Le elezioni presidenziali previste per il 17 marzo 2024 sono pronte a cementare ulteriormente l’eredità di Vladimir Putin come il leader russo più longevo dai tempi di Stalin.
Dopo la prima vittoria nel 2000 e tre mandati (2008, 2012, 2018), il presidente della Federazione Russa si è assicurato con modifiche costituzionali due ulteriori mandati di sei anni, creando la possibilità di rimanere al governo fino al 2036.
Non è un segreto quindi che si stia già adoperando per eliminare quel poco d’opposizione che rimane prima delle votazioni; di fatto, ha già eliminato dalla gara due dei suoi principali oppositori:
Yekaterina Duntsova, aspirante candidata alle elezioni, e Alexey Navalny, che pur imprigionato e impossibilitato a entrare in governo, è sempre stato uno dei più vocali obiettori al corrente regime.
La Commissione elettorale centrale della Russia (CEC) la scorsa settimana ha respinto la candidatura alle presidenziali di Yekaterina Duntsova, ex-giornalista televisiva, per supposti errori burocratici che avrebbero reso invalida la sua domanda (oltre cento errori di battitura, informazioni errate di passaporto e povera qualità delle firme).
«Abbiamo studiato attentamente i documenti e abbiamo l’impressione che siano stati compilati in fretta, senza rispettare gli standard legali», ha riferito il servizio russo della BBC, citando un membro della Commissione stessa.
La campagna di Duntsova è stata spesso descritta come a favore della pace e della democrazia, orientata com’è anche verso una fine del conflitto con l’Ucraina: «Il rifiuto della CEC è diretto contro […] milioni di cittadini che sostengono un futuro pacifico e democratico della Russia» ha scritto il team di Duntsova su Telegram. «Con questa decisione politica, siamo privati dell’opportunità di avere un nostro rappresentante ed esprimere opinioni che differiscono dal discorso ufficiale».
Pur avendo fatto appello ai tribunali nazionali, la richiesta di revisionare la candidatura è stata respinta mercoledì 27 dicembre. Duntsova ha pertanto dichiarato che avrebbe iniziato a lavorare alla creazione di un suo partito politico, per ottenere «il diritto di vivere senza paura, di parlare liberamente e di avere fiducia nel futuro», come ha scritto sempre attraverso i canali Telegram.
Falliti anche i tentativi di candidarsi tramite altri partiti più legittimi, visto il rifiuto ad appoggiarla del fondatore del partito liberale Yabloko, Grigory Yavlinsky.
Il Partito Comunista russo, il secondo più grande nella camera bassa del Parlamento, ha invece nominato il politico veterano Nikolai Kharitonov. Si vuole ricordare però che sia i comunisti sia le altre fazioni della camera bassa (o Duma), rappresentano solo un’opposizione simbolica e in generale sostengono il corso di Putin.
Il partito Civic Initiative (detto GRANI), che invece non è rappresentato nella Duma, ha sostenuto la nomina del candidato indipendente Boris Nadezhdin, che si è espresso contro le azioni della Russia in Ucraina ed è appoggiato dalla stessa Duntsova, ma non ha ancora raggiunto firme sufficienti a qualificarsi per la gara.
Nel frattempo, settimane dopo che i suoi avvocati hanno perso i contatti con lui, il leader dell’opposizione Aleksej Navalny è stato rintracciato domenica scorsa in una colonia penale del distretto di Kharp, nel Circolo Polare Artico. Si tratta di «una delle colonie più settentrionali e remote», ha comunicato Ivan Zhdanov, che gestisce la Navalny Anti-Corruption Foundation. «Fin dall’inizio, era chiaro che le autorità volevano isolare Alexey, soprattutto prima delle elezioni».
Questo sentimento è condiviso anche da Leonid Volkov, capo dello staff di Navalny che gestisce i suoi account sui social media: «Il fatto che questo stia accadendo proprio ora che le ‘elezioni’ sono state annunciate e la squadra di Navalny ha lanciato la campagna Russia senza Putin è 0% accidentale e 100% controllo politico del Cremlino. […] Non è un segreto per Putin che il suo principale avversario è in queste ‘elezioni’. E vuole assicurarsi che la voce di Navalny non sia ascoltata. Questo significa che tutti dovrebbero diventare la voce di Navalny».
Condannato a 19 anni di carcere, Navalny non ha mai cessato di far circolare indirettamente le sue opinioni tramite Volkov e i suoi avvocati. Anche in questa occasione, i suoi tweet hanno un tono ottimista: «Sono il vostro nuovo Babbo Natale. Ora ho un cappotto di pelle di pecora, un colbacco e […] mi sono fatto crescere la barba durante i 20 giorni del mio trasporto. […] Probabilmente vi starete chiedendo quali sono i regali. Ma io sono un Babbo Natale a regime speciale, quindi solo chi si è comportato molto male riceve regali», ha scritto sulla piattaforma X.
In una simile situazione si trova Vladimir Kara-Murza, cittadino russo ma residente permanente negli Stati Uniti condannato in aprile a venticinque anni di carcere con l’accusa di tradimento e diffusione di false informazioni a seguito di critiche alla guerra in Ucraina.
In un messaggio dal carcere consegnato al National Democratic Institute all’inizio di questo mese, Kara-Murza ha chiesto al mondo di mostrare sostegno a quei russi che si oppongono al governo di Putin: «Ci sono persone in Russia che hanno scelto di resistere alla guerra, all’oppressione e all’ingiustizia, anche a costo della libertà personale. […] Non ho dubbi che, alla fine, prevarrà la nostra immagine di Russia. Dico questo perché sono uno storico, e sappiamo che, anche se non può piegarsi veloce come vorremmo, l’arco della storia si piega sempre verso la libertà».
Con la maggior parte dei suoi oppositori pubblici incarcerati o indebilitati, sembra quasi certo che Putin otterrà il suo quinto mandato come Capo di Stato.
La CEC ha poi rivelato che registrerà le votazioni anche nella penisola di Crimea e in quattro regioni ucraine parzialmente occupate dalle forze russe.