Il Sudafrica è un paese unico, peculiare, ricco di risorse, un tempo fiore all’occhiello dell’Impero britannico, per molti anni lo Stato più ricco dell’Africa e, oggi, una realtà di difficile interpretazione e in continua evoluzione, che si impegna per costruirsi un nuovo nome e una nuova identità in virtù della necessità di diventare un punto nevralgico della politica internazionale. Quest’anno andrà al voto e, sebbene l’esito possa apparire già scritto, in realtà le elezioni ci potranno dire di più sul destino sudafricano e sulla realtà internazionale vista dagli occhi terzi di chi, per posizione geografica e per scelte politiche, si è consolidato come un osservatore esterno.
Quest’anno andrà al voto e, sebbene l’esito possa apparire già scritto, in realtà le elezioni ci potranno dire di più sul destino sudafricano e sulla realtà internazionale vista dagli occhi terzi di chi, per posizione geografica e per scelte politiche, si è consolidato come un osservatore esterno.
La situazione politica odierna
Il quadro politico interno del Sudafrica è in gran parte il risultato del passato della nazione, soprattutto della realtà dell’Apartheid, parola in lingua afrikaans – la lingua figlia dell’olandese importata nel paese dagli agricoltori che arrivarono dall’Europa – che significa “separazione” e che si tradusse in una politica interna di segregazione che persistette dal 1948 al 1991.
Durante questa fase, allo scopo di allontanare la popolazione di origine africana da quella bianca, furono creati veri e propri stati fantocci, i Bantustan, i quali hanno ripercussioni ancora oggi: il Sudafrica è infatti ancora pesantemente legato all’idea di razza e di diversità etnica ed è caratterizzato, stando a statistiche recenti, da un netto divario nei tenori di vita e nei redditi delle popolazioni bianche rispetto a quelle nere e “coloureds”, cioè le popolazioni multirazziali, con un salario medio dei primi circa 3,5 volte superiore ai secondi.
Questo dato è evidenziato anche dall’Indice di Gini, cioè l’indice che misura il livello di distribuzione della ricchezza:
infatti, da anni il Sudafrica gode della triste caratteristica di avere il peggior grado di distribuzione delle risorse al mondo.
La ricchezza è maldistribuita anche a livello regionale, visto il netto divario tra le aree industrializzate e sviluppate del Western Cape e del Gauteng – sedi di alcune tra le città più produttive dell’intera Africa come Città del Capo, Johannesburg e Pretoria – rispetto al resto dello Stato.
A tutto questo si aggiunge un altissimo livello di corruzione:
essa colpisce sia il settore amministrativo — per via della pessima capacità di gestione da parte del Congresso Nazionale Africano, che da simbolo della lotta per i diritti degli africani di Nelson Mandela si sta trasformando nell’emblema della crisi sudafricana — sia il settore privato. Proprio la corruzioneimpedisce al Paese di sfruttare al meglio le proprie potenzialità.
A vanificare l’abbondanza di risorse di cui il Paese è dotato è l’incapacità della Eskom — compagnia che gestisce l’energia del Sudafrica nonché maggiore società del settore dell’intero continente — di sfruttarle al meglio.
Proprio di questo parla un recente documentario del Financial Times intitolato Eskom: how corruption and crime turned the lights off in South Africa), soffermandosi sull’incapacità di organizzazione della Eskom e sul suo alto livello di corruzione, fattori che portano pesanti risultati nella vita dei cittadini che, da anni, subiscono continui blackout di diverse ore.
L’inefficienza delle autorità amministrative ha prodotto la sfiducia della popolazione verso chi governa, che impatterà molto negativamente sull’andamento del Paese anche nei prossimi anni.
Questa sfiducia si manifesta quotidianamente nella gestione della sicurezza nazionale: in un paese con circa 60 milioni di abitanti, meno di 150mila sono poliziotti e circa 2,7 milioni sono guardie giurate private – stando ai dati del Private Security Industry Regulatory Authority -, dato che mostra una visione del tutto negativa dei cittadini verso le autorità.
Tale sfiducia sta inoltre causando un crescente dissenso nei confrontidell’intero sistema democratico tanto che, stando a dei recenti sondaggi di opinione dell’Afrobarometer, solo per il 40% della popolazione la democrazia è preferibile a qualsiasi altra forma di governo.
