Del: 6 Febbraio 2024 Di: Andrea Pravato Commenti: 0
Misinformazione e myside bias. Una trappola cognitiva

Il ruolo del giornalista professionista nell’industria mediatica è oggi oggetto di crescente dibattito. Si sta assistendo al progressivo declino del monopolio precedentemente detenuto dagli organi mediatici convenzionali, a favore delle piattaforme di social media online. La centralità e l’influenza tradizionalmente assegnate ai media giornalistici stanno cedendo spazio a nuovi attori e dinamiche, sollevando interrogativi cruciali sul ruolo e sulla responsabilità dei professionisti dell’informazione.

Se una volta la produzione e la diffusione di notizie erano appannaggio dei giornalisti professionisti, oggi questo potere è potenzialmente accessibile a chiunque.

Inizialmente questa rivoluzione venne concepita come una svolta democratica, ma presto nacquero diversi dubbi sulla bontà di tali premesse iniziali: fra la metà e la fine degli ’10 del Duemila, come evidenziato da Cose spiegate bene. Voltiamo decisamente pagina (Il Post, numero del settembre 2023), sorsero i primi interrogativi in merito alla sostenibilità di un modello basato sulla pubblicità online.

Mentre un giornalista professionista è vincolato dal rispetto di doveri deontologici specifici propri della sua professione, individui non professionisti che si occupano della diffusione di notizie sui social media non sono soggetti a tali vincoli etici. D’altronde nella diffusione di contenuti online, la logica della viralità e dell’interazione impera sulla logica della credibilità e della reputazione, che costituiscono i tratti distintivi della professione giornalistica.

Questi due fattori, la “democratizzazione” dei canali mediatici e la mancanza di professionalità, possono incrementare la diffusione di misinformazione online, come le ben conosciute Fake News, e la conseguente percezione distorta della realtà.

Quando una notizia non è veicolata attraverso canali mediatici credibili, diventa imprescindibile, oggi più che mai, uno sforzo cognitivo orientato a valutarne l’affidabilità. Tuttavia, sebbene educazione e riflessione sono ampiamente riconosciuti quali strumenti efficaci per discernere la credibilità di un’informazione, spesso incorriamo in alcune trappole mentali, come il myside bias.

Il myside bias è una tendenza a trovare argomenti che difendono le nostre convinzioni, siano esse di supporto (se siamo d’accordo con qualcosa) o di confutazione (se non siamo d’accordo con qualcosa).

Questo bias cognitivo è il diretto erede del concetto di confirmation bias, che è la tendenza a confermare qualsiasi cosa si pensi, sviluppato negli anni ’60 dallo scienziato cognitivo Peter Wason. Quest’ultimo dimostrò empiricamente la tendenza cognitiva a trovare conferme delle proprie convinzioni, tramite numerosi esperimenti tra i quali il più famoso è il “gioco delle 4 carte”.

In seguito Hugo Mercier, uno scienziato cognitivo d’oltralpe molto conosciuto, ha rielaborato il concetto specificando sia più corretto parlare di myside bias, argomentando che la concezione di bias di conferma sia troppo generale. L’incidenza di questa possibile trappola mentale sulle capacità cognitive di analisi di una notizia può seriamente mettere a repentaglio la capacità di distinguere informazioni accurate e corrette dalle Fake News.

La relazione tra misinformazione online e bias cognitivi è divenuta oggetto di interesse accademico, in un contesto dove l’evidenza scientifica sembra essere nel momento di minima popolarità storica, alla luce dei recenti populismi e complottismi.

Una ricerca congiunta condotta nel 2022 da ricercatori dell’Università di Cambridge e Berlino, si è proposta di individuare i fattori predittivi della suscettibilità alla misinformazione online.

Testando un campione di 2674 statunitensi (di cui il 66% dichiara di essere in possesso di almeno una laurea triennale) tramite il Misinformation Susceptibility Test (MST), lo studio evidenzia che il myside bias e il conservatorismo politico sono correlati positivamente con la suscettibilità alla misinformazione, mentre le abilità matematiche e soprattutto la riflessione cognitiva sono meno importanti.

Stessi risultati anche in una ricerca dell’Università di Riga del 2023 condotta su un campione più ristretto, dove è stata analizzata la percezione della misinformazione pro-Russia e pro-Ucraina tra i lettoni filo-ucraini, imitando contenuti condivisi su Facebook. Lo studio delinea una forte prova del myside bias, in quanto la misinformazione pro-Russia veniva recepita come meno accurata della misinformazione pro-Ucraina.

