Del: 25 Luglio 2023 Di: Jessica Rodenghi Commenti: 0

Campi Bisenzio si trova in provincia di Firenze. In Via Gattinella, dal primo giugno, lavoratori e lavoratrici di Mondo Convenienza stanno scioperando per ottenere il rispetto dei propri diritti.

Giorno dopo giorno, la protesta è rimasta davanti ai cancelli dell’azienda: la risposta è stata negare qualsiasi trattativa e colpevolizzare chi sta esercitando il diritto allo sciopero. Nel frattempo 25 persone sono state licenziate, in quanto da 45 giorni non si sono presentate al lavoro. Prima la lettera di richiamo, poi il provvedimento definitivo che giunge a chi per quegli stessi giorni non ha avuto uno stipendio e ora non ha più nemmeno un posto di lavoro.

Il 9 giugno SiCobas Prato-Firenze racconta tramite il profilo Instagram che «Nonostante fossimo incatenati uno all’altro, la polizia ha iniziato lo sgombero con trascinamenti, colpi e in alcuni casi soffocamento salendo sui nostri corpi. Tre persone sono svenute. Un delegato sindacale è stato trasportato di urgenza al pronto soccorso per difficoltà a respirare dopo che almeno tre poliziotti dei reparti sono stati sopra di lui».

Non è stato l’unico caso, infatti diversi sono stati gli sgomberi, che volevano permettere il passaggio di camion destinati alle consegne, ma che allo stesso tempo hanno rimosso dei lavoratori dalla postazione di sciopero con la forza.

La polizia è intervenuta anche a Settimo Torinese, dove le proteste sono iniziate più tardi, verso il 12 luglio. Ad un certo punto i lavoratori sono stati sgomberati con metodi brutali, sono stati spinti, trascinati via e presi a calci: il tutto per permetter ai camion parcheggiati lungo la provinciale di rientrare nel piazzale del magazzino. Dopo poco, il picchetto si è immediatamente ristabilito.

Bologna è un altro dei centri di protesta, dove i lavoratori dichiarano di essere stati attaccati «con calci e pugni mentre stavano protestando pacificamente dentro al magazzino, non avrebbero mai visto le facce di chi li ha aggrediti, certamente non colleghi facchini che solitamente lavorano a Bologna». Qui è stato aggredito anche un fotografo di Repubblica, che è stato minacciato al suon di “se mi fotografi ti rompo la macchina e ti butto in tangenziale”.

Le tensioni non mancano, quindi, per lavoratori che chiedono il rispetto di diritti basilari sui luoghi di lavoro.

Nonostante le condizioni poco dignitose in cui queste persone sono costrette a lavorare, sono state portate avanti delle contro-proteste da parte di chi voleva tornare operativo e ha chiesto agli scioperanti di aprire un passaggio per permettere l’ingresso in azienda.

Si è parlato anche di un “blocco illegale”, quando in realtà lo sciopero è un diritto garantito dall’articolo 40 della Costituzione italiana, ma allo stesso tempo il blocco stradale è stato ri-penalizzato nel 2018, tramite il Decreto Sicurezza: le multe possono arrivare fino a quattromila euro. Secondo le testimonianze in presa diretta, chi si oppone allo sciopero lo farebbe per pura sopravvivenza, perché non poter lavorare significa anche rinunciare allo stipendio e molte persone accettano queste condizioni proprio perché hanno famiglie da sostenere.

Le rivendicazioni riguardano innanzitutto gli orari lavorativi: sulla busta paga figurano 8 ore giornaliere, ma tutti i facchini dichiarano di farne almeno 11, sino alle 14.

Il loro lavoro consiste nel trasporto e montaggio di mobili nelle case dei clienti, luoghi da cui non si può tornare prima di aver terminato un lavoro. Ad esempio, se alle 20 non si è terminata la preparazione, il lavoratore dovrà rimanere sino al termine del servizio, ma le ore extra non vengono pagate.

Secondo quanto dichiarato dai dipendenti, infatti, il tempo aggiuntivo viene richiesto dall’azienda, pena una decurtazione che può essere di centinaia di euro, di conseguenza diventa obbligatorio rispettare questa clausola. Si denunciano anche riposi non adeguati, in periodi di sovraccarico si arriva a lavorare 7 giorni su 7, spesso viene garantito un solo giorno di riposo.

