Del: 25 Ottobre 2023 Di: Nina Fresia Commenti: 0
Come le fake news potrebbero trascinarci in guerra

Saper riconoscere una fake news è una sfida costante e sempre più difficile: prendendo come esempio il nostro paese, il 20% degli italiani ritiene di non essere in grado di farlo, mentre più del 60% crede di poterci riuscire solo in parte.

La battaglia mossa contro notizie inaffidabili, specie quando la loro eco è amplificata dal web, diventa però cruciale nel momento in cui le armi vengono imbracciate e la guerra è combattuta per davvero.

Stando al rapporto annuale del 2022 sulla buona comunicazione dell’emergenza quotidiana di Censis-Ital Communications, almeno due italiani su tre (66,1%) sono stati esposti a una notizia falsa sul conflitto russo-ucraino scoppiato nel febbraio dello stesso anno. E, se queste persone non hanno gli strumenti per interpretare correttamente l’informazione, allora il conflitto rischia di intensificarsi ed espandersi. E purtroppo non solo metaforicamente.

Abbiamo infatti imparato quanto possano essere nocive le fake news in periodo bellico osservando l’impatto della propaganda russa in patria e all’estero.

Caso simbolo in questo senso e di grande risonanza sui media è quello dell’influencer incinta ferita durante il bombardamento dell’ospedale di Mariupol. Marianna Podgurskaya, la protagonista di questa bufala complottista, è stata accusata di aver solo recitato la parte della vittima, con l’obiettivo di far apparire più grave della realtà l’attacco alla struttura ospedaliera, non più in funzione secondo i russi.

Diversi account social, tra cui quelli di numerose ambasciate russe, hanno messo in discussione la veridicità della fotografia che ritrae Podgurskaya sanguinante dalla testa mentre abbandona l’ospedale e del video in cui tenta di ripararsi dal freddo in mezzo alle macerie. Alcuni, tra cui il rappresentante della Federazione russa all’ONU, hanno addirittura sostenuto che il ruolo di attrice di Podgurskaya si sia spinto oltre: la donna si sarebbe cambiata i vestiti e avrebbe posato per l’obiettivo sdraiata su una barella, fingendo di essere stata colpita dal bombardamento.

La persona ferita incinta inquadrata in quell’immagine è in realtà una persona diversa, la cui testimonianza sull’accaduto purtroppo non ci è giunta: la sua storia si è conclusa lì, a Mariupol, a causa delle ferite riportate. Quella del suo bambino, invece, non è mai cominciata.

Un altro conflitto che ci insegna a maneggiare con cautela le notizie che vengono riportate è quello tra Israele e Palestina, infiammatosi il 7 ottobre con l’Operazione Alluvione Al-Aqsa. I miliziani di Hamas usciti dalla Striscia di Gaza sono penetrati in territorio israeliano e hanno seminato il terrore nelle zone di confine, uccidendo più di mille persone e rapendo decine di ostaggi. A essere particolarmente colpiti dai massacri sono stati i kibbutz, comunità agricole autonome presenti nell’area.

Nelle ore successive agli attacchi è iniziata a circolare la macabra notizia di 40 bambini decapitati da Hamas nel kibbutz di Kfar Aza. A seguito di alcune verifiche, si può affermare che la storia è molto dubbia: il responsabile della ONG Zaka Yossi Landau, una delle prime fonti ad aver diffuso la vicenda, ha ritrattato le sue dichiarazioni, mentre l’esercito israeliano e altri canali ufficiali non sono in grado di confermare in modo indipendente l’informazione.

Anche per quanto riguarda l’esplosione verificatasi nel parcheggio dell’ospedale al Ahli di Gaza City è necessario condurre indagini approfondite sulle diverse ricostruzioni di quanto accaduto. Hamas ha subito accusato Israele di aver bombardato una struttura piena di feriti e sfollati, trovando il sostegno nella condanna da parte di Turchia, Egitto, Iran, Qatar e Giordania.

