Del: 9 Ottobre 2023 Di: Giulia Perelli Commenti: 0
Wes Anderson, quattro cortometraggi d’autore

Cambi di scena meccanici, come scenografie teatrali che scorrono una sull’altra. I colori pastello, ormai uno statement; la fotografia di Roman Coppola; la pulizia delle ambientazioni, le inquadrature meticolose ed ordinate, le atmosfere da “casa di bambola”.

Una sceneggiatura narrata, come se ci stessero leggendo un racconto, le battute essenziali, come se le parole di Roald Dahl fossero tramutate su uno schermo, preservando il loro ritmo letterario. 

Pochi, essenziali messaggi e una struttura narrativa ad incastri: 

con Wes Anderson devi stare attento. Questi gli elementi chiave di una nuova, freschissima serie di cortometraggi del regista americano, debuttata negli ultimi giorni di settembre su Netflix. 

Gli short movies in questione sono tratti da opere di R.D., l’approccio del regista si riassume bene in queste sue parole: «I am equally interested in the way Dahl tells the story as I am in the story itself» dice in un’intervista per Netflix[1], ponendosi come medius quasi meccanico dei racconti di R.Dahl, riutilizzando quasi integralmente le parole dello scrittore. 

E così, il gruppetto impeccabile scelto dal direttore — Rupert Friend, Ralph Fiennes, Dev Patel, Ben Kingsley, Richard Ayoade e Benedict Cumberbatch — mette in scena un metateatro, alcuni narrando di una passata versione del proprio personaggio (Ruper Friend in Swan), altri impersonando Roald Dahl stesso (Ralph Fiennes) con un ritmo incalzante, senza fiato, con un intreccio narrativo più vicino al libro che al cinema. L’esperimento funziona.

Siamo partiti con La meravigliosa storia di Henry Sugar, presentato a Cannes e a Venezia, e non ne abbiamo avuto a sufficienza. Wes Anderson ci ha accontentati con tre altre prelibatezze: Il cigno, Il derattizzatore e Veleno.

La meravigliosa storia di Henry Sugar

«All the people of Henry’s type have one peculiarity in common: a terrific urge to make themselves richer»

E così quando il protagonista scopre un antico escamotage yogi per vedere anche senza occhi, decide di applicarlo al gioco d’azzardo: l’allenamento è lungo, tre anni di meditazione, esercitazioni e isolamento. Eccoci, ci siamo, giochiamo. Con prudenza, certo, non vorremmo dare nell’occhio. Giochiamo allora: vinciamo, ovviamente. Eppure, non godiamo; come non godiamo? Era tutto quello che volevamo.

Wes ci racconta di una metamorfosi spontanea e non cercata, sopravvenuta come conseguenza naturale ed inaspettata – e lo fa nel periodo delle yoga guru, del «me, myself and I», dei workout goals e pilates glow-up, l’era in cui ci imponiamo aggiornamenti tecnici ogni giorno, a suon di challenge ed eras. Il nostro protagonista è un uomo nuovo e non ha cercato di esserlo. E noi con lui, partecipiamo a questa evoluzione silenziosa

Il racconto è tratto dalla raccolta Un gioco da ragazzi e altre storie di Roald Dahl. 

Il cigno

Pulizia magistrale ed essenzialità per questa storia strappa-cuore. Lasciate fuori dalla stanza patetismo e compatimento: vi vergognerete. Sentirete addosso il peso della responsabilità dell’indifferenza o del silenzio grazie a quegli occhi celesti di Rupert Friend, piatti ed inquisitori, dritti nella camera.

Un solo slancio in quei 17 minuti di rassegna sul bullismo: «Please don’t do it. You can’t do it. Please don’t! Stop!», Peter non può vedere la morte dei suoi amati cigni. Un solo grido. E non per la primaria vittima ma da lui, per qualcun altro.

Tra quelle due siepi perfettamente allineate si consuma la tragedia di un bambino speciale: 

Some people when they have taken too much and have been driven beyond the point of endurance simply crumble and collapse and give up. Others, however, though they are not too many, will for some reasons always be unconquerable.

Roald Dahl, The Wonderful Story of Henry Sugar and Six More

Questo è Peter: timido e debole agli occhi dei villani Ernie e Raymond, infine imbattibile, agli esiti della storia. 

Il derattizatore

Wes Anderson se fosse pulp. Macchè pulizia: polvere e sabbia, si parla di ratti! E persino il protagonista stesso (R. Fiennes) si assimila ai roditori: lunghi incisivi gialli, passo felpato, movimenti scattanti. Solo così potrà sconfiggerli e proprio così, invece, troverà la sua rovina. Un ripudio che, per rimanere in tema, replica quello degli umani per i topi: abbiamo tutti qualche ratto in casa. Viscido ma sempre elegante e mai rozzo. 

Veleno

Semplice e rapido: proprio come il morso di un serpente. B. Cumberbatch ha un serpente addormentato sulla pancia, un movimento lo condurrebbe a morte certa. Dev Patel, l’amico, e il dottore indù (Ben Kingsley) si affaccenderanno per risolvere la scomoda situazione. Peripezie casalinghe, ambientate in una scenografia essenziale e plastica che obbliga lo spettatore a concentrarsi sull’evento cruciale, senza distrazioni e con i brividi sulla schiena.

Se stai attento senti davvero la sinistra vibrazione della bestia … che non esiste: è solo un delirio del paziente. E prosegue, quel delirio, sfociando in una rabbia incontrollabile che fa scappare il medico e rompe la pace della scena. Con eleganza, Wes Anderson ci chiede, per favore, di non abbandonare la gentilezza.

Giulia Perelli
Vivo di viaggi, di libri e di esperienze. Scrivo di tutto quello che vedo e sono un moto perpetuo. Sono una studentessa di giurisprudenza e di tutto quello che mi capita di voler imparare. Sono l’artista meno artista di sempre. Nella vita devo solo poter raccontare, parlare e fotografare.

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