In Italia, la mobilità sociale è scarsa. La povertà è sempre più un fardello generazionale e, in molti casi, nemmeno trovarsi un lavoro garantisce l’uscita dalla situazione di crisi. Lo conferma il rapporto di Caritas Italiana “Tutto da perdere”, presentato il 17 novembre in occasione della Giornata mondiale dei Poveri, e lo evidenziano i dati Istat, che riportano come nel Paese vivano in povertà assoluta circa 5.6 milioni di persone (ossia quasi il 10% della popolazione), di cui 1.2 milioni sono bambini. Nei nuclei familiari in stato di povertà assoluta, il 47% dei capifamiglia risulta avere un lavoro. Inoltre, 14 milioni di persone sono a rischio povertà. Nel 2022 solo la Caritas ha aiutato e sostenuto in tutto 256mila persone, circa il 12% in più rispetto al 2021. Al Nord la maggioranza degli assistiti è composta da stranieri (59,6% del totale), mentre al Sud prevalgono gli italiani.
La povertà si sta democratizzando, nel senso che ci sono sempre meno persone che ne sono realmente al riparo.
Inoltre, la famiglia di provenienza resta ancora estremamente determinante per il futuro dei figli, nonostante i mezzi di comunicazione cerchino di mostrare il contrario. In Italia, per esempio, solo l’8% dei giovani adulti con genitori senza un titolo di scuola secondaria superiore arriva ad ottenere un diploma universitario.
Una grande percentuale di italiani risulta essere ad uno o due stipendi di distanza dalla povertà. Il 22% degli assistiti dalla Caritas, infatti, risulta essere un lavoratore sfruttato o sottopagato, assunto tramite contratti part-time, soggetto a turni indefiniti (che limitano la possibilità di trovare un secondo impiego), a tirocini impropri, a finte partite Iva. Ormai disporre di un reddito, insomma, non è più garanzia di una vita dignitosa: le possibilità calano soprattutto se si vive in una grande città, se si hanno figli o problemi di salute.
Povertà, emigrazione, dipendenze, abbandono: ritrovarsi per strada risulta oggi incredibilmente facile e sono pochi coloro che possono dirsi al sicuro dai fattori che, in un modo o nell’altro, possono condurvici.
D’altro canto, uscirne è un processo lungo, complesso, delicato, uno sforzo che ha più possibilità di essere fruttuoso se realizzato con il supporto di una comunità alle spalle. Eppure, la maggior parte delle persone sembra comportarsi come se avesse più in comune con un miliardario che con un senzatetto. Si continua ad inseguire la vecchia narrazione di ricchezza e successo che, in realtà, oggi in Italia è molto poco presente: non ci si rende conto che l’ascensore sociale è bloccato.
È necessario che lo Stato in primis prenda posizione, perché il valore di una Nazione democratica si misura dal modo in cui questa si fa carico delle persone più fragili, ma è compito anche del singolo esprimere un’opinione. Bisognerebbe sviluppare una coscienza di classe, guardare a se stessi e agli altri con maggiore sincerità, meno ipocrisia e vergogna. E a quel punto, forse, sarebbe più facile distinguere chi opera seriamente a favore della maggioranza e chi, invece, maschera i propri interessi personali facendoli passare per quelli di tutti.