Il clima imprevedibile ed i suoi effetti violenti di quest’estate hanno ricordato ancora una volta l’urgenza di un’azione collettiva ed immediata per contrastare le ripercussioni del cambiamento climatico, che sta già avendo delle conseguenze importanti sulle nostre vite e presumibilmente ne avrà altre negli anni a venire.
A partire dal Protocollo di Kyoto del ‘97, una molteplicità di istituzioni locali, nazionali e sovranazionali, ma anche private o comunque non governative, hanno preso nel tempo impegni nell’implementazione di politiche sostenibili e a tutela dell’ambiente, anche se i risultati non sono attualmente sufficienti e le azioni da intraprendere sono ancora molte.
Tra queste istituzioni troviamo anche le università, che hanno nel tempo stretto delle convenzioni per ridurre il proprio impatto ambientale e per sviluppare una gestione più sostenibile delle proprie risorse.
A livello internazionale, la più grande organizzazione tra atenei è l’International Sustainable Campus Network (ISCN), fondato nel 2009 e che attualmente rappresenta 101 atenei situati in un totale di 32 Paesi.
L’ISCN funge sostanzialmente da raccordo tra le università aderenti, che seguono dei piani quadriennali che vanno a definire gli obiettivi e le strategie degli atenei nell’ambito della sostenibilità (qui il piano quadriennale per gli anni dal 2020 al 2023).
Per quanto riguarda l’Italia, il network analogo all’ISCN è la Rete Universitaria per lo Sviluppo Sostenibile (RUS), fondata nel 2015 da alcuni atenei italiani (tra cui la Statale di Milano) e che attualmente rappresenta 49 università. La RUS si occupa dunque di coordinare i vari atenei verso azioni sostenibili, di promuovere un’educazione multidisciplinare alla sostenibilità e di favorire delle collaborazioni tra aziende pubbliche e private, secondo la prospettiva della terza missione delle università; è importante sottolineare che la RUS partecipa ad una serie di iniziative incentrate sul cambiamento climatico, tra cui le ultime due edizioni della COP (Conference of Parties), in cui la Rete ha portato alla conferenza le posizioni delle università italiane.
Oltre a queste organizzazioni, è necessario menzionare il Green Office Movement, ovvero un altro ente di networking trans-universitario grazie al quale 23 atenei europei hanno istituito un organo istituzionale specifico, che attraverso dei gruppi di lavoro misti tra professori e studenti gestisce le diverse questioni relative al management sostenibile, come la gestione delle mense, le agevolazioni per i trasporti pubblici o lo smaltimento dei rifiuti. Il primo green office istituito in Europa è stato quello dell’Università di Maastricht, nato nel 2010 con un budget di 110.000 euro; da lì, altri 22 atenei hanno seguito, tra cui in Italia l’Università di Torino, quella di Firenze e la Statale di Milano, che dal 2019 ha il proprio Green Office.
Ma specificamente, qual è il ruolo della Statale nell’ambito della sostenibilità?
Come abbiamo detto precedentemente, la Statale partecipa attivamente a tutte le organizzazioni universitarie sopracitate, avendo dunque un coinvolgimento diretto nello sviluppo delle politiche ambientaliste a livello universitario. Oltre a ciò, sul sito di Unimi si possono trovare due progetti attualmente attivi, ovvero il progetto Città Studi Campus Sostenibile e il progetto Minerva 2030.
Il primo dei due progetti, realizzato in collaborazione col Politecnico, consiste, similmente al Green Office, in 5 gruppi di lavoro su altrettanti temi, che hanno la finalità di mettere in atto delle best practices per migliorare lo stile di vita degli studenti di Città Studi, attraverso iniziative ed eventi su questioni come l’educazione, l’alimentazione e l’utilizzo dell’energia. Il progetto Minerva 2030 raccoglie invece le istanze dell’Agenda 2030 per la lotta al cambiamento climatico, cercando di puntare su piani e progetti a basso impatto ambientale in collaborazione con altre realtà del settore.
