Posted on: 31 Dicembre 2023 Posted by: Nina Fresia Comments: 0
Apparentemente in ritardo, i buoni propositi per il 2023

Ripensando al 2023, quali sono le immagini che ricorderemo, le emozioni più grandi che abbiamo provato? Le prime non possono che venire dal mondo sportivo: ricorderemo sicuramente Jannik Sinner che solleva fieramente la Coppa Davis vinta dall’Italia dopo quarantasette anni e ci torneranno alla mente gli animati festeggiamenti dei tifosi del Napoli che hanno atteso il terzo scudetto per oltre trent’anni.

Ma ci rimarranno impressi anche quei momenti di trepidazione davanti alla cattura di Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993 e aiutato da una fitta rete di favoreggiatori che ci insegna che la guerra alla criminalità organizzata non è vinta con un arresto, ma è una lotta da portare avanti incessantemente in ogni angolo della comunità.

È stato l’anno dell’addio a Silvio Berlusconi, ma non alla sua eredità politica e sociale, alla saggezza e ispirazione di Gianluca Vialli e Michela Murgia, alla televisione di Maurizio Costanzo.

Ma soprattutto, il 2023 passerà alla storia come l’anno delle polarizzazioni, l’anno dei film Barbie e Oppenheimer che debuttano al cinema lo stesso giorno, dove tutto è bianco (anche se forse in questo caso sarebbe meglio dire rosa) o nero, senza lasciare spazio al grigio, all’interpretazione, al dialogo.

Possiamo quindi considerarlo veramente cruciale questo 2023? È stato un anno in cui abbiamo tagliato traguardi decisivi? In realtà, avremmo potuto e dovuto fare meglio, magari impegnandoci a rispettare i famosi propositi che si fanno sempre alla fine di un anno sperando in un futuro migliore. Rompendo con la tradizione, proviamo ora ad immaginare quali sarebbero stati gli obiettivi da stabilire per il 2023 oppure quegli intenti pensati, ma mai veramente concretizzati.

Innanzitutto, ci saremmo dovuti banalmente imporre di non fare la guerra. Non si tratta evidentemente però di un proposito così scontato: da un lato, come ci si poteva aspettare, con il passare dei mesi il mondo si è stancato di tenere gli occhi puntati sulla guerra russo-ucraina e dall’altro l’intensificarsi del conflitto tra Israele e Palestina ha catalizzato l’attenzione di media e spettatori, concentrati su una sola crisi umanitaria alla volta.

Ad essere diventata ordinaria è la guerra stessa: naturalmente inorridiamo davanti alle immagini di giovani rapiti durante un rave party, ma siamo gli stessi che non si sono stupiti nel sapere che un aereo con a bordo il capo della Wagner Yevgeny Prigozhin si era schiantato tra Mosca e San Pietroburgo. L’ex mercenario ha firmato la sua condanna a morte a giugno, quando ha dato vita a una breve rivolta armata contro il potere di Vladimir Putin, bloccata da un accordo tra le due fazioni quando il gruppo Wagner si trovava ormai a quasi duecento chilometri dalla capitale russa.

Considerare normalità battaglie e minacce ha anche contribuito a far sì che a settembre in circa ventiquattr’ore le truppe azere abbiano imposto, con metodi che ricalcano molto la cosiddetta operazione speciale russa, la dissoluzione dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, spingendo con lo spettro della pulizia etnica centinaia di migliaia di armeni a fuggire.

Allo stesso modo, è stato deciso di ignorare i preoccupanti segnali che giungevano dal Medio Oriente, come la prepotenza dei coloni israeliani in Cisgiordania e la loro necessità di essere protetti dall’esercito, un governo estremista a Tel Aviv o una presa sempre più salda di Hamas sulla popolazione. La fiamma è divampata il 7 ottobre con il tremendo massacro perpetrato dai miliziani palestinesi ai danni del popolo israeliano, ma continua a bruciare anche ora con i bombardamenti sui civili che abitano la Striscia di Gaza, senza risparmiare nemmeno i campi profughi. E più il fuoco della guerra arderà, più terre del mondo verranno mangiate dal rogo: con un referendum promosso dal governo Maduro, il Venezuela ha approvato l’annessione al proprio territorio della regione Esequiba, appartenente al Guayana e ricca di preziosi giacimenti petroliferi.

