Poco meno di una settimana fa il governatore della Florida, il repubblicano Ron DeSantis, ha ufficializzato la sua intenzione di partecipare alle elezioni presidenziali americane del 2024, diventando il settimo candidato repubblicano in vista delle primarie. La complicata e disordinata live su Twitter, tenuta assieme ad Elon Musk, con cui ha annunciato la sua discesa in campo, è stata addolcita dall’aver ricevuto oltre otto milioni di dollari in donazioni elettorali nelle 24 ore successive.
A fronte della macchina mediatica che si sta mettendo in moto a riguardo, in vista del frizzante clima elettorale che si prospetta all’orizzonte, sorge spontaneo chiedersi dopotutto chi sia e quali siano le idee di Ron DeSantis. Nato in Florida nel 1978 e di origini italoamericane, laureatosi in Storia a Yale e in legge ad Harvard. Si arruola nella US Navy, servendo come magistrato militare e consigliere legale della marina in Iraq e nella controversa base di Guantanamo. Viene eletto alla Camera dei Rappresentanti nel 2012 servendo tre mandati, per poi essere eletto governatore della Florida nel 2018. Nel 2022 viene riconfermato governatore a pieno titolo, con un vantaggio del 20% sul suo sfidante democratico.
Il curriculum di DeSantis sembra già essere scritto per un futuro incarico da presidente, andando a spuntare tutte le caselle che lo avrebbero reso, in un periodo pre-Trump, il perfetto candidato repubblicano per puntare alla presidenza.
Un curriculum forse troppo perfetto, tanto da dover tentare di evitare di farsi affibbiare, com’era successo a George H. W. Bush, la locuzione di «Brooks Brothers Republican». Con ciò si indica un politico, ovviamente di fede repubblicana, considerato distaccato dall’America reale per via della sua educazione presso college elitari e una carriera di prestigio. Brooks Brothers è infatti un noto e storico marchio americano di abbigliamento di lusso maschile.
Nonostante quello che possa risultare all’apparenza, la figura di DeSantis non è solamente successi personali ed elezioni vinte. Hanno fatto e fanno tuttora discutere diverse politiche portate avanti dal governatore della Florida, le quali hanno attirato su di lui le critiche, ma anche l’attenzione, dell’opinione pubblica americana. La controversia più famosa e più recente è quella attorno ad una legge ribattezzata, per via del suo contenuto, «Don’t Say Gay».
Questa legge impedirebbe di fatto di trattare tematiche legate all’identità di genere, alla sessualità e al mondo LGBT, citando in maniera esplicita la proibizione dell’istruzione e della discussione di questi temi nelle scuole pubbliche della Florida. Il modo in cui la legge è scritta e le contraddizioni tra il preambolo e il corpo principale hanno causato diverse problematiche nel tentare di inquadrarne l’obiettivo finale e l’ambito di applicazione. La stessa Disney, influente in Florida per via dei 70 mila posti di lavoro creati dal parco di divertimenti Disney World di Orlando, dopo averla criticata pubblicamente ha attirato su di sé le ire di DeSantis.
Fino ad ora il focus sulla cosiddetta “culture war”, lo scontro ideologico su tematiche sociali e culturali, quali per esempio razzismo e aborto, sembra aver occupato tutto il tempo di DeSantis.
Di lui, infatti, si conoscono benissimo le posizioni sui temi sopracitati, sfruttati appieno per cristallizzare la sua immagine di uomo forte contro l’ideologia “woke”. Durante il periodo della pandemia di COVID la Florida di DeSantis si è contraddistinta per essere uno degli stati americani più lassisti, schierandosi per riaperture veloci e contro obblighi vaccinali, lockdown e uso delle mascherine. Le forti prese di posizione di DeSantis su questi temi cari ai conservatori americani, tra cui si annoverano anche le armi e l’immigrazione, hanno fatto aumentare il suo indice di gradimento nell’ala più a destra del partito repubblicano.
Proprio sul fronte dell’immigrazione DeSantis è stato criticato, tra gli altri, dallo stesso presidente Joe Biden in seguito ad un trasferimento di immigrati al di fuori della Florida. Questo trasferimento, avuto luogo a settembre, ha coinvolto una cinquantina di richiedenti asilo venezuelani, raccolti con l’inganno tramite la falsa promessa di permessi di lavoro, per le strade di San Antonio in Texas e ricollocati tramite voli privati a Martha’s Vineyard in Massachusetts. Quest’ultima è una roccaforte della borghesia benestante democratica, da cui si può ben intuire il peso politico e il significato simbolico di questa azione.
DeSantis non è comunque l’unico governatore repubblicano ad aver intrapreso azioni simili.
Anche Greg Abbot del Texas e l’ex governatore dell’Arizona Doug Ducey hanno trasferito decine di migranti dai propri stati verso stati democratici, con il secondo che li inviava in pullman direttamente a Washington DC. Nonostante il grosso della sua attenzione e delle sue uscite non siano su questioni economiche, si può comunque intuire come DeSantis la pensi a riguardo. Da questo punto di vista è un repubblicano quasi in tutto e per tutto.