Di fronte a queste enormi criticità, il Sudafrica si pone da anni l’obiettivo di rilanciare il proprio ruolo nel sistema internazionale, attraverso politiche decise che ne hanno alimentato il prestigio come potenza regionale.
Questo alto livello di partecipazione nella vita globale – che si palesa nel fatto che lo Stato può vantare di essere l’unico membro di due realtà internazionali dal peso indiscusso quali il G7 e il BRICS – ha reso il Sudafrica un attore di alto prestigio.
La volontà di inserirsi con decisione negli affari internazionali è emersa anche di recente, con l’accusa di genocidio a Israele alla Corte Internazionale di Giustizia accolta dai giudici della Corte il 26 gennaio.
Come afferma l’accademico sudafricano Steven Friedman in un articolo del Foreign Affairs dell’8 febbraio, la decisione sudafricana è molto facilmente spiegabile, in primis con l’analogia tra il popolo palestinese e quello sudafricano che è stata proposta a più riprese anche da Nelson Mandela. Oltre che con fattori morali, la decisione di portare la questione alla Corte si spiega anche come un cambio di rotta rispetto alle frequenti politiche estere di carattere prettamente opportunista, con l’obiettivo di indirizzare il ruolo internazionale del Sudafrica verso la sua identità naturale, legata ai valori che hanno caratterizzato la lotta per i diritti umani di Nelson Mandela nel mondo.
Le elezioni del 2024
Al netto di quanto analizzato è facile comprendere che, di fianco a una messa in discussione del Congresso Nazionale Africano, si sta manifestando una crescita di elementi di estremismo. In particolare, sta acquisendo un crescente consenso l’Economic Freedom Fighters, un partito con ideali di panafricanismo e marxismo guidato dal controverso Julius Malema, espulso nel 2012 dal Congresso Nazionale Africano, fondatore dell’EEF e noto per i suoi eccentrici comizi in cui ha frequentemente intonato «Dubul’ ibhunu», traducibile in inglese come «Kill the Boer», cioè «uccidi il Boero».
Si tratta di un controverso canto anti-apartheid che è stato più volte accusato di incitamento all’odio vista la chiara matrice anti-boera: i Boeri (oggi Afrikaner) sono le popolazioni di lingua madre afrikaans di etnia europea che vivono perlopiù nell’area nord-est del paese praticando agricoltura, in passato tra i maggiori leader dell’ideologia di apartheid e oggi frequentemente soggetti a un fenomeno di razzismo “di rimbalzo” legato ai non rari assalti alle proprie fattorie, spesso motivati proprio da una matrice razziale.
Un altro elemento interessante è la crescita del consenso verso l’indipendentismo del Western Cape, anche chiamato CapeXit, che si palesa attraverso il movimento Cape Indipendence Advocacy Group e il Referendum Party.
Attraverso una narrazione che vede al centro la ricchezza dell’area, la sua multiculturalità vissuta più serenamente in confronto alle altre Province e il suo schieramento più filoccidentale rispetto al resto del paese, il movimento punta a raggiungere un referendum che permetta di separare la regione e dar vita a un nuovo Stato. Stando a sondaggi frutto di iniziativa dello stesso movimento, ben il 58% dei votanti della regione supporta la causa.
Di fronte a tutti questi elementi, in data ancora da definirsi, nel 2024 il Sudafrica andrà alle urne: è dunque doveroso definire i principali partiti che si presenteranno – alcuni dei quali sono stati direttamente già citati in precedenza – le politiche da loro presentate e i possibili esiti delle elezioni.
Il primo attore di cui bisogna parlare è senza dubbio il Congresso Nazionale Africano, al potere ininterrottamente dal 1994.
Nel 2024, con ogni probabilità il partito sarà ancora una volta – e con distacco – il più votato. Però, come osservano molti analisti, potrebbe verificarsi una nuova riduzione dei voti ottenuti, capace di far scendere il partito guidato dal presidente Cyril Ramaphosa per la prima volta dal 1994 al di sotto del 50%.
Questo si potrebbe tradurre nell’inedita necessità per il Congresso di creare un nuovo governo di coalizione, guidando l’esecutivo non più in modo solitario ma affiancato da almeno uno degli altri due grandi partiti del paese, cioè Democratic Alliance e lo già citato Economic Freedom Fighters.
