
«Non dovrebbe essere difficile da capire che se un trafficante incassa i soldi dei migranti, migliaia di dollari, poi non si mette a bordo dell’imbarcazione, rischiando la vita» così commenta Bouba Dieye (nome di fantasia per proteggerne l’identità) dopo sette lunghi anni di processi che lo hanno visto indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il ragazzo, a soli vent’anni, nel luglio del 2016 era stato arrestato perché colpevole di aver guidato, in quanto scafista, un’imbarcazione carica di 655 persone migranti verso l’Italia.
Nel febbraio del 2023 tuttavia, dopo una richiesta di 8 anni da parte della procura, il procedimento è terminato con un’assoluzione definitiva. I motivi della sentenza sono stati ben illustrati dall’avvocato Marco di Maria: Dieye, secondo la delibera, avrebbe agito per stato di necessità, o meglio sarebbe stato obbligato dai trafficanti libici a prendere il timone della barca, pena la sua stessa vita. Questo è soltanto uno dei tanti episodi che creano confusione riguardo la connotazione e il significato da dare al termine scafista. La classe politica del resto, e in particolare la presidente del consiglio Giorgia Meloni e il suo governo, hanno sempre usato questa espressione come sinonimo di trafficante di esseri umani. Come ben spiegato da Pagella politica però, non sempre le due parole sono sovrapponibili.
I trafficanti infatti, sono coloro che si occupano dell’organizzazione dei viaggi nel mediterraneo, attirando le persone migranti e promettendogli un arrivo in Europa in cambio di denaro.
Solitamente questi però, rimangono sulla terra ferma e non mettono a rischio la propria vita. Gli scafisti, al contrario, sono coloro che guidano fisicamente le imbarcazioni, e che nella gran parte dei casi c’entrano poco o nulla con le organizzazioni criminali che coordinano le attraversate.
Un interessante rapporto intitolato Dal mare al carcere, redatto dal circolo ARCI “Porco Rosso” di Palermo con il sostegno della rete transnazionale Watch the Med – Alarm Phone, divide quest’ultima categoria di individui in quattro gruppi. Vi è in primo luogo il capitano forzato, generalmente un migrante, con qualche esperienza marittima (anche nessuna), che viene obbligato dai trafficanti a prendere il timone della barca. Il resoconto poi tratteggia la figura del capitano per necessità, ovvero una persona migrante che, nei momenti di emergenza o di pericolo, come un guasto al motore, si prende la responsabilità della guida.
La terza categoria è rappresentata dal profilo del capitano retribuito, anch’egli una persona migrante che, nel suddetto caso, viene pagata (o viaggia gratuitamente) per prendere il comando dell’imbarcazione, ma senza tessere legami con l’organizzazione criminale. Solo l’ultima tipologia di capitano, ovvero il cosiddetto “capitano dell’organizzazione”, è direttamente colluso con i trafficanti. Questo solitamente accompagna la barca fino a un certo punto e poi torna indietro, per timore di essere catturato.
Letti questi dati ci sarebbe dunque da domandarsi perché l’Italia punisca fino a cinque anni di carcere coloro che «effettuano il trasporto di stranieri all’interno del territorio dello Stato», senza fare nessun tipo di distinzione a livello legislativo fra le varie categorie sopra elencate. A questa ricerca di chiarimenti non ha saputo rispondere il governo italiano, complice al contrario di aver inasprito le pene in materia. I
l 10 marzo 2023 infatti, è stato approvato il cosiddetto Decreto Cutro, in seguito al naufragio che ha colpito l’omonima località calabrese, teatro di una tragedia in cui hanno perso la vita 94 persone migranti.
Secondo tale norma, chiunque venisse colto nell’atto di favorire l’ingresso illegale di persone migranti sul suolo italiano, rischierebbe dai 2 ai 6 anni di reclusione. Inoltre, con l’introduzione di una nuova tipologia di reato per «morti o lesioni gravi in conseguenza di traffico di clandestini» l’imputato potrebbe andare incontro a una condanna dai 10 ai 30 anni di carcere. Il problema, come sottolineato dagli esperti di immigrazione, è che, per quanto Giorgia Meloni abbia esplicitamente dichiarato di voler «andare a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo», alla prova dei fatti questa fattispecie di decreti andrebbero a colpire solo gli scafisti in mare (con tutte le distinzioni precedentemente descritte) e non quelli sulla terra, ovvero i veri e propri trafficanti di esseri umani.
È chiaro, in conclusione, che questa strategia non porterà mai a una diminuzione del traffico e delle partenze, per altro in crescita dal 2023 rispetto ai due anni precedenti, ma solo all’aumento di processi lunghissimi condotti, in molti casi, a discapito di persone innocenti.