
Gli archivi italiani sono i custodi della memoria storica e dell’identità del nostro Paese; a dispetto di quanto si possa pensare non sono luoghi bui, polverosi e mai visitati. Anzi, una qualunque giornata in un archivio può rivelarsi parecchio movimentata per i funzionari e gli archivisti che hanno il compito di gestire, custodire, valorizzare e tutelare l’immensa mole documentaria nazionale conservata nei diversi archivi presenti sul nostro territorio, e rispondere quotidianamente alle richieste dei ricercatori, dei professionisti e di chi consulta gli archivi in sala studio. Per non parlare dell’instancabile lavoro dei soprintendenti, incaricati di vigilare e valorizzare gli archivi non statali e privati notificati.
Gli archivi italiani infatti si dividono in archivi pubblici statali e non statali, e archivi privati (dichiarati ai sensi dell’art. 13, Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, D.Lgs. 42/2004).
I primi versano agli Archivi di Stato competenti, presenti nei capoluoghi di provincia, che li sorvegliano, tutelano, conservano e valorizzano; i
secondi e i terzi hanno un proprio archivio storico, la cui vigilanza, tutela e valorizzazione soggiace alle direttive delle Soprintendenze Archivistiche e
Bibliografiche (SAB) presenti nelle Regioni.
Perché un archivio privato diventi un
bene culturale a tutti gli effetti e venga tutelato dallo Stato italiano si deve procedere alla Dichiarazione dell’interesse culturale (artt. 13-16, D.Lgs. 42/2004). Sulla carta, infatti, lo Stato italiano si impegna, in ottemperanza dell’art. 9 della
Costituzione, alla valorizzazione e alla tutela del patrimonio culturale (art. 1, D.Lgs. 42/2004).
Che cosa significa però tutelare il patrimonio culturale? Ce lo spiegano gli artt. 3 e 4 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio: la tutela consiste in tutte quelle azioni volte a conoscere, individuare, proteggere, conservare il patrimonio culturale al fine di poter essere fruito dalla comunità; tutte queste funzioni sono svolte dal Ministero della Cultura, grazie anche all’azione cardine delle Soprintendenze regionali.
Un patrimonio ben tutelato, conservato e valorizzato è pertanto un patrimonio accessibile e fruibile da tutte e da tutti. Gli archivi (e conseguentemente i documenti ivi conservati) sono a tutti gli effetti
considerati bene culturale sin dalla loro nascita (art. 10, cc. 2/b, 3/b D.Lgs. 42/2004).
Ma come se la cavano gli archivi italiani?
Beh, non versano in condizioni felici, anzi si potrebbe dire che il loro stato rasenta il pessimo. Mancano infatti fondi, spazi adeguati, interventi di tutela e valorizzazione, personale (banalmente, sia per un gestione adeguata delle fonti, sia per garantire i servizi al pubblico e la consultazione documentale); questo perché, a differenza per esempio dei musei, gli archivi non producono entrate nelle casse dello Stato; anzi, mantenerli costa.
Oltretutto, restano ancora poco noti al grande pubblico le potenzialità degli archivi, la loro immensa importanza e il loro valore storico-culturale e sociale: documenti anagrafici, cartelle cliniche, atti notarili, catasti, sentenze, registri contabili, e tanti altri documenti ancora fondamentali per la vita dei cittadini sono conservati negli archivi pubblici.
Come denunciano diverse associazioni culturali italiane, nel nostro Paese manca ormai da tempo un decisivo intervento di salvaguardia della nostra memoria storico-culturale.
Nel novembre 2021, ANAI e AIDUSA (Associazione Nazionale Archivisti Italiani e Associazione dei Docenti Universitari di Scienze Archivistiche) indirizzarono una lettera ai ministri Franceschini e Messa lamentando «una crisi ormai strutturale, in rapida evoluzione da molti anni. Alle origini del fenomeno c’è certamente il mancato turn over del personale che data almeno dal 2012, ma fra le cause c’è anche la lunga disattenzione nei confronti del settore in termini di stanziamenti finanziari, soluzioni di prospettiva ampia alle esigenze di spazio, mancato investimento adeguato nei progetti di digitalizzazione e di gestione e conservazione dei documenti digitali. Tale situazione è stata portata drammaticamente alla luce dall’emergenza pandemica».

In alcuni archivi italiani mancherebbero pertanto i presupposti per l’accesso – che negli archivi di Stato è gratuito e aperto a tutte e a tutti – alle fonti: non avere personale significa non riuscire a garantire la consultazione dei documenti, perché, è bene ricordarlo, non ci si improvvisa archivisti.
Inoltre, questa falla comporta anche una mancata fruizione dell’immenso patrimonio: un archivio non
correttamente gestito – quindi schedato, ordinato e inventariato – è un archivio impossibile da fruire, tutelare e valorizzare in maniera corretta.
Si stanno forse facendo timidi passi avanti in tal senso: è stato infatti bandito un maxi-concorso per l’accesso alle professioni “della cultura”, che coprirebbe, quantomeno in parte, il fabbisogno di risorse umane. Tuttavia, a nostro avviso, non basta. Si tratta infatti di una “pezza”; non si può pretendere di coprire una voragine con un tappo di sughero.
Ci si augura che in futuro il Ministero si renda conto dell’importanza cruciale del ruolo ricoperto sia dagli archivi per la nostra storia, memoria e identità, sia da tutte quelle professionalità che ruotano loro intorno. Non sarebbe questo rispettare i principi cardine del nostro ordinamento giuridico in materia di Beni Culturali?
Articolo di Federica Fornasieri