Del: 5 Luglio 2023 Di: Matilde Elisa Sala Commenti: 0
Bookadvisor, consigli di lettura di luglio

Il 5 di ogni mese, 5 libri per tutti i gusti: BookAdvisor è la rubrica dove vi consigliamo ciò che ci è piaciuto di recente, tra novità e qualche riscoperta.


Il continente bianco, Andrea Tarabbia (Bollati Boringhieri) – recensione di Matilde Elisa Sala

Marcello Croce è un giovane ragazzo a capo di un movimento di estrema destra, il Continente Bianco, che porta avanti ideali neofascisti, violenti e fanatici. L’obiettivo del movimento è cercare di sovvertire l’ordine attuale, riaffermare la superiorità dell’etnia bianca e annullare ogni forma di uguaglianza, la ragione principale del decadimento della società.

La strada di Marcello si incrocia con quella di Silvia, una donna altolocata, parte della borghesia romana. I due diventano amanti ma si perderanno poi in giochi di potere che porteranno a conseguenze estreme. Colui che racconta la vicenda è estremamente ammaliato proprio da Marcello, del quale diventerà succube, deciso però a seguirlo, passo dopo passo, per raccontarne al meglio la storia.

Candidato al Premio Strega 2023, Il continente bianco è un romanzo forte e disturbante. Disturba leggere descrizioni di atti e dialoghi violenti, disturba la forza delle idee e delle parole, in grado di corrompere e plasmare gli individui, soggiogati da discorsi ammalianti, condannati poi a delle sorti terribili.

Confonde che il nostro narratore abbia proprio nome Andrea Tarabbia, come l’autore del romanzo. Sono effettivamente la stessa persona? Può essere, non si è certi di questo. Ma anche questo particolare conferma quanto sia centrale, come tema, il potere: il potere della parola sulle persone, il potere degli altri su di noi, il potere del male, che temiamo ma forse, in fondo, ci affascina un po’.


Café Royal, Marco Balzano (Einaudi) – recensione di Matilde Elisa Sala

Le vite che si incontrano al Café Royal sono tante, e hanno percorsi diversi alle loro spalle. Sembra quasi impossibile che un piccolo bar di Via Marghera, in una grande città come Milano, possa essere teatro di così tante vicende. Eppure, anche se all’inizio le storie sembrano tutte autonome, in realtà sono in qualche modo legate tra di loro, persone accomunate o separate da esperienze significative.

In modo quasi shakespeariano, secondo il quale «Tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena» (As you like it, Atto II, Scena VII), allo stesso modo i personaggi di questo romanzo sono attori e attrici inconsapevoli di essere parte attiva di quel grande palcoscenico che è la vita. Ognuno di noi ha una storia personale, ma non deve mai dimenticare di essere circondato da altri individui, ognuno con la propria storia.

Infatti, anche solo leggendo questo romanzo è davvero semplice immedesimarsi in qualche personaggio, arrabbiarsi o capire le loro scelte. Café Royal è una lettura davvero toccante e delicata, in grado di suscitare importanti riflessioni sulla complessità e sulla profondità dei rapporti umani.


God save the Queer, Michela Murgia (Einaudi) – recensione di Giulia Riva

«Come fai a tenere insieme la tua fede cattolica e il tuo femminismo? Non la senti la contraddizione?». Così, con una domanda, si apre God save the Queer, breve saggio edito da Einaudi nel 2022 in cui Michela Murgia non teme di svelare la propria complessa identità di femminista, intellettuale e cristiana, intenzionata a ragionare sul perché non è detto che cercare di «risolvere [le contraddizioni] sia la cosa migliore».

La domanda rimane il cuore del testo, di capitolo in capitolo si articola, facendosi guida di un approfondimento teologico che lascia spazio ad ogni persona – credente e non credente – grazie alla competenza dell’autrice, studiosa di Scienze religiose e determinata a non accontentarsi di una fede immobile, fatta di risposte pronte. Nessun dubbio viene respinto e Murgia si sottopone anche agli interrogativi più ardui:

Come si può essere femministǝ e persino attivistǝ quando si ha fede nel Dio in nome del quale si inginocchia un sistema religioso così patriarcale e inflessibile al cambiamento culturale? […] L’idea di Dio che la mia Chiesa professa include la mia libertà o la nega? Dio mi ama come sono e vorrò essere, oppure rimarrò un disordine oggettivo nell’ordine della creazione, un’anomalia di programmazione destinata a stare ai margini, a essere guardata con sospetto?

Applicando la pratica che il femminismo storico definisce «partire da sé», dal proprio corpo, dal rapporto vissuto con le cose del mondo, Michela Murgia indaga la natura del cristianesimo: si chiede se davvero esso sia incompatibile con il femminismo o se invece, attraverso i suoi insegnamenti, non si opponga proprio a quel maschilismo tossico cui ci siamo abituatǝ.

Con acutezza squarcia ogni credenza consolidata: si interroga su un Dio troppo a lungo rappresentato come maschio e padre, sul perché e sul futuro di una religione trasformatasi in «strumento per il mantenimento dell’ingiustizia», spingendosi a rivelare l’autentico significato della Trinità – un amore triangolare, inclusivo, senza sesso né genere. E ci spiega perché la figura, storica oltre che religiosa, di Gesù, incarnando l’enigmatica «pratica della soglia», abbia rappresentato un «Messia queer», potenziale alleato delle lotte per i diritti di tuttǝ.


