Del: 24 Luglio 2023 Di: Nina Fresia Commenti: 0
In Italia l'armocromia spaventa ma i giornalisti di più

La notizia che la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein segue i consigli di un’armocromista per decidere del proprio abbigliamento è apparsa ovunque lo scorso aprile: per molti risulta assurdo credere che una leader politica si possa appoggiare ad un’esperta di immagine, adattando il proprio aspetto ai dettami di una moda spopolata sui social network negli ultimi mesi. 

Per quanto il web si sia scatenato con battute e gli oppositori abbiano cercato di cavalcare il momento, è evidente che Schlein non sia l’unica politica ad adottare precise strategie comunicative e di immagine, ma anzi l’elenco è piuttosto lungo. Spicca fra tutti per meticolosità nella cura dell’immagine proprio la nemesi naturale della segretaria dem: non sappiamo se la premier Giorgia Meloni abbia una consulente per gli abbinamenti cromatici, ma è certo che ci tenga a porsi davanti agli elettori secondo modalità ben precise e studiate.

Non è un caso che lo staff incaricato di seguire la Presidente del Consiglio è formato da persone di fiducia, che si occupano della comunicazione della leader di Fratelli d’Italia da molti anni, avendo così acquisito una buona conoscenza del suo elettorato e di che cosa sia necessario proiettare all’esterno per ottenere consensi

Se già costruire la campagna elettorale ha richiesto un enorme sforzo e incredibile attenzione in questo senso, da quando Meloni ha assunto la guida del governo una scrupolosa cura della sua immagine è diventata di fatto essenziale. 

Evitare domande scomode e passi falsi è imperativo se non si vuole finire nel mirino dei mass media, ma non è stato un compito così facile all’inizio di questa legislatura.

Una certa insofferenza verso i giornalisti e le critiche da loro avanzate Meloni non l’ha mai nascosta: nonostante il ruolo politico assunto, la Presidente del Consiglio non ha intenzione di ritirare le querele nei confronti di Roberto Savianoe del ormai ex direttore del giornale Domani, Stefano Feltri

Se è vero che l’accusa di diffamazione è stata avanzata quando Meloni era ancora solo leader del proprio partito, è altrettanto corretto affermare che al momento si sia generata una netta disparità di posizioni tra querelante (il capo del governo) e querelati (i giornalisti).

Lo scontro, però, non è limitato alle aule di tribunale: a novembre, durante unaconferenza stampa per la presentazione della legge di bilancio, la premier è rimasta particolarmente infastidita dai cronisti che lamentavano di aver avuto poco spazio per porre domande. 

«In altre situazioni siete stati meno assertivi» ha affermato la Presidente, quasi sfidando i giornalisti e presupponendo che qualsiasi domanda si stessero preparando a sottoporle sarebbe stato un modo per criticarla o coglierla in fallo. 

L’idea che il mondo della comunicazione possa essere concentrato a creare una narrazione antagonista rispetto all’attuale compagine di governo ha continuato ad accompagnare Meloni, toccando il suo apice al momento della conferenza stampa svoltasi a Cutro, in conclusione di un Consiglio dei ministri allestito a seguito della tragica strage di migranti verificatasi a pochi metri dalle coste calabresi. 

L’appuntamento con i giornalisti ha assunto un carattere ai limiti del grottesco: 

il classico scambio domanda-risposta si è presto trasformato in un vero e proprio dibattito tra la premier e cronisti, accusati proprio dalla premier di «strumentalità nel tentativo di dimostrare che l’Italia non ha fatto qualcosa che doveva fare» per evitare il disastro. A generare il forte caos, l’altrettanto grande confusione nella ricostruzione dei fatti presentata da una nervosa Meloni in risposta alle prime domande sul perché la Guardia Costiera non sia intervenuta per attuare il salvataggio dell’imbarcazione. 

Ma, in ogni caso, tale legittima ricerca di trasparenza circa una situazione che ha portato alla morte di quasi cento persone «non è un bel messaggio che diamo, anche all’esterno dei confini nazionali» secondo la leader di FdI. Insomma, se belli si vuole apparire un po’ è necessario soffrire. Ed apparire sembra essere l’unica cosa che conta, anche a costo di sacrificare la verità.

Da qui il cambiamento di rotta: l’obiettivo diventa evitare ove possibile di subire un altro “assedio” da parte dei media. Ed è così che Giorgia Meloni incomincia a schivare incontri con i giornalisti: dopo Cutro non ha più presenziato nessuna conferenza stampa a seguito dei diversi Cdm che si sono susseguiti, mentre le risposte agli interrogativi dei cronisti sono limitate alle conclusioni di importanti summit internazionali. Eccezione importante in questo senso sono le paradossali «dichiarazioni alla stampa» che sarebbero dovute essere rilasciate dalla premier a seguito dell’incontro con il Presidente tunisino Kais Saied. Il condizionale è d’obbligo: le dichiarazioni ci sono state, ma è mancata la stampa

I giornalisti presenti in Tunisia a fronte della visita ufficiale di Meloni non sono infatti stati invitati al punto stampa, che si è trasformato in un monologo di una decina di minuti della Presidente del Consiglio. 

