Due i personaggi di Corpo d’amore, un padre e un figlio. Una vita li separa, il nome li unisce: Giacomo è il padre, professore di entomologia di sessant’anni che studia le farfalle; Giacomo è anche il nome e del figlio, ragazzino di 14 anni, già studioso e amante della letteratura.
Il loro è un rapporto di contrasto e di ricerca per dare risposte a domande che non si comprendono fino in fondo. Sono insieme in una vacanza, in una spiaggia che par tagliata fuori dal mondo circostante. Qui dialogano tra di loro, esplorando senza campirsi del tutto, spiegando ciò che li circonda, categorizzando distesi in una noia perenne.
Lo shock che porta al cambiamento di tutto è il ritrovamento di una ragazza sulla spiaggia:
svenuta, arriva dal mare e da chissà dove, parla una lingua del tutto sconosciuta, un idioma mai sentito, ed è di una bellezza incredibile.
La ragazza è confusa, non comprende ma in qualche modo capisce; i due Giacomo se ne innamorano subito, entrano in un contenzioso nonostante “uno troppo vecchio, l’altro troppo giovane”. Per sistemare la lite optano per un accordo: Giacomo figlio potrà frequentare la ragazza solo di giorno, Giacomo padre solo di notte.
In questo stallo le cose funzionano, con anche un certo incontro tra i due Giacomo: accomunati dal sentimento d’amore verso la ragazza, i due trovano un modo di incontrarsi e comprendersi, di scoprirsi. Questa convivenza muterà ancora quando un quarto personaggio farà il suo improvviso ingresso.
Questa la trama di un film unico, sconosciuto e di valore inestimabile. Corpo d’amore è diretto magnificamente da Fabio Carpi e uscì nel 1972.
È un oggetto difficile da categorizzare, si può dire con sicurezza che sia un cinema fortemente ispirato ad Antonioni: non solo nella tematica dell’incomunicabilità, ma anche nei lunghi silenzi, nelle ampie panoramiche e nei forti cromatismi.
È un film di silenzi, di calme e sguardi che osservano altri occhi e orizzonti. Tutto in una delicatezza quasi aliena, una dolce calma che è stasi perenne, nonostante le turbe che la ragazza porta all’ambiente.
Lei è di più della bellezza, è di più di un corpo: è il primo corpo d’amore. Cioè, la prima sensazione di innamoramento, quando l’attrazione che si sente con il proprio corpo comincia a entrare nella mente, diventando di più di semplice fisicità. Mimsy Farmer interpreta questo ruolo, recitando con gli occhi, con le labbra e con i sorrisi silenziosi che la macchina da presa di Carpi raccoglie perfettamente, anzi che esalta.
Questa bellezza diviene poetica, filosofica, racconta tutto senza dire nulla con le parole: lei è cercata dai due contendenti in un corteggiamento continuo, in un una lusinga che è assimilabile ad una adulazione dal grande rispetto. «Tu sei un ragazzino, non sapresti che fare con lei» dice il padre; «E tu sei troppo vecchio per lei, non saresti in grado di fare molto» risponde il figlio. I loro dialoghi sono il motore del film, più che parole pronunciate sono pensieri ad alta voce che i due si scambiano, sempre con forte gusto letterario.
In realtà il tono alto è comune in tutto il film, poetico e straniante, senza andare verso il surreale ma rimanendo nel mezzo.
I due personaggi sono sofisticati, vedono la ragazza come qualcosa da ammirare nel suo essere aliena rispetto a loro. Il figlio sicuramente prova un sentimento adolescenziale, di un ragazzo che sta scoprendo l’altro sesso e lo vede come qualcosa di incredibile, l’anziano invece vede la ragazza come una possibilità di amare ancora, di riscoprire le gioie che si credeva non avere più il diritto di vivere.
Ma c’è altro, qualcosa di più profondo. Dato forse dal profondo rispetto che i due maschi provano per questa ragazza, difficilmente riusciranno a fare altro oltre che sfuggevoli baci e delicatissime carezze, forse credendo di poter vivere eternamente questo stallo. In questo l’abilità registica di Fabio Carpi è più che notevole, è semplicemente unica. È una regia sicura e precisa, chiara ma non didascalica, che si prende i suoi tempi regalando notevolissimi panorami, giochi di luci e scelte mai scontate, senza eccedere nel manierismo.
E infatti non era da solo, in queste immagini dalla bellezza unica come direttore della fotografia c’era Vittorio Storaro (tre volte premio Oscar): in questo film si può ammirare il suo magnifico lavoro nell’uso della luce del sole, nel giocare con i colori e nelle tonalità calde, pittoriche come un quadro agreste dell’800.
Fabio Carpi invece firma anche la sceneggiatura, insieme allo scrittore Luigi Malerba, portando un esempio di grandissimo: non solo per i dialoghi di alto livello, giacché una buona sceneggiatura non è per forza una con bei dialoghi, ma anche per come sono scritti i silenzi, i momenti di pura contemplazione e sentimento che qui sono di rara bellezza.
Corpo d’amore non ebbe molto successo ai tempi, non ci sono molte informazioni a riguardo in generale.
È sensato chiedersi come mai un film di tale bellezza sia ancora oggi così sconosciuto; non rientra neanche in quei film di nicchia da riscoprire, nonostante sia, oltre che di rara poeticità, di una potenza d’immagine molto d’impatto, molto sensoriale.
Anche solo ipotizzare il perché di questo scarso interesse è difficile, scarso interesse che è presente ancora oggi, considerato quanto sia difficile trovarlo per vederlo, ora solo in rari DVD. Fatto sta che un film così profondo e sfaccettato, ma di così meravigliosa e fruibile visione, è qualcosa di difficile da trovare; in questo caso si è davanti a un tesoro da riscoprire.