L’animazione cecoslovacca sorprende sempre e ancora, già una volta in questa sede si è parlato di un grande maestro di questo, Jan Švankmajer con il suo capolavoro Alice. Qui si scopre un regista della generazione precedente a quella di Švankmajer e che influenzò molto quest’ultimo: Karel Zeman e i suoi due film più noti, La diabolica invenzione (1958) e Il barone di Munchausen (1962).
Nato nel 1910, Zeman è un regista del tutto unico nella storia del cinema, non solo di quello d’animazione; quello che lui mette nei suoi film non è solo la firma di riconoscibilità di uno stile, ma un’idea di progetto filmico completamente propria in grado di creare delle pellicole che non si trovano se non nella sua filmografia, cioè:
le opere di Karel Zeman sono simili sono alle opere di Karel Zeman.
Il regista è noto per l’aver creato uno stile d’animazione che fonde elegantemente riprese dal vivo e disegno animato a passo uno (la stop motion), il tutto con uno stile illustrativo che si rifà alle opere di Gustave Dorè, in particolare alle sue illustrazioni dei libri di Jules Verne. Anche quest’ultimo è un’importante punto di riferimento di Zeman, giacché molte delle sue opere sono tratte da suoi romanzi, e i due film scelti oggi sono esempi di questo.
Il primo è La diabolica invenzione, film del ’58 tratto dall’omonimo libro di Verne. Si racconta di uno scienziato rapito da un gruppo di pirati che, prima restio e poi convinto, fabbrica un’arma di potenza mai vista. Un personaggio, Simon Hart, si ritroverà invischiato e si impegnerà nell’evitare che l’arma venga costruita. Lo stile di disegno è direttamente ispirato alle illustrazioni del libro di Verne, fatte da Édouard Riou e Léon Benett, regalando un’impressione magica: sono i loro disegni che vediamo muoversi e prender vita, tutto con uno stile dal forte gusto retrò e libresco, ma mai cartoon. Attori in carne si incontrano in ambienti illustrati che sembrano pagine di un libro, con animali, mezzi e d effetti speciali dal forte gusto concreto, con un bianco e nero pulito e che rimanda alla carta stampata.
Il tutto con un certo spirito fanciullesco, d’avventura e favolistico tipico dei libri di Verne, che perdona una narrazione effettivamente lenta in alcuni punti, poco incisiva nei personaggi. La diabolica invenzione ha sempre una continua forza di antico che viene riscoperto, dando allo spettatore un piacere visivo continuo, fatto di stupore innocente; ai tempi fu un piccolo grande successo anche in Italia.
Tutto quello appena scritto viene amplificato, approfondito, espanso con Il barone di Munchausen, film del 1962 tratto dall’omonima raccolta di racconti di Rudolf Erich Raspe, con l’aggiunta di vari riferimenti a Verne. Si racconta di un uomo che, arrivato sulla luna, fa amicizia con Il Barone Munchausen e, insieme e su idea di quest’ultimo, intraprendono un viaggio sulla terra in affronteranno varie avventure fra sultanati, battaglie navali, grandi castelli e altro.
La prima differenza che si nota rispetto al film precedente è l’uso del colore: forte, acceso, brillante, dalle tonalità più seppia fino ai colori più accesi o caldi. Si ha così un senso più poetico, delicato e sublime, come un vecchio libro per bambini che si muove. L’avventura vissuta dai due protagonisti attraverso il globo porterà a vedere meravigliose illustrazioni come un gran palazzo turco dall’immensa ricchezza, le profondità marine in una veste del tutto fantastica e molto altro ancora.
L’amore che c’è dietro a queste pellicole è un amore verso la concretezza, una passione per l’appassionarsi, per il fantastico elegante che concede un cinema dal perenne gusto di scoperta, stupore e leggiadria.
Lo stupore è il sentimento che più si prova, specialmente per Il Barone Munchausen che migliora e aggiusta anche i difetti del primo film, con una storia che cambia continuamente, sia nelle ambientazioni che nello stile o le vicende. il lavoro dietro a questi film è preciso e studiato da mani esperte, difficile dire quanto ci sarà voluto per realizzare qualche fotogramma di quello che c’è a schermo. Uno stile d’animazione che funziona benissimo ancora oggi, non solo perché stupisce ancora ma anche perché perfettamente fluido e credibile, ad anche dove non è fluido non è un male, anzi. Il sentimento poetico perenne è la poetica di questo grande regista quale Zeman era, spiegabile semplicemente con la bellezza semplice dello stupirsi perché è bello stupirsi.
C’è tanto da poter dire e su queste pellicole, forse per ora meglio lasciarsi incantare senza aggiungere altro.