Del: 12 Novembre 2023 Di: Jessica Rodenghi Commenti: 0
Da rileggere per la prima volta. Non persone

La strategia dei governi di destra è sempre la stessa: fondare il consenso sulla paura del diverso rende più compatta la popolazione. 

Nel nostro caso, gli italiani si definiscono tali in contrapposizione allo straniero e fanno di tutto per attribuire a sé caratteristiche positive, all’altro tutto ciò che accade in negativo. La costruzione del gruppo è importante, perché fa sentire l’elettorato come parte di qualcosa, che esiste anche grazie a tutto ciò che sta fuori dal gruppo stesso. E chi sta fuori dalla bolla degli italiani?

Tutte le persone “immigrate”, sia che abbiano i documenti in regola o meno, che siano nati all’estero o in Italia. Avere la cittadinanza fa poco la differenza quando la discriminazione passa direttamente tramite il colore della pelle o l’intonazione dell’accento: per tutta la vita ci sarà sempre qualcuno pronto a dirti che non sei un vero italiano e ti chiederà dove sei nato, per capire qual è la tua vera provenienza. 

Ad ogni modo è dal 1993 che con l’arrivo dell’estate arriva anche il “pericolo invasione”, l’emergenza immigrazione che coinvolge le coste italiane e che porta i governi a prendere misure sempre più drastiche. È molto semplice congedare l’argomento delle migrazioni in questo modo, da un lato l’invasore e il distruttore della nazione e dall’altro l’italianità che si sgretola, l’identità nazionale che viene sostituita da generazioni di immigrati. Come è chiaro, questo argomento è profondamente complesso e non si può trattare nel modo adeguato in una narrazione politica che si occupa soltanto di gestire le emergenze e non porta progetti a lungo termine. 

Alessandro Dal Lago, autore di Non persone, l’esclusione dei migranti da una società globale, propone un quadro della situazione che si ripresenta sempre allo stesso modo da anni: 

si passa dall’esaltazione della differenza culturale (sottendendo che quella italiana sia migliore), per poi arrivare alla xenofobia iperbolica, quindi l’odio verso gli immigrati in quanto tali, non per motivi specifici, una sorta di odio simbolico.

Un esempio costante della discriminazione è la narrazione di notizie legata a persone immigrate. L’intento della maggior parte delle testate è riprendere la costruzione di un nemico comune, l’invasore, che è arrivato in Italia con il preciso obiettivo di sradicare la cultura nazionale e impiantare la propria. Di conseguenza si pone l’accento su come chi giunga sulle nostre coste non sia che un frammento della cultura d’appartenenza, che è diversa, perché in quei luoghi remoti si mangia in modo differente, si prega un altro Dio, le relazioni tra persone funzionano in un modo che non conosciamo. 

Questo procedimento prende il nome di etnicizzazione e ha un rapporto molto stretto con il controllo. 

Se cent’anni fa si poteva parlare di superiorità razziale e di conseguenza si poteva agire sui controlli alla frontiera, ad oggi questo termine è stato sostituito da etnia, ma mantenendo più o meno lo stesso significato. In questo senso continuare ad esaltare soltanto le differenze delle persone immigrate, contribuisce ad un quadro di razzismo sistemico. Non è  nemmeno più un elemento che balza all’occhio, perché i modi in cui si racconta la vita di queste persone per noi sono normali, ci siamo abituati. Nelle prime pagine dei giornali, parlando di sbarchi a Lampedusa, non ci saranno articoli sulla superiorità razziale dell’italiano puro o ideologie dichiaratamente fasciste, ma in modo più subdolo (e anche più radicato) si sottolineerà la differenza tra noi e loro, si ripeterà come un mantra che «basterebbe non partire», consolidando anche la retorica del victim blaming

I media hanno dunque un ruolo fondamentale per la costruzione dello sfondo cognitivo, sul quale si basa l’opinione pubblica condivisa dalla maggioranza. 

Ad oggi in Italia il razzismo ha preso una piega solida, è parte fondante di molti aspetti della nostra società, di conseguenza è radicato anche nelle leggi che dovrebbero garantire il rispetto delle diversità. 

In questo testo Dal Lago cita l’esempio delle misure carcerarie preventive: intervengono dal momento in cui inizia un processo penale e finiscono all’emanazione della sentenza. L’imputato vedrà limitata la propria libertà personale nel caso in cui ci sia difficoltà nell’accertamento del reato, difficoltà nell’esecuzione della sentenza o laddove ci sia il rischio che il reato possa essere ripetuto o che si aggravino le conseguenze dello stesso. Esistono diversi modi per arginare la libertà dell’imputato, ma se questo è una persona senza fissa dimora, ad esempio, oppure non vive legalmente in un edificio in modo stabile, sarà soggetto alla custodia cautelare. 

Finire in carcere anche quando non si è certi dell’esito della sentenza è molto rischioso, soprattutto in un Paese in cui le carceri sono sovraffollate e le condizioni dei detenuti al minimo storico. L’autore pone un parallelismo con il trattamento che la giustizia italiana riserva ai mafiosi, i quali possono usufruire degli arresti domiciliari, a differenza di chi non può avere altre soluzioni se non il carcere 

Questo testo è del 1999, ma contiene la spiegazione lucida di come l’Italia si sia creata un mostro, un nemico comune, al quale la popolazione può imputare tutti i problemi che rischiano di “affossare la nazione”. 

È una costruzione sia ideologica che materiale di come il migrante sia passato dall’essere un turista, una persona esotica, al migrante che ruba, delinque ed è insomma un criminale. L’analisi lucida suggerisce anche i motivi per cui questa narrazione non sta funzionando, per nessuna delle due parti. 

Da un lato, l’Italia è in calo demografico e fatica a trovare giovani con lavori retribuiti in modo adeguato, che possano sostenere il sistema pensionistico; dall’altro moltissime persone migranti muoiono sulle coste del Mediterraneo. Quando riescono a toccare il suolo italiano, saranno per sempre soggetti al razzismo profondo della nostra società, che constateranno in ogni ambito della loro vita. 

La soluzione, secondo Dal Lago, non deve essere quella di accettare persone migranti con il contagocce, con il timore che possano distruggere la solidità nazionale; al contrario queste persone sono una risorsa. Hanno progetti, idee sul futuro, modi in cui vorrebbero cambiare le cose e contribuire alla società: non sono dei numeri che sbarcano in modo anonimo e di cui non conosciamo mai le storie. 

Deumanizzare l’altro è un modo per togliere responsabilità a chi da anni si macchia del sangue delle persone migranti, ad una società convinta del fatto che l’unico modo di preservare se stessa sia respingere tutto ciò che viene da “fuori”.

Jessica Rodenghi
Jessica, attiva nel mondo e nelle società, per fare buona informazione dedicata a tutti e tutte.

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