Del: 25 Gennaio 2024 Di: Nina Fresia Commenti: 0

Da quando ha avuto luogo la sera dell’11 dicembre 2006 abbiamo tutti sentito parlare almeno una volta della strage di Erba. E quasi tutti ci siamo formati un’opinione a riguardo: addirittura si sono create le fazioni degli “innocentisti” e dei “colpevolisti” rispetto alla posizione dei coniugi Romano, condannati all’ergastolo in via definitiva nel novembre 2008 per aver commesso l’eccidio.

Il nostro vivo interesse per la vicenda, le nostre conoscenze sui particolari di quell’episodio di estrema violenza fanno riflettere: abbiamo paura che sarebbe potuto succedere anche a noi? Oppure sono i tanti punti oscuri della strage a stimolare il dibattito e a farci improvvisare giudici che sentenziano verdetti irrevocabili di condanna o assoluzione? Questa strana e quasi assurda fascinazione che proviamo verso atti con questo grado di brutalità non può essere semplice curiosità.

Ed è stata sicuramente risvegliata dalla decisione della Corte d’Appello di Brescia di ammettere la richiesta di revisione del processo.

Proviamo a fare un po’ di ordine e a ricostruire quanto accaduto. Quella sera di diciotto anni fa, i vigili del fuoco intervengono in via Diaz a Erba per un incendio in un appartamento. Domato il fuoco, trovano a terra cinque cadaveri: quelli di Raffaella Castagna, di suo figlio di due anni, di sua madre e dei vicini di casa, Valeria Cherubini e Mario Frigerio. Frigerio sarà l’unico sopravvissuto: il colpo alla gola sferzato dall’assassino a tutte le sue vittime non è stato fatale per il sessantacinquenne, che si è salvato grazie a una malformazione congenita all’aorta.

I primi sospetti ricadono sul marito di Castagna, Azouz Marzouk, un ventiseienne tunisino con precedenti per droga e da poco uscito dal carcere, che però al momento della strage si trova nel suo paese d’origine. Gli indiziati diventano così due dei personaggi più controversi della cronaca italiana: Rosa Bazzi e Olindo Romano.

La coppia vive sotto la casa del massacro e due giorni dopo i sanguinosi fatti avrebbe dovuto presentarsi in tribunale per una causa civile proprio con Castagna. La donna aveva infatti denunciato i vicini per ingiurie e lesioni dopo mesi di liti, confermate anche da altri abitanti del palazzo. Alcuni testimoni, infatti, sostengono che Bazzi e Romano si lamentassero in continuazione dei rumori provenienti dall’abitazione sopra la loro, causati, a loro dire, da feste e da mancanza di sufficiente controllo del bambino. Marito e moglie avrebbero addirittura seguito Castagna in treno per spaventarla, oltre ad averle spesso staccato il contatore della corrente per recarle fastidio (cosa che è stata fatta anche la sera degli omicidi).

Insieme a quest’ossessione, a insospettire gli inquirenti è la rapidità con cui Bazzi e Romano forniscono un alibi al momento di essere interrogati, mostrando uno scontrino del McDonald’s per provare che al momento della strage si trovavano a cena fuori (bizzarro, data la loro vita routinaria e sedentaria). In realtà i due sono andati a mangiare due ore dopo l’accaduto, un lasso di tempo che gli avrebbe permesso di commettere i delitti e andarsene. Inoltre, dalle intercettazioni rilevate emerge che i coniugi stranamente non parlano mai tra loro di quanto accaduto nel condominio, con l’eccezione del macabro commento di Bazzi: «Adesso sì che possiamo dormire».

Nel gennaio 2007 Rosa e Olindo confessano.

L’uomo prima si carica di tutta la colpa, poi anche la moglie decide di ammettere l’orrore commesso. In questi colloqui con gli inquirenti raccontano i fatti in modo grezzo, come se fosse una storia come un’altra, vogliono saltare al punto: possono vedersi? C’è un modo per farli stare insieme? È questa la principale preoccupazione della coppia stretta in un sinistro rapporto di interdipendenza.

Per questo caso sono state presentate tre istanze di revisione: la prima da Cuno Tarfusser, il sostituto procuratore generale di Milano, un’altra dal tutore di Bazzi e Romano e, infine, quella dei loro avvocati. Il primo marzo la Corte deciderà quali prove saranno ammissibili e i promotori di questo secondo processo esporranno le loro tesi. Ma quali sono gli elementi cruciali in vista di questo appuntamento e che dovrebbero far vacillare la condanna all’ergastolo confermata da tutti e tre i gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento?

