Negli ultimi giorni c’è stata un’unica questione che ha tenuto tutta Italia con il fiato sospeso: la scomparsa di Giulia Cecchettin e, successivamente, la scoperta della sua morte. La notte tra sabato 11 e domenica 12 novembre, la ragazza non ha fatto ritorno a casa; una settimana dopo, è stato rinvenuto il corpo senza vita della ventiduenne nel lago Barcis, in Friuli.
Da subito l’opinione pubblica si è scagliata contro l’ex fidanzato di Cecchettin, Filippo Turetta, che dovrà rispondere delle accuse di omicidio volontario aggravato e sequestro. Questo, fino a quando non si è trovato un altro capro espiatorio.
Elena Cecchettin, sorella di Giulia, da subito ha definito la sua uccisione come un prodotto della società patriarcale.
Intervistata per la trasmissione Dritto e Rovescio di Rete 4, con la testa alta e una compostezza esemplare, la ragazza ha raccontato la sua verità, una verità che in pochi hanno avuto il coraggio di pronunciare davanti a tutto il paese:
In questi giorni si è sentito parlare di Turetta, definito come mostro… ma lui non è un mostro, perché mostro è colui che esce fuori dai canoni della nostra società, mentre lui è un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro.
In molti si sono ritrovati nelle parole pronunciate da Elena Cecchettin, l’hanno supportata e applaudita. In altrettanti, però, si sono trovati in disaccordo e anzi, sono arrivati ad attaccarla personalmente. Il consigliere leghista della Regione Veneto, Stefano Valdegamberi, ha definito le parole di Elena Cecchettin come «un messaggio ideologico, costruito ad hoc, pronto per la recita. E poi quella felpa con certi simboli satanici aiuta a capire molto… spero che le indagini facciano chiarezza. Società patriarcale?? Cultura dello stupro?? Qui c’è dell’altro. Fossi un magistrato partirei da questa intervista la quale dice molto… e non aggiungo altro».
Ma Valdegamberi non è il solo: anche il consigliere regionale della Lega Matteo Montevecchi ha avuto da ridire sul discorso di Elena, come constatabile da un suo post su Facebook:
Si tratta di pura propaganda funzionale alla diffusione di un determinato pensiero che impone di credere che sia una colpa solo il fatto di essere uomini e che ci sia la necessità di una rieducazione di Stato. Si tratta di ideologia woke che predica una incessante divisione tra uomo e donna da respingere con fermezza. Piuttosto qualcuno dovrebbe spiegare perché Elena, per proferire il suo discorso impregnato di ideologia, si è presentata in mondovisione con una felpa della Thrasher che richiama il mondo dell’occulto e del satanismo e soprattutto per quale motivo sul suo profilo Instagram che è pubblico e che chiunque potrebbe vedere in pochi secondi, sono presenti sue foto con croci rovesciate sul volto, collane sataniche, statue di Lucifero e quant’altro. In sostanza la rappresentazione del male, quello vero.
Un altro esempio su questa linea d’onda è l’intervento del 20 novembre di Giuseppe Cruciani su Radio24: «La vicenda è tragica ovviamente, ma ripetete con me ‘Io non mi sento colpevole, io non mi sento colpevole, io non mi sento colpevole, io in quanto uomo non mi sento colpevole!’. Io non mi sento colpevole di un emerito ca**o! Basta con questa storia che sento da due giorni secondo cui tutti gli uomini sono colpevoli dell’omicidio di una ragazza. Il colpevole non è né il patriarcato, né l’educazione sessuale che non c’è, né gli uomini in quanto tali: è un assassino che dovrebbe restare in galera, a mio parere, tutta la vita e che si chiama Turetta».
Tutto questo non ha scalfito la determinazione di Cecchettin a portare avanti la sua battaglia, denunciando anche il commento fatto dal ministro Matteo Salvini, che sulla piattaforma X (meglio conosciuta come Twitter) aveva scritto che Turetta, “se colpevole”, avrebbe meritato l’ergastolo, nonostante in passato il ministro abbia riservato sentenze molto più drastiche per persone meno rispettabili ai suoi occhi rispetto ad un ragazzo italiano, bianco, di buona famiglia, studente universitario.