Certamente queste due ricerche condividono un limite, in quanto entrambe sono condotte in contesti fortemente polarizzati, la politica americana da un lato, l’invasione russa dell’Ucraina dall’altro. Ma le limitazioni allo stesso tempo possono essere una virtù, in quanto il panorama mediatico odierno è caratterizzata da una crescente polarizzazione, evidenziando come entrambi i contesti esaminati siano sempre più la regola e non l’eccezione.

Cosa significa tutto ciò?

Sicuramente ci dice che siamo meno razionali e analitici di quanto ci sforziamo e crediamo di essere. La psiche non è una macchina perfetta ed infallibile, ma ha dei limiti che possono essere amplificati dagli stimoli esterni.

Infatti, le piattaforme online come X, Facebook ed Instagram beneficiano di questi bias cognitivi che caratterizzano il cervello umano. Le logiche di mercato che guidano gli algoritmi forniscono contenuti confezionati ad hoc sui dati e sugli interessi degli utenti, mentre il network effect porta a far interagire con maggior frequenza ed intensità comunità di utenti con prospettive affini.

Le piattaforme in questo modo ne guadagnano sicuramente in termini economici, assicurandosi ingenti introiti generati da pubblicità fortemente targettizzate, ma allo stesso tempo contribuiscono a cristallizzare ed impermeabilizzare le opinioni degli utenti.

Gli algoritmi che le governano ed il network effect, combinandosi insieme, isolano l’individuo all’interno di camere d’eco. L’intrecciarsi di questi elementi, la logica delle piattaforme e le trappole cognitive come il myside bias, crea un potenziale cappio letale per il cittadino.

Per ottenere un’informazione libera e accurata, è necessario imparare a districarsi in un contesto così complesso.

È doveroso ripartire da una riflessione comune. Tramite meccanismi di identità protettivi come il myside bias, il cervello umano rischia di cedere alla semplificazione delle proprie convinzioni a sfavore dello spirito critico.

Nel ciclo di creazione e diffusione delle notizie, l’utente, in quanto destinatario finale del contenuto, emerge come l’elemento più vulnerabile. Pertanto, è di estrema importanza che sia fornito degli strumenti necessari per distinguere informazioni affidabili da quelle ingannevoli.

Per combattere questi fenomeni sono imprescindibili sia strategie sistematiche e strutturali, sia piccoli accorgimenti da adottare a livello individuale. 

Per prima cosa sono necessari interventi sistematici alla fonte, partendo quindi dalla regolamentazione delle piattaforme (anche a costo di perdita di attrattività commerciale) fino ad arrivare alle campagne di informazione e sensibilizzazione. In questa categoria rientra il processo di prebunking, un modello applicabile a livello strutturale, dove le piattaforme sensibilizzano a livello cognitivo gli utenti a smascherare le più comuni tecniche di manipolazione mediatica.

Funziona come una sorta di “vaccino” alle Fake News. Per esempio, Google  ha inserito negli spazi pubblicitari delle sue piattaforme come Facebook, Youtube e Tik Tok dei brevi spot con semplici accorgimenti per evitare di cadere vittime delle “bufale”.

A livello individuale l’utente, sensibilizzato dal processo di prebunking, successivamente può fare affidamento sul processo di debunking. Secondo Treccani il debunking consiste in una «opera di demistificazione e confutazione di notizie o affermazioni false o antiscientifiche, spesso frutto di credenze, ipotesi, convinzioni, teorie ricevute e trasmesse in modo acritico». Se la campagna strutturale di prebunking è stata efficace, la messa in atto di tali tecniche spetta all’utente tramite il debunking.

Queste tecniche costituiscono una potenziale risoluzione e un controbilanciamento utile per cercare di sfuggire a trappole mentali come il myside bias.

Le ricerche menzionate in precedenza sottolineano quanto il myside bias sia una variabile che può vanificare i benefici della riflessione cognitiva, che rimane però uno strumento indispensabile per valutare una notizia. Dev’essere quindi educata tramite due processi: l’adozione di tecniche di debunking e la presa d’atto che la perfetta razionalità dell’essere umano è un assioma utopico.

Avere tale consapevolezza diviene ancor più cruciale in un panorama mediatico dove il proliferare di Fake News polarizza sempre di più la società civile: in un’epoca in cui si privilegia la fermezza ideologica a discapito del dialogo, sarebbe necessario recuperare l’arte del compromesso.

Articolo di Andrea Pravato

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