Anche se l’episodio, ampiamente criticato, può essere giustificato dal fatto che Saied non permette ai cronisti di accedere presso i palazzi governativi, deve comunque essere inserito all’interno di un quadro molto più ampio. È solo una delle tante occasioni in cui Meloni ha forzosamente scansato quella che ha propagandisticamente fatto diventare la sua personale persecuzione: la stampa italiana. 

Le proteste dei lavoratori del mondo della comunicazione si sono, tra l’altro, recentemente riaccese dopo il trattamento loro riservato durante l’inaugurazione del collegamento Frecciarossa tra Roma e Pompei. Giornalisti, operatori e fotografi sono stati infatti costretti dal servizio di sicurezza a salire in anticipo sul treno diretto allo scavo archeologico, senza possibilità di porre domande agli esponenti di governo, e poi esclusi dalla visita svolta da Meloni, obbligandoli così a sostare per mezz’ora sotto al sole attendendo di poter svolgere il proprio mestiere.

Ma anche quando la Presidente concede ai giornalisti di svolgere il proprio lavoro, le sue risposte rimangono spesso evasive: «nasce un nuovo colore: il fumo di Giorgia» ha titolato Repubblica commentando l’intervento di Meloni davanti agli industriali di Assolombarda. Per esentare quanto più possibile il proprio governo da critiche e accuse di fragilità, la premier si trova spesso costretta a rilasciare dichiarazioni che dicano tutto ed il contrario di tutto

Calzante in tale prospettiva l’avvicendamento recente tra potere esecutivo e giudiziario: 

Meloni, dopo un periodo di silenzio, si è espressa in merito alla nota attribuita a fonti di Palazzo Chigi accusando la magistratura di aver inaugurato «anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee». Nonostante la Presidente del Consiglio si sia apertamente presa la responsabilità di un’espressione così incendiaria, allo stesso tempo si dichiara lontana da ogni volontà di scontro: «Da parte mia non c’è alcun conflitto, chi confida nel ritorno allo scontro di altri tempi resterà deluso».

Contraddicendo le sue stesse parole, Meloni cerca di sbloccare il nodo giustizia senza inimicarsi nessuno e rilanciando l’idea che qualcuno (riferimento implicito ad opposizioni e stampa) alimenti un conflitto scatenato in realtà dalla sua stessa maggioranza.

Le dichiarazioni ambigue sono quindi un metodo identificato dalla premier per non esporsi troppo e non perdere consenso mentre tenta di liberarsi da un’impasse spinosa: «Cos’altro deve accadere perché, infine batta un colpo?» si domandava la segretaria del PD Elly Schlein, interdetta dalla prolungata assenza di interventi pubblici da parte di Meloni, specialmente in merito alle emergenze economiche e sociali vissute dal paese. 

Ma non si può sempre tacere, ed è qui che subentra una seconda strategia per rilasciare comunicazioni senza rischiare di incontrare contraddittorio. 

Si tratta della perla comunicativa ideata dallo staff di Meloni: videomessaggi pre-registrati e studiati nei minimi dettagli, ideati per tutti gli scopi, dal presentare provvedimenti del governo come il dl lavoro all’addio all’alleato di coalizione Silvio Berlusconi. 

Era stata inizialmente inaugurata la rubrica socialGli appunti di Giorgia per presentare il programma della sua maggioranza, ma ben presto i videomessaggi sono diventati praticamente l’unico strumento di comunicazione applicato dalla premier. Tale modalità consente alla Presidente di proiettare all’elettorato una narrazione univoca nel rendere conto dell’operato del proprio governo e un’immagine di sé studiata con calma e strategia. 

La precisione che sta dietro ai videomessaggi che ci vengono presentati sfiora la maniacalità. Basta soffermarsi sulla scelta degli sfondi per comprenderlo: dal particolare dei soprammobili colorati che richiamano al tricolore agli ambienti sempre diversi, spesso sfarzose stanze dei palazzi di potere, all’interno dei quali Meloni si muove, come se conducesse un documentario “alla Alberto Angela

Non stupirebbe, a questo punto, scoprire che anche la scelta dell’abbigliamento della premier sia studiato: magari la leader di FdI non si ispirerà ai principi dell’armocromia (fatto potenzialmente confermato, dato che la popolare teoria sugli abbinamenti di colori le avrebbe tassativamente proibito di vestirsi di bianco all’incontro con il Papa), ma se Schlein è stata accusata di eccessiva cura della sua immagine e scarsa credibilità, allora, cosa si dovrebbe dire di Giorgia Meloni?

Nina Fresia
Studentessa di scienze politiche, curiosa per natura, aspirante giramondo e avida lettrice con un debole per la storia e la filosofia. Scrivo per realizzare il sogno della me bambina e raccontare attraverso i miei occhi quello che scopro.

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