Del: 13 Giugno 2023 Di: Michele Baboni Commenti: 0
Nella testa degli universitari: intervista a Ilaria Cutica

In occasione del ventesimo anniversario dalla fondazione di Vulcano Statale, il giornale degli studenti dell’Università Statale di Milano, abbiamo pensato alla creazione di un numero speciale, di carta, che a partire da questa settimana potrete trovare nelle diverse sedi dell’Ateneo, oltre che leggere giorno per giorno sul nostro sito. Per ulteriori informazioni, seguici sulla nostra pagina Ig: @vulcanostatale.


Gli studenti universitari italiani, ormai da diverso tempo, non stanno bene. Tra ansia da esame, il terrore di finire fuori corso e molti altri fattori di natura socioeconomica, in molti sembrano accusare diverse forme di malessere psicologico, che incidono sulla qualità della vita e possono arrivare a compromettere la carriera universitaria e, nei casi più estremi, l’esistenza stessa dello studente. A seguito degli svariati casi di cronaca, come quello relativo alla studentessa IULM che si è tolta la vita pochi mesi fa, la Statale ha deciso di
compiere uno studio per verificare la condizione psicologica degli studenti dell’ateneo, intervistando più di 7000 studenti per comprenderne la condizione sociale e psicologica. L’indagine, secondo i ricercatori, dipinge degli studenti “poco soddisfatti della propria qualità della vita, attanagliati dall’ansia di prestazione e in alcuni casi con sintomi depressivi, ma per fortuna con una solida rete di relazioni sociali a supporto”. Due dati che richiamano l’attenzione e che hanno sorpreso in negativo sono in particolare il livello di insoddisfazione per la qualità della propria vita, che si attesta complessivamente al 55% degli studenti intervistati, e la presenza di sintomi depressivi nel 12% delle persone.  

Abbiamo deciso di raggiungere Ilaria Cutica, docente di psicologia generale della Statale che ha curato le interviste agli studenti e ha contribuito alla realizzazione dello studio, per farci raccontare da lei i risultati dello studio e per farci spiegare il fenomeno del disagio mentale.  

Nell’ottobre del 2022 è stato presentato dalla Statale un primo studio sul disagio psicologico degli studenti universitari, di cui abbiamo parlato all’inizio dell’articolo. Dato che lei ha lavorato a questa indagine, cosa ci dicono i dati raccolti?

Noi ci aspettavamo un dato che evidenziasse un certo aumento del disagio, perché dati analoghi ci arrivavano da altri studi provenienti da altri paesi, europei e non. Con la pandemia e il periodo successivo sono stati fatti diversi altri studi, e i livelli di disagio che venivano riportati, peraltro comuni a studenti delle scuole medie e superiori, rappresentavano un aumento del malessere di diverse tipologie; in particolare, si è registrato un aumento dei disturbi d’ansia e dei disturbi depressivi. Tuttavia, nonostante le aspettative, questi due dati (insoddisfazione complessiva al 55% e presenza di sintomi depressivi al 12%) sono quelli che ci hanno colpito maggiormente, perché il malessere registrato è stato comunque al di sopra delle nostre aspettative. In particolare, colpisce il livello elevato di insoddisfazione, considerando l’età media di 24 anni degli intervistati, un’età in cui le persone dovrebbero essere più propositive e spinte verso il futuro e invece risultano aver perso la spinta creativa e lo stimolo ad andare avanti. In sostanza ci aspettavamo un dato in aumento, ma nonostante ciò siamo rimasti sorpresi.

Secondo lei quali sono le cause di questo fenomeno?

Come spesso accade nei fenomeni complessi, si tratta di un insieme di fattori. Già da prima della pandemia c’erano degli studi, in particolare risalenti al periodo tra il 2005 e il 2010, che ci segnalavano un lento ma costante incremento del disagio emotivo, specificamente negli studenti universitari. Questo incremento era in particolare legato all’ingresso nell’età adulta e al cambio di ruolo che coincide con l’uscita dalle scuole superiori e l’assunzione di una maggiore responsabilità su di sé e sul proprio percorso. Ora lei potrebbe dirmi che anche chi decide di andare a lavorare vive questa condizione, ed è vero, è un fattore comune a tutti coloro che entrano nell’età adulta ed assumono più responsabilità. Gli studenti universitari hanno in più l’effetto della scelta della facoltà, ovvero l’effetto di una decisione che orienterà la loro vita lavorativa e la loro identità come persone, da cui dipende anche la loro futura professione. Succede dunque che talvolta l’incertezza sulla propria identità e il dubbio di aver fatto una scelta giusta vanno a cadere nel momento in cui l’individuo si sta costruendo la propria identità di persona adulta. A questo si possono aggiungere altri fattori, legati ad esempio all’incertezza economica (pensiamo agli studenti fuorisede che hanno magari necessità di mantenersi gli studi o di far quadrare i conti con la propria famiglia) o il cambiare città, le relazioni. In aggiunta può avere un certo peso l’adattamento ad un nuovo ambiente e a nuovi ritmi, diversi rispetto a quelli della scuola superiore, con la necessità di organizzare una quotidianità più libera che può diventare a sua volta una fonte di stress. Oltre a tutti questi fattori si è aggiunta chiaramente la pandemia, che ha accelerato l’aumento di disagio che le citavo precedentemente. Ovviamente la pandemia ha colpito tutti, quindi anche la salute mentale degli universitari, e si è aggiunta ai molteplici fattori che incidono sulla condizione degli studenti. Da un lato c’è dunque il COSP, che ha aumentato il personale anche per fornire una risposta più rapida alle richieste di aiuto, e sono state anche aumentate le convenzioni con le strutture del territorio per offrire agli studenti che ne avessero bisogno dei percorsi di psicoterapia a prezzi calmierati. Il punto però è questo: se la persona che si rivolge al COSP ha un problema di natura principalmente accademica, come ad esempio i dubbi sulla scelta del corso di laurea, viene preso in carico dagli psicologi del COSP in un percorso di counselling; se invece lo studente presenta un disturbo d’ansia o depressivo, che quindi colpisce la sfera accademica, ad esempio spingendo lo studente a ritirarsi prima di un esame, la persona viene indirizzata verso un servizio di psicoterapia che invece l’università non fa. Quindi posso dire che l’università si è attivata su questi due aspetti e, rispetto a quanto fatto dagli altri atenei, è stata data una buona risposta. Poi è chiaro che la voce degli studenti, che sono gli utenti e potrebbero avere una visione differente.