Bell’abissina. Un’indagine del Commissario Marino, Carlo Lucarelli (Mondadori) – recensione di Nina Fresia

Nel 1937 a Roma gli agenti della Squadra Fognature, deputati a ispezionare il sottosuolo per garantire la sicurezza del Duce, rinvengono il cadavere di una giovane, uccisa con un taglio alla gola. La vicenda, però, si svolge a Cattolica tre anni dopo, quando il segretamente antifascista commissario Marino si interessa al caso, quasi ossessionato dall’idea di individuare il colpevole.

Le indagini non proseguono lineari: si intrecciano infatti con la storia della famiglia Brandimarzio, famosa per le fortune nelle colonie africane e per i loschi legami con i gerarchi fascisti. Marino è quindi costretto a muoversi con molta cautela, attento a non far saltare la sua copertura o a prendersela con l’uomo sbagliato.

La scrittura è magnetica: lo stile asciutto e tagliente unito ai misteri della trama conferiscono alla lettura un ritmo rapido e fluido. Tutti i personaggi coinvolti vengono identificati per un loro tratto distintivo (un sorriso storto, gli occhi ravvicinati o l’abbigliamento eccentrico), diventando così immediatamente familiari e riconoscibili. La stessa caratterizzazione del protagonista, il commissario Marino, ruota attorno alla descrizione del suo modo di pensare, sempre così assorto e metodico. Ed è proprio lui a farsi portavoce del tema della giustizia, il più importante del racconto, nascosto tra le pieghe del poliziesco.

Lo sfondo è quello di una riviera romagnola sull’orlo dell’entrata in guerra, tra tensioni politiche e primi razionamenti in vista del conflitto. Il clima cupo dato dal contesto storico e dalle scoperte sull’assassinio è sdrammatizzato dagli stessi esponenti del regime, rappresentati come vere e proprie caricature, e dalle sue assurde e amaramente ironiche contraddizioni interne.


Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi, Michela Murgia (Mondadori) – recensione di Angela Perego

L’essenza dell’ultimo romanzo di Michela Murgia – Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi – sta tutta qui, nel suo titolo. Dodici racconti che vedono protagoniste persone profondamente diverse tra loro per età, estrazione sociale e convinzioni politiche, accomunate però dalla necessità di far fronte ad un cambiamento radicale e dal tempo nel quale si trovano invischiate in questo momento di passaggio, vale a dire il periodo pandemico.

«Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita», scrive Murgia, che in questo romanzo cerca di analizzare, assecondando un interesse quasi antropologico, quei rituali personalissimi cui ciascuno di noi è in grado di dare vita nel tentativo di ricercare “forme inedite di sopravvivenza emotiva” – nel tentativo, insomma, di adattarsi a scenari nuovi e inaspettati, in grado di stravolgere in modo doloroso e traumatico le nostre vite. Che si tratti di un lutto, dell’avvento di una malattia, della fine di una relazione o dell’ingresso nell’adolescenza, la difficoltà sta non solo nell’accettare il cambiamento, ma anche – e forse soprattutto – nell’accettarsi dopo il cambiamento.

I personaggi creati da Murgia cercano di farlo nei modi più disparati – chi tradendo, chi innamorandosi del cartonato di un cantante sudcoreano e intrattenendo con esso una relazione segreta e fuori dal comune, chi rifiutando il rituale dei pasti e affidando la propria sopravvivenza al contenuto di tre ciotole.

Nonostante questo, soprattutto gli ultimi racconti faticano a restare impressi nella memoria del lettore, che percepisce molte delle situazioni narrate come innaturali e distanti da sé, non riuscendo a immedesimarvisi, benché fosse proprio questa la promessa che aveva accompagnato l’uscita del romanzo. Molti personaggi risultano tratteggiati in modo superficiale, alcune condizioni di estrema fragilità vengono narrate in modo poco empatico, così che situazioni scaturenti da un profondo disagio psicologico – si veda il capitolo intitolato Grazie dei fiori – risultano infine banalizzate e romanticizzate in modo sgradevole, se non pericoloso.

L’unico racconto veramente riuscito risulta il primo, in cui Murgia affronta il tema della malattia e, in particolare, racconta il momento della diagnosi, attingendo alla propria esperienza personale. In questo racconto, l’autrice riesce a decostruire la narrazione della malattia come guerra, mostrando come persino una tale esperienza possa essere vissuta come parte di noi, come possibile risvolto della straordinaria complessità che caratterizza l’essere umano.

«Mi ha detto che scrive romanzi, un bellissimo lavoro, ma è molto complicato. Nessuna specie in natura lo sa fare, solo gli esseri umani. Conosce altre lingue oltre l’italiano?». «L’inglese, il francese, più o meno lo spagnolo… Sto studiando il coreano». «Preferirebbe non saper fare nessuna di queste cose a patto di non ammalarsi mai? Gli organismi unicellulari non sviluppano neoplasie, ma non imparano lingue. Le amebe non scrivono romanzi».

Matilde Elisa Sala
Studio Lettere, mentre aspetto ancora la mia lettera per Hogwarts. Osservo il mondo con occhi curiosi e un pizzico di ironia, perdendomi spesso tra le pagine di un buon libro o le scene di un film. Scrivo, perché credo che le parole siano lo strumento più potente che abbiamo.

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