Se ci fossimo proposti di ripudiare la guerra prima e impegnati a rispettare tale intenzione poi, non solo avremmo risparmiato la vita a migliaia di vittime innocenti, ma ne avremmo potute prevenire molte altre.

Un altro buon proponimento in parte ce lo suggerisce la bozza del cosiddetto Piano Mattei promosso dal governo Meloni: una collaborazione con gli «Stati del Continente africano, volta a promuovere uno sviluppo comune, sostenibile e duraturo, nella dimensione politica, economica, sociale». Non sappiamo se, come da tradizione, l’esecutivo italiano abbia disatteso i propri buoni propositi, o se nella loro opinione fosse in linea con quanto riportato sopra richiedere cinquemila euro in un’unica soluzione per uscire dal Centro per il rimpatrio a dei richiedenti asilo che già hanno pagato in denaro e spesso in tortura il viaggio fino alle nostre coste. L’impegno per stanare i trafficanti di esseri umani in tutto il “globo terraqueo” è stato evidentemente tanto estenuante che alla fine si è optato per attingere dal loro repertorio: se non puoi sconfiggere il tuo nemico, fattelo amico.

E chissà se, tra un rilevamento antropometrico e l’altro per stabilire se un minorenne non accompagnato sia veramente chi sostiene di essere e non una minaccia per l’integrità del Paese, ci si sia resi conto che avremmo dovuto effettivamente impegnarci di più per aiutare gli emigranti “a casa loro”. Perché quella tristemente nota tutina rosa, stesa sulla sabbia a Cutro in mezzo ai resti di una barca di legno, è l’esito di regimi oppressivi come quello egiziano e tunisino o di colpi di stato come quello nigerino. Così come le 154.526 persone sbarcate in Italia durante il 2023 sono il risultato di una sanguinosa e ignorata guerra in Sudan o delle devastanti conseguenze dei terremoti in Turchia, Siria, Marocco e Afghanistan.

In effetti, avremmo dovuto riprometterci anche di prendere sul serio il nostro pianeta: ma se agli allarmi lanciati dalle alluvioni in Emilia-Romagna e Toscana rispondiamo come Lucio Malan («in Campania ha piovuto di più e non è successo nulla») e all’apocalisse a Derna causata dal ciclone Daniel come Donald Trump («se gli oceani si alzano avremo più case vista mare») diventano ancora più faticose e apparentemente inutili le lotte degli attivisti per il clima.

Così come abbiamo deciso di non ascoltare gli avvertimenti e le preoccupazioni di numerose donne che hanno cercato di avvisarci e di chiedere aiuto.

È vero che da febbraio 2023 in Italia ci siamo illusi di aver individuato la giusta strada verso il progresso e la parità perché per la prima volta sono due donne alla guida di governo e opposizione, ma abbiamo anche registrato più di cento femminicidi durante l’anno e le violenze sessuali sono in costante aumento. Decine di italiane, purtroppo, continueranno a incontrare “il lupo” fintanto che ci saranno così tanti Andrea Giambruno e chi tenta di assolverlo, tra cui la stessa premier. E il consiglio di quest’ultima («occhi aperti e testa sulle spalle») avremmo dovuto proporci di insegnarlo in primis a giovani ragazzi e uomini, e non alle loro vittime.

Le obiezioni che potrebbero essere portate avanti sono prevedibili: è facile identificare a posteriori quali principi avrebbero dovuto ispirarci durante l’anno che sta giungendo al termine.

Con i se e con i ma non si va da nessuna parte, è vero, rileggendo però tutti i buoni propositi che avremmo dovuto imporci nel 2023 li riscopriamo ancora validi per l’anno che verrà. Prima di formularne di nuovi, cerchiamo di portare avanti i vecchi intenti, di mantenere le promesse disattese: da quanto tempo ci ripromettiamo di gettare a terra le armi, di insegnare e imparare il rispetto per il prossimo, di dare valore all’ambiente in cui viviamo? L’unico fioretto che dovremmo fare è quello di ripensare a quanto bello sarebbe potuto essere il 2023 se avessimo tenuto fede a quelli degli anni precedenti. Allora, forse, faremo in tempo a realizzarli con un solo altro anno di ritardo.

Nina Fresia
Studentessa di scienze politiche, curiosa per natura, aspirante giramondo e avida lettrice con un debole per la storia e la filosofia. Scrivo per realizzare il sogno della me bambina e raccontare attraverso i miei occhi quello che scopro.

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