Il 13 gennaio 2024 si sono tenute le elezioni generali di Taiwan, sia per la nomina del nuovo Presidente, sia per la formazione del nuovo Yuan legislativo, ovvero il Parlamento monocamerale di Taiwan. Con un’affluenza alle urne del 70,6%, è stata decretata la vittoria del democratico progressista William Lai (Dpp) che ha ottenuto il 40,2% dei voti. Al Parlamento, invece, il Partito Democratico Progressista ha perso consensi e non potrà più godere della maggioranza assoluta dei seggi.
Tutti e tre i candidati, durante la campagna elettorale, hanno dato centralità alla questione dei rapporti con la Cina, che rimane fondamentale a livello nazionale e internazionale.
La linea indipendentista dura di Lai ha avuto la meglio sia sul moderatismo di Hou Yu-ih, candidato del partito Kuomintang (Kmt), che auspica a una riapertura del dialogo con Pechino, sia sul pragmatismo di Ko Wen-je, candidato del Taiwan People’s Party (Tpp). Quest’ultimo propone una “terza via” rispetto ai due partiti tradizionali, che pare però convincere solo i più giovani. Il nuovo Presidente William Lai aveva già esplicitamente chiarito le sue posizioni riguardo alle relazioni con la Cina, senza mai celare il sogno indipendentista. Nel suo discorso da neo-eletto, Lai ha ribadito più cautamente i suoi ideali separatisti, limitandosi a sottolineare la resilienza del popolo di Taiwan di fronte a certe “pressioni esterne”.
Come è noto, in seguito alla Guerra civile che si concluse nel 1949, i nazionalisti sconfitti dai comunisti di Mao Zedong si rifugiarono sull’Isola di Formosa: ciò decretò la separazione delle due Cine, ossia la Repubblica Popolare Cinese (comunista) e la Repubblica di Cina (nazionalista). Dagli anni ‘90 in poi, il distacco identitario e politico tra Cina e Taiwan divenne sempre più evidente, dando vita alle prime tensioni.
Attualmente Pechino continua a considerare Taiwan una provincia ribelle, adottando il cosiddetto “One China Principle”: esiste una sola Cina.
Per il Partito Comunista cinese l’integrità territoriale rimane uno dei capisaldi politici, al punto da negare qualsiasi tipo di rapporto commerciale o politico ai pochi Paesi che hanno riconosciuto ufficialmente Taiwan.
Il neo-eletto Presidente Lai, oltre alle tensioni con la Cina, si ritroverà al centro delle rivalità tra quest’ultima e gli Stati Uniti. Nei rapporti con Taiwan, gli USA adottano una linea politica definita “One China policy”, con la quale formalmente riconoscono una sola Cina, ma continuando a sostenere l’autonomia di Taiwan, specialmente attraverso l’invio di armi. L’obiettivo è quello di garantire la stabilità della regione. In seguito alla pubblicazione dei risultati delle elezioni, il Governo cinese ha subito ribadito che la vittoria della linea indipendentista non costituirà un ostacolo per la riunificazione, ritenuta inevitabile da Pechino.
Oltre ai rapporti con le due superpotenze, i cittadini di Taiwan si aspettano dal nuovo Presidente una certa attenzione verso alcune questioni economiche e sociali interne, come ad esempio il prezzo delle case, la questione energetica, il salario minimo e l’istruzione.
Per quanto riguarda l’economia, il ruolo dei microchip è divenuto oggetto di dibattito politico: Taiwan è il leader mondiale nella produzione di microchip, fondamentali in svariati ambiti, in particolare per la difesa e l’intelligenza artificiale. Le manovre di esternalizzazione in diversi Paesi del colosso taiwanese TMSC hanno destato timore nella popolazione taiwanese, che non vuole rinunciare alla posizione fondamentale ricoperta in questo settore da Taiwan.