Dal suo punto di vista, c’è sensibilità sul tema da parte dei docenti e delle istituzioni universitarie?

Non riesco a darle una risposta precisa, nel senso che c’è di tutto. Sicuramente questa indagine e il fatto che se ne sia parlato ha contribuito ad aumentare la sensibilità del personale docente sulla questione. Questo avviene da parte di alcune realtà, che si tratti di singoli docenti o di collegi didattici che hanno la consapevolezza della necessità di occuparsi di questo fenomeno problematico e delicato. Questo ovviamente non riguarda tutti, perché è un discorso legato alla sensibilità individuale e ognuno ha un carattere diverso. Detto ciò, quello che si può fare è cercare di ampliare ulteriormente questa consapevolezza, anche per coloro che non ci sono ancora arrivati spontaneamente. Ma alcune realtà si sono già mosse e il fatto che ci sia stata questa indagine sicuramente ha già avuto un effetto di incremento della consapevolezza di un fenomeno reale di cui bisogna occuparsi.

L’università sta facendo abbastanza per far fronte al problema?

Io ovviamente ho un punto di vista parziale, che è quello dell’università e non dello studente, che ovviamente potrebbe avere un punto di vista diverso dal mio. Dall’interno vedo quello che sta facendo l’università e credo che sia abbastanza, poi  quest’indagine conoscitiva è stata di fatto il primo passo di un progetto di intervento esteso, che comprende l’aumento degli psicologi interni all’università per far fronte all’aumento delle richieste di aiuto da parte degli studenti.

Aldilà della situazione universitaria, cosa dovremmo aspettarci per il futuro su questo tema?

Io sono ottimista nella misura in cui vedo una tendenza alla riduzione dello stigma nel chiedere aiuto in caso di difficoltà o disagio mentale. Tant’è che quell’incremento che dicevamo all’inizio, riferito alle richieste al COSP, è sicuramente legato a un peggioramento della salute mentale, ma è anche in parte legato al fatto che si sta abbattendo lo stigma del “sento un disagio e in qualche modo me lo devo gestire da solo”, o la vergogna nel chiedere aiuto. Di solito infatti ci si rivolge ad un professionista solo se la situazione è molto grave, altrimenti si tende a nasconderla e si evita di parlarne con altri, per non essere visti come “deboli”; difficilmente si parla agli amici di un disturbo d’ansia come si parlerebbe di un dolore al ginocchio. Questo stigma c’è sempre stato, però io vedo che piano piano si sta sgretolando, e in questo sono ottimista. Se aumenta la capacità di chiedere aiuto e se diminuisce la vergogna nel dire di avere una difficoltà emotiva, è chiaro che qualsiasi situazione affrontata sul nascere verrà trattata più in fretta e con più successo, con conseguenti miglioramenti della qualità di vita maggiori rispetto a quando si ha di fronte una stabilizzazione o cronicizzazione di un disturbo.

Questo cambiamento culturale, che va aldilà del discorso universitario, fa sì che le persone possano sentirsi più legittimate a chiedere aiuto, e credo che alla lunga possa portare un miglioramento della qualità di vita perché si può intervenire prima e senza sensi di colpa o sensi di inadeguatezza.

È possibile rivolgersi al servizio di consulenza offerto da Unimi per problemi relativi al metodo di studio o emotivi scrivendo all’indirizzo mail servizio.counseling@unimi.it

Michele Baboni
Studente di scienze politiche, sono appassionato di filosofia, politica e calcio. I temi che ho più a cuore sono i diritti civili e il cambiamento climatico, anche se l'attualità è sempre un punto di partenza stimolante per nuove riflessioni. La scrittura è il mezzo per allargare i miei orizzonti, la curiosità il vento che mi spinge alla ricerca incessante di nuove risposte.

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