Da Museo del Novecento a “Museo dei 900 euro al mese”. È questo lo slogan al centro della polemica che ha visto protagonisti, domenica 3 dicembre, i lavoratori del museo milanese, in particolar modo i sindacalisti di Usb, l’Unione Sindacale di Base.
Quest’ultima è nata nel 2010 su volontà delle Organizzazioni Sindacali USB del Lavoro Privato e USB Pubblico Impiego, organizzazioni protagoniste di lotte e vertenze negli ambiti lavorativi pubblici e privati. La nuova confederazione ha assimilato quindi la storia, il radicamento e la rappresentatività delle organizzazioni precedenti.
Qualche domenica fa una quindicina di persone si sono riunite in protesta con cartelli: «Incatenati alla precarietà», «Vogliamo dignità, basta stipendi da fame», «Basta Ccnl – Federculture subito», «Arte povera a 7,24 euro l’ora».
L’ultimo in particolare è piuttosto eloquente in quanto rappresenterebbe lo stipendio orario di questi lavoratori, al di sotto delle proposta di salario minimo avanzata qualche tempo fa dalle opposizioni, che era di 9 euro. Lo sciopero ha causato la chiusura di diversi musei e disservizi con chiusure parziali in quelli maggiori, presidiati non solo da dipendenti comunali, ma anche da volontari.
I lavoratori, quindi, hanno mostrato la loro disapprovazione per quanto riguardal’applicazione dei contratti collettividedicati alla Vigilanza e ai Multiservizi e contro gli stipendi da fame che percepiscono. «Un accordo vincolante che preveda l’applicazione del Ccnl Federculture per chi è in appalto – spiegano da Usb – e l’inquadramento da subito nel giusto livello, il terzo livello impiegati e non il secondo livello operai».
Quest’ultimo non sarebbe congruo al lavoro svolto dagli operatori in appalto, dato che è obbligatorio per il Comune di Milano, come requisito minimo, fornire un servizio qualificato di accoglienza con conoscenza delle lingue straniere. Insomma, non un lavoro di mera e passiva sorveglianza, come viene ritenuto dalle aziende.
Le retribuzioni minime di cui i sindacalisti parlano derivano, infatti, dagli inquadramenti dei lavoratori, che sono costretti a subire l’applicazione dei contratti collettivi nazionali più “poveri” della Vigilanza Privata e dei Multiservizi, ovvero quello attualmente applicato dalle aziende vincitrici dell’appalto (Coopculture e Dussman).
«Le catene della precarietà – aggiungono dal sindacato – non costringono solo la realtà lavorativa con contratti precari, ma l’intera vita: uno stipendio di 7-8-900 euro, con turni di lavoro che tengono in ostaggio la possibilità di gestire il tempo fuori da lavoro, non permettono di vivere una vita dignitosa».
Per questo motivo è richiesto, al più presto, un confronto con le aziende e con il Comune, affinché sia consentito, con l’applicazione del contratto di lavoro Federculture, un passaggio necessario per andare verso la reinternalizzazione di tutti i lavoratori impiegati nei siti pubblici.
Importante è sottolineare che il Comune ha mostrato di voler applicare il contratto Federculture, dando ad esso la preferenza in ambito della gara d’appalto, ma il sindacato ha risposto a questa apertura accusando Palazzo Marino di «ipocrisia» in quanto «nei fatti ha stanziato risorse insufficienti, né ha vincolato le aziende ad applicarlo».
Dal sindacato hanno anche sostenuto che «per Usb è ora di smetterla con la degradazione del lavoro svolto dagli operatori museali ed è invece il momento di retribuire in modo giusto e di dare dignità al lavoro effettivamente svolto».
La contestazione è continuata lunedì 4 dicembre all’interno dell’aula del consiglio comunale di Milano, da parte dei lavoratori dei musei civici:
«Vogliamo un tavolo, riconoscete il nostro sindacato», hanno gridato , seduti ai banchi riservati al pubblico. Successivamente, essi hanno incontrato alcuni consiglieri della maggioranza di centrosinistra, i quali avrebbero dimostrato la loro disponibilità a impegnarsi affinché il sindacato possa sedersi al tavolo di trattativa con Palazzo Marino e le aziende da cui dipendono i lavoratori.
All’incontro i delegati USB avrebbero nuovamente fatto il quadro della loro situazione lavorativa, ponendo al centro le vicende dell’ultimo cambio di appalto, il contratto che non è quello del settore, i salari da fame, la condotta fortemente intimidatoria delle aziende nei confronti dei lavoratori iscritti a USB. Infine, i Consiglieri hanno comunicato il loro impegno a far sedere USB al tavolo di trattativa con Comune e aziende: l’obiettivo sarebbe quindi farsi tramite dei problemi evidenziati dai lavoratori.
Dopo l’incontro, il sindacato ha commentato: «Una promessa già sbandierata oltre un anno fa, prima dell’ultimo cambio di appalto. Attendiamo che le parole diventino, stavolta, fatti». Non è ritenuto ragionevole, infatti, che in una città come Milano, nota per essere la capitale dei servizi, lo stesso Comune si volti dall’altra parte quando è richiesta la garanzia dei diritti dei lavoratori, i quali forniscono proprio quei servizi in un settore in dialogo con tutta la cittadinanza, ovvero quello della Cultura.
Aggiungono infine da USB: «Chiediamo al Comune di Milano di smettere di essere connivente con un sistema di appalti a ribasso, che genera solo sfruttamento e precarietà, e di formalizzare l’apertura di un tavolo di trattativa che rimetta al centro il tema delle condizioni di lavoro»