestiti emettibili dallo Stato.
La norma prevede inoltre che per modificare il tetto al debito sia necessaria una delibera del Congresso.
È un’evenienza che spesso si è presentata nella storia recente dell’economia americana: secondo il Government Accountability Office, dal 1977 al 2022 il tetto è stato innalzato ben 22 volte. Questo ha permesso agli Stati Uniti di non arrivare mai al default, ma ha certamente causato insicurezza negli investitori, senza contare il consistente indebitamento di 31,4 trilioni di dollari. Una delle più controverse vicende sul debito pubblico americano risale al 2011, quando Obama ebbe un lungo dibattito con il Congresso sull’innalzamento del tetto, mentre gli uffici di amministrazione federale del Governo rimanevano chiusi, perché senza stipendio.
Oggi la situazione sembra ancora più grigia di quel 2011. La segretaria del tesoro, Janet Yellen, ha alzato la voce lo scorso 15 maggio per manifestare la sua preoccupazione sulla pericolosità del debito americano:
Il Tesoro probabilmente non sarà più in grado di soddisfare tutti gli obblighi del Governo se il Congresso non avrà agito per alzare o sospendere il limite del debito entro l’inizio di giugno, e potenzialmente già il primo giugno.
Già lo scorso gennaio il debito americano aveva raggiunto il limite sancito dal tetto, ma furono varate misure straordinarie dal Governo per la gestione dei conti. Ora, sostiene Yellen, non c’è più tempo per tergiversare. Secondo il segretario del tesoro, il tetto va alzato entro l’1 giugno, o il Paese rischia il default tecnico. La data non è casuale, ma è stata stimata da Yellen come il giorno in cui il Tesoro statunitense terminerà i fondi a sua disposizione: da quel momento in poi gli Stati Uniti non avranno più i mezzi per ripagare i propri debiti.
Le conseguenze di questo terribile scenario sarebbero catastrofiche, e non coinvolgerebbero solo gli Usa.
«Minaccerebbe i guadagni per i quali abbiamo lavorato così duramente negli ultimi anni per riprenderci dalla pandemia e scatenerebbe una recessione globale che ci riporterebbe molto indietro» ha continuato Yellen.
La grande paura è che i mercati finanziari di tutto il mondo crollino in una crisi senza precedenti, persino peggio del collasso del 2008. Questo resta comunque la peggiore delle ipotesi, nel caso in cui gli Stati Uniti non riuscissero a trovare una soluzione efficace. Nonostante ciò, va comunque segnalato che i mercati azionari più importanti del mondo stanno già risentendo della sensazione di incertezza e instabilità diradatasi dagli Stati Uniti. Gli investitori sono inermi, in attesa di una soluzione, e i titoli di Borsa ne sopportano le conseguenze.