Il primo punto che viene contestato è l’attendibilità della deposizione di Mario Frigerio: durante il suo primo incontro con i carabinieri, l’unico sopravvissuto al massacro descrive chi l’ha aggredito come un uomo con tanti capelli neri, carnagione olivastra, occhi scuri come i suoi abiti, una grossa mascella. A un paio di settimane di distanza, Frigerio è certo che sia stato proprio Olindo Romano ad aggredirlo e afferma che il suo tentennamento iniziale fosse dovuto al fatto che stentava a credere che il vicino di casa potesse scagliarsi con tanta violenza su di lui. La tesi “innocentista”, invece, sostiene che il ferito fosse “tecnicamente cerebroleso” a causa dell’eccessivo monossido di carbonio inalato a seguito dell’incendio appiccato dagli assassini. Inoltre, accusa ancora più grave da parte della difesa, Frigerio sarebbe stato portato a credere di aver visto Romano quella sera sia dal suo legale sia dagli stessi carabinieri, i quali gli avrebbero di fatto creato una falsa memoria.

Altre dichiarazioni inaffidabili sarebbero le ammissioni di colpa di Bazzi e Romano. I difensori della coppia sostengono infatti che ai loro danni sia stata effettuata una vera e propria circonvenzione, illudendoli che se avessero parlato avrebbero ottenuto un trattamento speciale, in realtà impossibile da ottenere: una cella con letto matrimoniale per trascorrere insieme i giorni in galera.

E, infine, la terza traccia chiave per scagionare Rosa e Olindo riguarda la macchia di sangue rinvenuta sul battitacco dell’auto di Romano e appartenente alla moglie di Frigerio. Tarfusser e colleghi ritengono che non sia stata valutata a sufficienza la possibilità che quella prova fosse in realtà frutto di una contaminazione: un carabiniere avrebbe perquisito la macchina del sospettato dopo essere passato dalla scena del crimine senza però aver indossato le apposite coperture alle scarpe.

La tesi “colpevolista”, che è poi quella espressa dagli organi di giustizia, è che la nitidezza della traccia di sangue escluda la contaminazione e il suo collocamento indichi che possa averla lasciata solo Olindo, unico a salire sulla vettura dal lato guidatore. A ciò va aggiunto che durante le confessioni i coniugi Romano parlano di dettagli sulla sera della strage e la sua esecuzione mai divulgati dalla stampa: entrambi danno la medesima versione sulle armi utilizzate, la dinamica, i precisi punti d’innesco dell’incendio, il colore dell’accendino usato e dell’utilizzo di alcuni libri per alimentare le fiamme. Anche se, per alcuni sostenitori della teoria antagonista, questi particolari sarebbero stati dettati dalle autorità alla coppia, una severa accusa di manipolazione delle prove che non ha forti fondamenta.

E nonostante siano i Romano ad aver avuto accesso a una via di fuga più facile dal luogo dei delitti e ad avere maggiore interesse a eliminare dei vicini che avrebbero potuto riconoscerli, ancora oggi è molto popolare l’idea che le persone morte quella sera siano state vittime di una faida per droga in cui pare fosse invischiato Azouz Marzouk. Lo stesso tunisino, cambiando versione rispetto agli anni passati, ora sostiene l’innocenza di Rosa e Olindo: quando si riferisce agli assassini di moglie e figlio dice che non «stiamo parlando di persone ingenue, di questi due ingenui. È stato qualcuno che sa come colpire nella gola», un killer professionista e non un vicino di casa infastidito da qualche schiamazzo.

Abbiamo continuato con la nostra ricerca di un dettaglio, di una pista mai battuta, di una parola non detta che ci convinca una volta per tutte di averci visto giusto.

Guardiamo agli sviluppi giudiziari di queste vicende con uno spirito quasi da tifoseria, parteggiando per una versione o per un’altra. Perché probabilmente la sempre crescente attrattiva nella nostra società verso racconti di true crime, casi di cronaca violenti e macabre storie mai veramente risolte è giustificata dall’illusione di avere la risposta esatta in tasca. Ci crogioliamo nella consapevolezza che probabilmente questi fatti non saranno mai confermati e che la nostra verità sia indiscutibilmente quella esatta.

Forse la verità sulla strage di Erba l’abbiamo già scoperta da anni, magari è stata rinnegata per tutto questo tempo oppure dobbiamo ancora scoprirla. A cosa porterà la revisione del processo non possiamo saperlo, ma siamo pur certi che non basterà ad esaurire lo scontro tra “innocentisti” e “colpevolisti”.

Nina Fresia
Studentessa di scienze politiche, curiosa per natura, aspirante giramondo e avida lettrice con un debole per la storia e la filosofia. Scrivo per realizzare il sogno della me bambina e raccontare attraverso i miei occhi quello che scopro.

Commenta