Ma perché le parole di Elena Cecchettin hanno un peso così rilevante? Perché hanno suscitato questo tipo di reazioni?
La violenza di genere è una violazione dei diritti fondamentali, ed è la diretta conseguenza del radicamento del patriarcato.
La triste verità è che in Italia non si ha una vera consapevolezza di cosa sia la società patriarcale di cui parla Elena Cecchettin, e nemmeno di cosa siano i femminicidi. Questi ultimi sono omicidi di donne in quanto donne, un fenomeno che ancora oggi esiste perché in Italia, come nella maggior parte del mondo, persiste il patriarcato che supporta una cultura fondata sul possesso.
Secondo i dati del Report del Servizio analisi criminale della Direzione Centrale Polizia Criminale, dall’1 gennaio 2023 al 19 novembre 2023 sono state uccise 106 donne, di cui 87 nell’ambito familiare o affettivo, e 55 per mano di partner o ex partner; perciò, secondo la matematica, nell’82% dei casi le donne sono state uccise da persone loro care. Prendendo in considerazione lo stesso lasso di tempo dello scorso anno, le vittime di omicidio di sesso femminile sono 109, di cui 91 in ambito familiare o affettivo e 53 per mano di partner o ex partner; in questo caso la percentuale di donne uccise da persone vicine a loro è dell’83%.
Questi dati rimangono stabili nel tempo: nel nuovo millennio, la percentuale di donne uccise per mano di persone note alla vittima è stabile. Questi fenomeni sono il diretto effetto della società patriarcale, in cui si crede che la donna – la figlia, madre, moglie, fidanzata – sia non una persona ma una proprietà da difendere, anche dalla stessa volontà della donna in questione. Questo si può vedere nelle stesse parole di Turetta nel momento dell’arresto, quando ha affermato di avere ucciso la “sua” fidanzata, quando Giulia la sua fidanzata non era.
Si tratta di un fenomeno ben visibile anche in un video, andato virale su TikTok, nel quale un significativo numero di ragazzi sostiene di non permettere alla fidanzata di andare in discoteca da sola. Il patriarcato limita la libertà della donna, attraverso violenze fisiche e psicologiche che possono sfociare anche nell’omicidio.
Spesso questi tragici eventi diventano casi mediatici, ma purtroppo ciò è un’arma a doppio taglio: spesso i media, affamati di storie e volenterosi di avere qualcuno contro cui puntare pubblicamente il dito, trattano e piangono la morte di queste persone come un’attrazione da parco giochi, per poi passarci sopra, senza farci i conti, senza rifletterci, per dirigersi a sbranare il prossimo successo mediatico.
Dall’assassinio di Giulia Tramontano, avvenuto appena lo scorso maggio, nulla è cambiato.
Forse, se ci si fosse fermati un momento a riflettere, le cose ora sarebbero diverse; i numeri che abbiamo citato non cambieranno, a meno che non si faccia qualcosa.
Questo qualcosa l’ha fatto Elena Cecchettin, che ha scelto di mettere da parte il dolore per il brutale assassinio di sua sorella per rendere omaggio alla sua morte e aiutare la società in parte complice della stessa tragedia. Ha barattato le lacrime e le frasi fatte con la sua scomoda divulgazione e informazione. In molti non l’hanno compresa, o meglio, non hanno voluto comprenderla, hanno voluto additare il suo modo di vestirsi, accusarla di satanismo, e addirittura accusarla di aver in qualche modo contribuito all’assassinio della sorella.
Non c’è niente che Elena Cecchettin avrebbe potuto fare per far ascoltare il suo messaggio a chi non ha intenzione di ascoltare. Però, c’è anche chi l’ha sentita forte e chiara, e ha risposto alla sua chiamata. La sua lotta rumorosa è un invito a farsi sentire, a farsi ascoltare, a pretendere un cambiamento. Sua sorella non c’è più, ed è colpa nostra, perché è colpa nostra se la società non è cambiata, se rendiamo ancora realizzabili le condizioni per cui una ragazza come Giulia Cecchettin può essere uccisa.
Forse, se ascoltassimo, imparassimo, educassimo all’empatia e al rispetto, non sentiremmo più storie di questo tipo. E sarebbe merito nostro.
Articolo di Emma Pierri