Tuttavia, c’è da considerare, aldilà della partecipazione alle organizzazioni o dei progetti citati precedentemente, anche l’impegno della Statale sul piano interno, reso pubblico nel Bilancio di sostenibilità presente sul sito ufficiale Unimi. Sul piano della spesa interna, i bilanci della Statale evidenziano come, nel 2021, siano stati spesi poco più di 3 milioni di euro per i vari investimenti in ambito di sostenibilità ambientale, il che rappresenta il doppio dei soldi spesi nel 2019, ma anche un milione di euro in meno rispetto ai 4 spesi nel 2020.
L’aumento degli investimenti tra il 2019 e il 2020 è principalmente dovuto a due fattori:
la spesa di 1.3 milioni di euro per lo smaltimento di rifiuti e la spesa di 400mila euro per l’acquisto e la produzione di energia verde, entrambe assenti dal bilancio del 2019, e l’aumento degli investimenti da 600mila a un milione di euro per acquisti come defibrillatori, aree per fumatori e distributori per l’acqua. Tuttavia, il calo di un milione di euro di investimenti registrato tra il 2020 e il 2021 rappresenta un dato su cui riflettere, al netto del fatto che la pandemia ha sicuramente messo in difficoltà tutte le università e che ha inevitabilmente ridotto le disponibilità economiche dell’ateneo; il taglio principale si è verificato proprio negli investimenti generali, dove in un anno l’esborso è passato da un milione a 12mila euro.
Oltre alla gestione dei rifiuti e gli acquisti, delle altre azioni da menzionare sono le piantumazioni e la gestione delle aree verdi, le sovvenzioni al personale per gli abbonamenti a mezzi di trasporto sostenibili ed i costi per il personale impegnato nella sostenibilità, che costa alla Statale mezzo milione di euro all’anno.
Per avere un quadro complessivo, i costi totali sostenuti da Unimi nel 2021 si attestavano a 125 milioni di euro, di cui 3 sono stati spesi per le questioni legate alla sostenibilità descritte precedentemente; in altri termini, per il 2021 il 3.75% dei costi della Statale si sono tradotti in investimenti ed iniziative green.
Un altro discorso che non può essere escluso è quello della ricerca in ambito di sostenibilità, che è e deve essere una prerogativa delle università italiane.
Per il triennio 2019-2021 la Statale ha ottenuto un totale di 106 milioni di euro di finanziamenti per la ricerca, con cui ha potuto sostenere ben 770 progetti, dei quali 96 inerenti alla sostenibilità e al cambiamento climatico; la somma dei finanziamenti di questi 96 progetti, pari a circa 17 milioni di euro, indica che circa il 18% dei finanziamenti per la ricerca sono stati investiti nel campo della sostenibilità, che sia per lo sviluppo di tecnologie o per ricerche in generale.
Tuttavia, un dato che colpisce negativamente è il drastico calo dei finanziamenti verificatosi tra il 2020 e il 2021, che sono passati da 9.1 a 1.2 milioni e che ha ridotto a sua volta i progetti da 48 a 12. Questo calo si può spiegare nuovamente con la pandemia, che ha colpito pesantemente la ricerca in Statale in ogni suo ambito: nello stesso periodo di tempo, i finanziamenti sono infatti passati da 36.8 a 19.5 milioni, mentre i progetti sono passati da 250 a 202. Alla luce di questi dati, risulta comunque evidente che, in proporzione, il settore della ricerca sostenibile ha subito un ridimensionamento più consistente rispetto ad altri ambiti.
Alla luce di tutto ciò, è evidente che gli investimenti green abbiano subito una pesante battuta d’arresto, com’è evidente che gli sforzi negli anni sono stati considerevoli. Pertanto, sarà necessario da parte della Statale e dell’intera comunità universitaria un’ulteriore sforzo affinché la sostenibilità possa riprendersi con forza, e che l’impegno per la salvaguardia del pianeta non sia solo una bandiera, ma una priorità concreta del mondo accademico.