Fortemente liberista, contrario alle tariffe sulle importazioni, favorevole all’impresa privata e a tagli delle tasse per le grandi corporation, seppur contrario a tagli alla previdenza sociale e al programma Medicare, nonostante alcune uscite in senso opposto in passato. Bisogna tenere conto del fatto che la Florida è uno degli stati con la più alta percentuale di persone anziane, per cui tagli alla previdenza sociale e all’assistenza sanitaria sarebbero impopolari e controproducenti.
Altre posizioni su cui DeSantis è stato cristallino sono la pena di morte, per cui ha abbassato la quantità di voti richiesti dalla giuria per approvarla in seguito ad un processo, e la questione dei rapporti con Cina, vista come vero e proprio avversario non più solo economico degli Stati Uniti.
Alla luce di tutto ciò è bene analizzare come DeSantis si posizioni rispetto a quello che, per il momento, è il suo avversario principale, Donald Trump.
I procedimenti giudiziari a carico dell’ex Presidente non l’hanno scoraggiato dal tentare la rielezione, né sembrano aver particolarmente infastidito buona parte della base elettorale repubblicana. La relazione tra DeSantis e Trump e il modo in cui è cambiata sono degli indizi preziosi per inquadrare la futura sfida tra i due. DeSantis all’inizio era molto vicino a Trump, sposandone le idee e soprattutto il modo di fare politica. Ne è testimone uno spot politico in cui DeSantis appariva mentre costruiva con uno dei suoi tre figli un muro di mattoncini giocattolo (il famoso muro al confine col Messico tanto pubblicizzato dall’ex presidente) e leggeva ad un altro il libro The Art of the Deal di Trump stesso.
Successivamente la relazione tra i due è andata peggiorando, entrando in pieno clima di competizione in vista delle primarie repubblicane. Nonostante DeSantis si voglia posizionare come l’alternativa ragionevole e ideologicamente solida di Donald Trump, questi rimane ancora in vantaggio nei sondaggi in vista delle primarie di partito. DeSantis, infatti, considera Trump come ideologicamente eccentrico, con un trascorso personale che non ricalca la figura del conservatore che pure ha caratterizzato a fortune alterne il suo mandato da Presidente.
Proprio il carattere di Trump è visto da DeSantis come la leva per farsi portavoce dei principi e delle battaglie dei conservatori, a fronte di un ex Presidente spesso distratto e governato più dal calcolo politico e dall’umore che da basi ideologiche. Pur non avendo totalmente dalla sua l’elettorato repubblicano, DeSantis sembra invece essere preferito dall’establishment economico e mediatico conservatore, desideroso di una svolta all’insegna della tranquillità dopo il periodo Trump, il quale non accenna comunque a volersi fare da parte e che anzi è andato all’offensiva.
Dai vari nomignoli, tra cui “DeSanctimonious” (sanctimonious significa moralista, bacchettone), affibbiatogli, alle accuse di essere debole sul fronte del commercio internazionale a causa dell’opposizione di DeSantis alle tariffe, Trump si sta mobilitando per tentare di fare una delle cose che gli riescono meglio: denigrare il proprio avversario.
Si prospetta quindi una duplice gara per cui entrambi i candidati cercheranno di presentarsi come anti-establishment per vincere il favore dell’elettorato, tentando allo stesso tempo di conciliare le loro prese di posizione con gli interessi dei gruppi di potere di cui necessitano per finanziare le rispettive campagne elettorali.
Oltre alla semplice sfida per chi sarà il candidato repubblicano alle presidenziali del 2024, se ne prospetta un’altra forse ancora più difficile da vincere, ovvero chi diventerà de facto il leader politico e ideologico del nuovo Partito Repubblicano. Il partito è stato così profondamente influenzato dalla figura di Trump, con i suoi sproloqui e affondi a destra, che da una parte se si vuole vincere non è possibile alienare la sostanziale base di elettori ancora trumpiana, ma dall’altra il messaggio implicito proveniente da DeSantis e altri candidati repubblicani è che ormai è arrivato il momento di chiudere il capitolo Trump e tornare alla normalità.
Nei prossimi mesi si espliciterà il calcolo politico di DeSantis e potremo vedere se sarà un Trump Lite, nonostante gli elettori preferiscano la più calorica versione originale, oppure se tenterà la fortuna posizionandosi come vera e propria alternativa. Le polarizzanti prese di posizione di DeSantis non fanno prospettare per questo secondo scenario. In gioco vi è non solo la battaglia per L’anima dell’America, come titola il recente libro dello storico Jon Meacham, ma anche la battaglia per le redini di uno dei due maggiori partiti americani, criticabile e decisamente discutibile, eppure sicuramente influente.
Articolo di Lorenzo Pellegrini