Secondo la Treccani, eco-talebano è uno dei neologismi del 2023. Il termine potrebbe evocare l’immagine di persone pericolose, dedite ad attacchi violenti contro i vertici del mercato petrolifero. Così non è. Tra le vittime più illustri degli eco-talebani non ci sono grandi industriali o politici di spicco, ma la Monnalisa, la Ragazza con l’Orecchino di Perla e… i Girasoli di Van Gogh.
Autori di questi gesti quantomeno singolari sono attivisti, generalmente poco più che adolescenti, intenzionati a portare l’attenzione sulla causa ambientalista e a fare nuovi “adepti”. Lanciare cibo e vernice contro opere d’arte celeberrime è diventato un gesto piuttosto frequente per i membri di gruppi come “Just Stop Oil” o “Ultima Generazione”, che hanno scelto l’approccio della resistenza civile per portare avanti la propria battaglia.
È difficile non cliccare su titoli come “Torta tirata in faccia alla Monnalisa”, anche solo per accertarsi che non si tratti di una fake news, tuttavia essere colpiti dalla notizia nel modo desiderato dagli imbrattatori non è affatto scontato.
La domanda, infatti, sorge spontanea: che colpa ha la Monnalisa del cambiamento climatico? Qual è il collegamento tra l’impiego di combustibili fossili e la vernice arancione sull’Arco della Pace?
Se esiste una risposta, non è univoca. Durante o dopo alcuni di questi “art attacks”, gli attivisti hanno spiegato le loro ragioni tramite slogan o in modo più esteso, ma senza fornire un’interpretazione del tutto comune. Dopo aver gettato il contenuto di un barattolo di zuppa sui Girasoli di Van Gogh ed essersi incollata al muro dietro l’opera, un’attivista ha esclamato «Che cosa vale di più? L’arte o la vita?», facendo seguire a queste parole un breve discorso sul collegamento fra crisi del costo della vita e prezzo del petrolio.
Vale più la protezione di un quadro o quella delle persone? Chiedeva con sdegno la ragazza. In un caso analogo, questa volta accaduto alla Galleria degli Uffizi, due attivisti si sono incollati alla Primavera di Botticelli. Sulla pagina Instagram di Ultima Generazione, il gruppo di cui gli “incollatori” fanno parte, un post ha spiegato il significato dell’azione: «L’arte da sempre ha avuto un ruolo importante nel trasmettere messaggi, perché è compito dell’arte farsi veicolo di significati forti, di realtà che non vogliono essere viste. Ora dovrebbe ancora essere così. Al giorno d’oggi è possibile vedere, o anche solo immaginare una primavera bella come questa? Incendi, crisi alimentare e siccità lo rendono sempre più difficile».
Insomma, anche solo da questi due esempi emerge come non vi sia un unico significato attribuibile a gesti simili. Ma forse è anche questo l’obiettivo: da un lato, catturare lo sguardo mediatico internazionale con un’azione quasi incomprensibile, dall’altro farne seguire un dibattito, una discussione sul futuro del pianeta. Per quanto riguarda la prima parte del piano, ossia generare attenzione, sembra che gli attivisti ci siano riusciti; lo denota l’inserimento della parola eco-talebano nell’enciclopedia più prestigiosa d’Italia, ma anche la moltitudine di articoli scritti a riguardo da grandi testate.
Ma che dire del secondo fine? Gli imbrattamenti hanno portato nuovi adepti alla causa ambientalista? La tematica è diventata più rilevante per i governi?
Tristemente, sembra che la risposta sia no, almeno per quanto riguarda il nostro Paese. In Italia gli attacchi al vasto patrimonio culturale sono stati vari (da Botticelli a Boccioni, da Cattelan all’Arco della Pace) e nei loro confronti si può notare una reazione pressoché uniforme di sdegno. L’opinione pubblica sembra poco propensa ad indagare le ragioni ideali degli attivisti, e l’unica richiesta fatta da molti alla politica non riguarda risposte più incisive contro la crisi climatica, bensì pene più stringenti per persone che considerano vandali.
La risposta istituzionale non si è fatta attendere molto: il 18 gennaio scorso, la Camera ha approvato la legge che inasprisce le pene per chi danneggia i beni culturali e che introduce due nuovi reati in materia. Essendo già stata approvata dal Senato a luglio 2023, l’ultimo passaggio mancante affinché la legge produca i suoi effetti è la promulgazione da parte del Presidente Mattarella, a cui Ultima Generazione ha indirizzato una campagna di mailbombing per chiedergli di non firmare.
Insomma, la richiesta d’aiuto formulata dalla generazione più giovane, che ha dovuto trovare forme di espressione più radicali (seppur non violente) a seguito degli insufficienti risultati ottenuti, per esempio, con i Fridays for Future promossi da Greta Thunberg, è rimasta inascoltata. Anzi, si cerca di punirla penalmente. Sembra che le prospettive di un futuro disastroso valgano poco contro simboli del genio umano passato. Siamo abituati a studiarli a scuola e per tutta la vita li vediamo come parti della nostra identità culturale.
«È un peccato» si pensa osservando un’opera imbrattata, anche se, è importante sottolinearlo, le azioni di questo tipo sono volutamente congegnate per evitare danni. Ed ecco che gli attivisti diventano i cattivi della storia, venendo ridotti a ragazzini teppisti che meritano anche più degli anni di carcere previsti dalle norme. La reazione è principalmente di insofferenza, fastidio o rabbia. Non certo di solidarietà per la causa.
Certo, è difficile non riconoscere la buona fede degli attivisti, tanto che, nel processo relativo al blocco stradale causato da Ultima Generazione a Bologna nel novembre scorso, alla condanna è stata applicata l’attenuante dell’aver agito «per particolari motivi di ordine morale e sociale». Tuttavia, a livello comunicativo, metodi come questi sembrano non funzionare e risultano quasi controproducenti. Il messaggio non è immediatamente chiaro al pubblico e richiede una certa dose di attenzione per essere compreso, attenzione che molti potenziali destinatari non vogliono o non possono prestare nella loro quotidianità. Ci si può interrogare e si può discutere per ore del significato di queste azioni, del fatto che primavere come quella di Botticelli non si vedranno più o del fatto che non può esserci arte su un pianeta morto. Ma, alla fine, ciò che vedrà lo spettatore medio sarà un quadro rovinato.
E al cambiamento climatico non penserà più nessuno.