Secondo Israele, invece, l’esplosione sarebbe la conseguenza di un razzo lanciato dalla Striscia di Gaza ad opera del gruppo Jihad Islamico, ipotesi avvallata dalle forze armate israeliane e rapidamente diffusa grazie a grafiche e video esplicativi dai loro attivissimi canali social. Anche il presidente statunitense Joe Biden, sulla base dei dati forniti dal Pentagono, ha dichiarato alla stampa di non ritenere Tel Aviv responsabile dell’attacco.

Si discute anche sulla portata in termini di vite umane dell’evento: se Hamas parla di più di 400 vittime, fonti d’intelligence europee e USA, nonché alcuni analisti esperti indipendenti sostengono che, trattandosi probabilmente di un lancio ravvicinato, il numero di morti sarebbe tra i 10 e i 50.

Può sembrare freddo e cinico incaponirsi su numeri, dati e fonti quando si ha a che fare con emergenze umanitarie di questa gravità.

Ma è proprio per dare dignità e giustizia alle vite perse in queste tragedie che è necessaria un’accurata ricerca, evitando che le vittime diventino strumenti di propaganda capaci di alimentare la distruzione.

In Turchia, Giordania e Libano alcuni manifestanti hanno cercato di assaltare ambasciate statunitensi e israeliane quando il governo di Netanyahu è stato indicato come responsabile di aver bombardato l’ospedale palestinese. Così come la notizia dei 40 bambini decapitati avrebbe potuto comportare un inasprimento dell’offensiva contro Gaza, i dubbi sui fatti dell’al Ahli potrebbero determinare un allargamento del conflitto nella regione.

Il parcheggio dell’ospedale al Ahli

È chiaro che quando fonti ritenute autorevoli rilanciano notizie false diventa ancora più dura scongiurare i rischi ad esse connesse. E in un mondo dove la maggior parte delle persone si informa tramite social network il problema è anche saper individuare tali fonti. Impresa tutt’altro che facile anche a causa della gestione del social X (ex Twitter) da parte del suo nuovo proprietario Elon Musk.

Oltre ad aver licenziato gran parte dei dipendenti occupati a combattere la disinformazione sulla piattaforma, Musk ha dato la possibilità a tutti gli utenti di poter pagare per ottenere la famosa spunta blu originalmente nata con l’obiettivo di certificare l’ufficialità e l’attendibilità di un account. È anche per via della nuova politica del patron di Tesla, tutta incentrata sull’engagement e con poco riguardo alla veridicità dei fatti, che molti hanno creduto, ad esempio, che Cristiano Ronaldo avesse manifestato in campo il suo supporto alla Palestina.

Musk non si sta dimostrando quindi un buon alleato contro le fake news,

d’altronde non potevamo aspettarci molto di più da chi ha affermato senza finta modestia di aver salvato il mondo da una guerra nucleare sospendendo la copertura dei suoi satelliti Starlink alle forze armate ucraine. Come è ovvio, o forse no, si tratta dell’ennesima notizia falsa.

È quindi evidente che un fatto non vero, che riguardi uno scontro a fuoco o un calciatore famoso, che sia confermato da un capo di stato, da un miliardario o da un semplice account social, è un tassello, più o meno grande, del labirinto della disinformazione.

Durante una guerra i muri del labirinto rischiano di alzarsi e moltiplicarsi, intrappolando e condannando chi vi finisce a una visione faziosa o distorta della realtà.

Il filo d’Arianna che può guidarci lungo il percorso sono le inchieste indipendenti, le verifiche delle fonti, il confronto tra diverse posizioni. Non è facile, è sicuramente più immediato e comodo, vagare senza impegno tra le pareti del dedalo, ma lo dobbiamo a chi ci ha rimesso la vita, a chi potrebbe rimettercela in un futuro non così lontano e, infondo, anche a noi stessi.

Nina Fresia
Studentessa di scienze politiche, curiosa per natura, aspirante giramondo e avida lettrice con un debole per la storia e la filosofia. Scrivo per realizzare il sogno della me bambina e raccontare attraverso i miei occhi quello che scopro.

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