Democratic Alliance è il secondo partito del Sudafrica:
si presenta come un partito moderato, centrista e liberale, supportato soprattutto dalle popolazioni bianche, indiane e coloureds, filiazione del Progressive Party che era tra i pochi partiti antiapartheid prima della democratizzazione dello Stato. Il partito vanta buoni risultati nelle politiche di gestione delle municipalità e delle regioni: DA è a capo della già citata Provincia del Western Cape, che è tra le più ricche ed efficienti aree regionali di tutta l’Africa, verso la quale ha anche assunto posizioni di supporto alla causa indipendentista.
Questi elementi fanno del partito guidato dall’attuale leader dell’opposizione John Steenhuisen il candidato ideale per una possibile coalizione al governo. Va però osservato come, al di là dei possibili esiti positivi di una coalizione di questo tipo, sussistono nette differenze ideologiche tra i due gruppi, che rendono tutto fuorché scontato questo tipo di unione. Senza alcun dubbio, si tratterebbe di una coalizione più stabile di quella che potrebbe sorgere dall’unione tra Congresso Nazionale Africano ed Economic Freedom Fighters.
L’Economic Freedom Fighters di Julius Malema rappresenta la terza forza politica nel Sudafrica, nonché il secondo partito in tre delle nove Provincie dello Stato.
Fin dalla sua nascita nel 2013 l’EEF, partito di matrice marxista-leninista, ha mosso pesanti critiche al Congresso Nazionale Africano, accusandolo di sostenere le grandi aziende e di lasciare indietro tutti gli altri. Dal canto suo, ha proposto la nazionalizzazione dei settori bancario e minerario, l’espropriazione dei terreni posseduti dai bianchi e degli aumenti di welfare e salario minimo. In politica estera si segue una linea altrettanto controversa: è stato ribadito il sostegno alla Russia di Putinnella Guerra in Ucraina e ad Hamas nella Guerra di Gaza.
Queste posizioni estremiste rendono l’EFF un difficile alleato con cui il Congresso Nazionale Africano potrebbe allearsi; tuttavia, bisogna riconoscere che molti membri del partito di maggioranza preferirebbero una coalizione con il partito di Malema per ragioni soprattutto d’immagine. Infatti, agli occhi di questi soggetti e di molti sudafricani, un’alleanza con DA significherebbe riportare i bianchi all’esecutivo e attorno a questo, come è facile capire, arieggia un senso di timore e preoccupazione che rievoca il fantasma dell’apartheid. In caso di necessità di coalizione, quindi, un accordo con l’EFF sarebbe una possibilità concreta.
I tre principali partiti sono accompagnati da numerosi altri con livelli di consenso più modesti, perlopiù a difesa di singoli gruppi etnici o di singole cause.
Prospettive
Il Sudafrica del 2024 è un paese complesso, con tante problematicità, con potenzialità enormi ma non sfruttate e con un livello di tensione elevatissimo, e si presenta alle urne come uno Stato diverso da tutti gli altri.
Le sfide che la futura classe dirigente dovrà affrontare sono tante, spesso ingombranti, e spaziano dalla ripresa economica alla costruzione di un sistema in cui la convivenza tra tutti i gruppi etnici sia possibile, passando per l’ottimizzazione della gestione delle risorse.
Cambiare rotta è difficile per il Sudafrica, perché lo Stato si trascina il ricordo di un trauma passato che ne caratterizza l’identità presente: proprio la persistenza del trauma come elemento che tiene unita un’intera classe amministrativa sta causando una stagnazione crescente e un’incapacità di autogestione.
Lo Stato deve impegnarsi ad avanzare, a favorire lo sviluppo di una nuova immagine di sé stesso sia sul piano nazionale che nel sistema internazionale, applicando quei valori di dialogo, di cooperazione, di riscoperta e rinascita — che hanno diffuso un’immagine positiva di esso nel mondo — alla politica interna ed estera. Questi valori si sono reincarnati nel passaggio di testimone da F.W. de Klerk a Nelson Mandela e, da qui in avanti, serviranno di nuovo per garantire al Sudafrica la rinascita di cui ha bisogno.