Del: 2 Giugno 2023 Di: Martina Vercoli Commenti: 0
Ghana, la discarica mondiale del fast-fashion

15, sono i milioni di capi di abbigliamento fast fashion di seconda mano che ogni settimana vengono spediti dall’Europa, Stati Uniti ed Australia e giungono in uno nei mercati più grandi del mondo, il più grande dell’Africa occidentale, quello di Kantamanto nella capitale ghanese di Accra. Molti dei vestiti che doniamo in beneficenza, pensando di compiere una buona azione, finiscono gettati in discariche a cielo aperto, creando un’irreversibile catastrofe ambientale dall’altra parte del mondo. 

Il mercato si espande per 7 ettari, completamente adibiti al commercio di abiti usati. Si tratta del più grande centro di vendita di indumenti di seconda mano provenienti dai paesi del nord del mondo.

I vestiti che giungono nel paese africano sono definiti in Akan, la lingua locale, Obroni Wawu, letteralmente, “I vestiti dell’uomo bianco morto”, perché in Ghana gli abiti vengono gettati solo quando si muore, non quando passano di moda.

Secondo Solomon Noi, direttore della gestione dei rifiuti dell’assemblea cittadina di Accra, non vi è alcun controllo sugli abiti di seconda mano che giungono giornalmente nei porti ghanesi, aggiungendo come il fenomeno sia «un enorme peso per le autorità», che non riesco a gestire gli enormi carichi costantemente in arrivo e ne sono totalmente sommersi. Noi continua affermando che è un problema urgente di cui purtroppo «nessuno parla». 

Il Ghana è uno dei maggiori importatori mondiali di abiti usati. Secondo un rapporto del Tony Blair Institute for Global Change, nel 2019 più di 65 milioni di tonnellate di abiti usati sono stati spediti e circa il 40% non è stato venduto a causa della scarsissima qualità. Il governo locale, l’Accra Metropolitan Assembly (AMA), raccoglie ogni giorno 70 tonnellate di rifiuti di abbigliamento dal mercato di Kantamanto.

Il numero crescente di abiti di scarsa qualità che arrivano al mercato di Kantamanto è uno dei principali fattori della crisi dei rifiuti nel paese africano.

Alcuni indumenti vengono scaricati nelle discariche abusive della zona. Molti altri, invece, vengono gettati in fiumi, mari o lasciati ad inquinare spiagge. Sulla spiaggia Korle-Gonno, situata nella capitale, giacciono strati su strati di rifiuti tessili, sepolti nella sabbia, arrivando fino a due metri di profondità. La maggior parte dei rifiuti tessili, però, viene incenerita all’aria, a volte agli angoli delle strade, a volte in enormi falò che oscurano il cielo per giorni interi, producendo tossine estremamente tossiche per l’uomo e per l’ambiente. 

Solo nel 2020, i milioni di abiti che sono passati per i principali porti Ghanesi sono stati più di 180. Si tratta di un fenomeno a dir poco catastrofico che non accenna a rallentare. Le conseguenze sono disastrose, soprattutto per quanto concerne i danni causati dalle colorazioni chimiche nocive e dalla dispersione nei fiumi e nei mari delle microplastiche.

Inoltre, ogni anno ad Accra si verificano alluvioni, pesantemente aggravate dai rifiuti tessili, poiché questi ultimi tendono ad aggrovigliarsi tra di loro formando grossi nodi che intasano le grondaie e bloccano il flusso dell’acqua e dei rifiuti. Non solo le masse di indumenti contribuiscono a provocare inondazioni distruttive, ma quando le grondaie vengono bloccate da indumenti e rifiuti di plastica, aumenta pericolosamente il rischio di malaria e colera

I capi, per venditori e per la popolazione, risultano essere un grande problema, anche se in fondo rappresentano una delle poche possibilità di impiego per gli abitanti della capitale.

Gli unici beneficiari di questo sistema risultano essere gli importatori, per i quali l’industria può essere molto redditizia, sebbene comporti un rischio commerciale decisamente insolito.

Gli importatori possono infatti spendere fino a 95.000 dollari per un container di vestiti senza sapere la qualità degli indumenti che stanno acquistando. Se i capi risultano essere in buone condizioni, i profitti possono raggiungere rapidamente i 14.000 dollari. Al contrario, se gli abiti risultano essere rovinati, strappati, macchiati, l’importatore potrebbe aver sprecato i suoi soldi. 

Non appena una nuova balla di abiti giunge nel mercato di Accra, in cui operano ogni giorno più di 5000 mila rivenditori, inizia una vera e propria lotta agguerrita per accaparrarsi il più in fretta possibile gli abiti migliori da vendere. L’atmosfera è tesa, tutti sono consapevoli che se non riusciranno ad ottenere i capi di alta gamma, o comunque, con piccoli difetti, per quel giorno, non vi sarà alcun guadagno.

Ed è proprio leggendo storie di realtà come questa che ci rendiamo conto di come qualcosa visto dai paesi del nord del mondo come positivo (un nuovo vestito per ogni occasione, l’armadio che si svuota di abiti che non mettiamo più per fare spazio a degli abiti nuovi, più alla moda) vada invece, dall’altra parte del mondo, a provocare danni così catastrofici e permanenti alla salute dell’ambiente e degli individui.

Martina Vercoli
Studentessa di Corporate Communication presso l’Università degli Studi di
Milano. Amo viaggiare, scrivere, bere cappuccini e parlare di progetti di mobilità Europea.

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