Del: 13 Ottobre 2023 Di: Jessica Rodenghi Commenti: 0

Dopo 65mila anni, i nativi australiani non vengono ancora riconosciuti dalla Costituzione come tali. I documenti ufficiali sono scritti dai discendenti dei colonizzatori e gli aborigeni sono stati delegati a minoranza con un paio di seggi in parlamento, niente di più.

Dopo secoli di discriminazioni, violenze ed esclusione sociale, i nativi hanno raccolto le firme per un referendum indetto per il 14 ottobre chiamato Voice to parliament, che si propone di creare Voice, un organo consultivo che si occuperà di promuovere misure per colmare le disuguaglianze degli indigeni. I membri di Voice saranno eletti dalle comunità native; per ora non abbiamo informazioni circa le modalità, ma il fatto che siano persone della stessa comunità a suggerire soluzioni per le persone stesse, è un passo avanti.

In Australia ci sono molti stereotipi riguardo gli aborigeni, ad esempio visti gli alti tassi di criminalità, vengono considerati come persone non in grado di accedere ai lavori più “in alto” della società.

In realtà fino a poco tempo fa non venivano considerati nemmeno come persone, infatti solo dal 1967 hanno ottenuto la cittadinanza australiana, prima venivano elencati come si elencano piante o animali e non venivano considerati nei censimenti. Il tasso di alcolismo fra gli indigeni è elevato, la criminalità anche, il tasso di suicidi è di recente raddoppiato, ma il governo australiano non ha proposto soluzioni concrete per questi problemi, se non marginalizzare ancora di più la comunità. Per questo è nata la proposta del referendum, per garantire una voce da chi vive le situazioni di discriminazione e difficoltà, date da un sistema che è stato pensato per i colonizzatori bianchi e non per gli indigeni.

Quando l’Australia fu colonizzata dagli Inglesi, le testimonianze furono che quella fosse una terra nullius, quindi un territorio che non apparteva a nessuno e con questa scusa si giustificarono massacri, rapimenti, violenze, presa di possesso di terreni altrui. Su quelle terre, però, vivevano gli aborigeni, che da allora lottano per riavere i diritti di proprietà sui luoghi in cui hanno vissuto da sempre. Il loro legame con la terra è qualcosa di sacro e non si può racchiudere nell’idea di “possesso”: essere insieme al territorio è diverso e presuppone unione, non gerarchia.

Un altro dei tantissimi episodi di violenza contro gli indigeni è quello della stolen generation, terminato ufficialmente nel 1969, anche se si hanno testimonianze successive. Non veniva riconosciuto alcun diritto sui propri figli, quindi il governo australiano rapiva i bambini indigeni, per reindirizzarli in orfanotrofi o in campi di rieducazione, in cui veniva insegnata la storia dal punto di vista dei colonizzatori. Qui venivano tagliati tutti i rapporti con i genitori, mozzando alla base la proliferazione della cultura indigena: era un modo per non permettere agli aborigeni di avere un futuro, sia civile che culturale.

Da questi eventi storici le cose sono cambiate, ma il razzismo e la discriminazione continuano ogni giorno.

Sono moltissime le testimonianze di nativi che sentono sempre gli occhi addosso di qualcuno, soprattutto di forze dell’ordine, pronti ad agire nel caso di movimenti sospetti. Oppure molto spesso ci sono problemi sistemici che spingono la popolazione bianca a credere in stereotipi falsi e a riproporli quando si approcciano ad un aborigeno. Questi sono soltanto casi meno violenti, ma sono sempre troppe le testimonianze di aggressioni razziste, motivate con stereotipi radicati a livello sociale.

Per questi e moltissimi altri motivi è stato indetto il referendum, ma non tutti sono d’accordo. L’opposizione suggerisce che un cambiamento della costituzione ad oggi sarebbe il più grande cambiamento dal 1967 e aggiunge che un privilegio come Voice non può essere garantito soltanto per una minoranza. A loro parere, infatti, sarebbe ingiusto offrire questo servizio soltanto agli aborigeni, quando ci sono altre minoranze che poi vorrebbero soluzioni simili. Allo stesso modo si riporta l’idea populista per cui ci sarebbero “problemi più grandi da affrontare”, in questo senso abbiamo sentito la frase pronunciata da diversi leader che cercavano di relegare a situazione minore qualcosa che è un diritto fondamentale per le persone che lo richiedono.

Altre motivazioni sono ancora più estreme e non fondate: nel Pamphlet pubblicato dal governo australiano per gli elettori, una delle motivazioni del “no” sostiene che Voice sarebbe parte di un procedimento di distruzione della nazione australiana. Questo perché gli aborigeni vorrebbero distruggere la bandiera, le tradizioni e la cultura locale a loro favore. Peccato che chi fa queste affermazioni sia discendente degli stessi colonizzatori che hanno distrutto la cultura e le idee di una popolazione nativa che è stata discriminata e uccisa per secoli.

Il 14 ottobre sarà il giorno del voto, il referendum passerà soltanto se otterrà la doppia maggioranza, quindi la maggior parte dei voti fra tutta la popolazione maggiorenne e anche in 4 stati su 6. Indire un referendum è l’unico modo in cui si può cambiare la costituzione in Australia e l’ultimo era del 1999, quindi ad oggi il governo ha pubblicato documenti, video e testi per informare la popolazione su come funzioni il voto. Esiste anche un registro della disinformazione, in cui la commissione elettorale australiana annota tutte le fake news che riguardano il voto. A tempo debito conosceremo il prossimo passo dell’Australia, che potrebbe inserirsi nelle azioni di post-colonialismo in cui si cerca di fare i conti con il proprio passato, oppure continuare nella marginalizzazione di persone che sono in una posizione subalterna proprio a causa del governo stesso.

Jessica Rodenghi
Jessica, attiva nel mondo e nelle società, per fare buona informazione dedicata a tutti e tutte.

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