Non finisce qui: nonostante il tipo di lavoro rientri nel settore logistica, i dipendenti firmano un contratto multiservizi, che di solito è proposto dalle imprese di pulizie, in quanto figurano diverse tipologie di servizi. Mondo Convenienza non produce mobili, ma fornisce i mezzi per il trasporto e gli operatori per il montaggio, quindi il contratto adeguato dovrebbe essere quello del settore logistica. La differenza è molta: la paga oraria è molto più bassa e, se fosse applicato il contratto adatto, si vedrebbe un aumento di 5.000 euro annui in busta paga.

Tutto questo non è assolutamente una novità, sono dieci anni che i dipendenti scioperano ad intervalli regolari ed ora sembra un momento in cui diverse sedi stanno incrociando le braccia, cercando di ottenere condizioni migliori.

L’azienda ha chiuso qualsiasi possibilità di contrattazione, colpevolizzando chi sciopera e lodando chi, invece, non si unisce ai picchetti. Questo sistema di sfruttamento è molto radicato e si fatica ad ottenere cambiamenti, proprio perché funziona in questo modo da moltissimo tempo.

Innanzitutto i dipendenti non si vedono proporre il contratto di lavoro da Mondo Convenienza, ma sempre da aziende in appalto, come Veneta Logistics, RL2 e altre ancora, che periodicamente vengono cambiate (ogni 2 o 3 anni).

Sempre con questa cadenza, si ha un ricambio costante di lavoratori: il facchinaggio non regolamentato non garantisce mezzi elettrici per lo spostamento dei mobili e i dipendenti si ritrovano a trasportare manualmente mobili pesanti anche dove non ci sono ascensori. Questo causa un’alta percentuale di infortuni, che poi causano l’abbandono dell’azienda e subito dopo qualcuno prenderà il posto della persona che si ritrova con un’ernia, un problema alla schiena, un periodo prolungato di fermo nei casi migliori.

Il sistema è rodato, infatti l’azienda non dichiara una mancanza di dipendenti, ma le loro condizioni di lavoro rasentano lo sfruttamento.

Molti dipendenti sono immigrati, hanno famiglie a carico e accettano l’occupazione pur di portare a casa il necessario, ma lavorare in questo modo non è umano.

Se tutto questo può sembrare il punto di vista di una sola parte, basta citare l’indagine a carico della Procura di Bologna per caporalato, in cui cinque persone sono state rinviate a giudizio per rispondere delle irregolarità sul lavoro dei dipendenti nell’azienda.

Vengono denunciati infatti orari di lavoro infiniti, pagamenti difformi rispetto all’inquadramento nazionale dei contratti, mansioni che prevedono uno spostamento di pesanti carichi fisici e metodi di controllo umilianti. Il caporalato, infatti, prevede uno sfruttamento dei lavoratori sostenuto dal pagamento di tangenti, con una paga inferiore (a volte anche inesistente) rispetto a quanto dichiarato dai contratti.

Spesso vengono presi di mira lavoratori immigrati, che non conoscono a fondo i diritti dei lavoratori in Italia, che non parlano bene la lingua e faticano ad esprimersi, oppure che semplicemente accettano la condizione di lavoro pur di avere uno stipendio. Secondo i dati Istat, infatti, la retribuzione media mensile che viene dichiarata dagli occupati italiani è di 1.356 euro, mentre quella degli stranieri scende a 965. A parità di impiego, quindi, gli italiani sono pagati il 30% in più rispetto agli immigrati, penalizzati se extracomunitari.

La situazione di Mondo Convenienza è una delle tante realtà italiane che nascondono illegalità e sfruttamento tra le righe fitte dei contratti.

Ognuno di noi può nominare almeno un’azienda di cui si sappia la condotta illecita, ma che comunque permane attiva e non denunciata. La condizione si aggrava nel caso di lavoratori immigrati, occhio del ciclone di stereotipi e stigma fomentati dalle destre, le quali per anni hanno soffiato sul fuoco di italiani in condizioni di povertà, che hanno poi deciso di dare la colpa di tutti gli errori del proprio Paese a chi vi è giunto in modi estremi, senza alternative.

Jessica Rodenghi
Jessica, attiva nel mondo e nelle società, per fare buona informazione dedicata a tutti e tutte.

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