“My body, my choice – Mon corps, mon choix” è la frase che ha campeggiato sulla Torre Eiffel, illuminata a festa, il 4 marzo scorso. Quel giorno, con una grande manifestazione, la Francia ha festeggiato l’introduzione del diritto all’aborto nella propria Costituzione. L’articolo 34 prevede infatti che: «la legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso ad un’interruzione volontaria della gravidanza».
La norma è stata votata dal Parlamento con una schiacciante maggioranza di tutti i partiti, concretizzandosi dopo un lungo processo legislativo che, se da una parte ha visto un forte sostegno del Governo, dall’altra ha ricevuto critiche dai settori conservatori e religiosi. La Pontificia Accademia per la Vita , infatti, in una nota diffusa dal Vaticano, ha ribadito che «proprio nell’epoca dei diritti umani universali, non può esserci un diritto a sopprimere una vita umana».
L’evento storico è stato celebrato dal presidente Emmanuel Macron anche sui social, dove ha scritto:
«Fierezza francese, messaggio universale»,
invitando i cittadini a festeggiare «l’ingresso di una nuova libertà garantita nella Costituzione con la prima cerimonia di sigillatura aperta al pubblico». Secondo Mathilde Panot, capogruppo di “La France Insoumise” e tra le principali promotrici della modifica costituzionale, quest’ultima è «una promessa per le donne che lottano ovunque nel mondo».
L’introduzione del diritto all’aborto nella Costituzione francese ha conseguenze sulla politica interna del paese, ma potrebbe avere anche ricadute internazionali. Dal punto di vista interno, l’inclusione rende più ostica l’abrogazione del diritto: non sarebbe sufficiente una legge ordinaria, ma occorrerebbe una riforma costituzionale dall’iter macchinoso. Inoltre, la Francia è il primo paese al mondo a inserire il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza nella propria Costituzione, un esempio che anche altri Stati potrebbero successivamente seguire. Infine, con questa promozione si trasmette un messaggio sociale forte, tema di un possibile dibattito pubblico.
La legalizzazione dell’aborto in Francia risale alla legge Veil del 1975, con la quale per le donne è stato reso possibile interrompere la gravidanza fino alla fine della quattordicesima settimana, ma anche per motivi medici. L’attuale decisione è stata influenzata dagli eventi internazionali, in particolare dal ribaltamento della sentenza “Roe v. Wade” negli Stati Uniti nel 2022. Quest’ultima ha eliminato il diritto costituzionale all’aborto, lasciando la possibilità ai singoli Stati di vietarlo o limitarlo. Le conseguenze dell’imposizione sono spesso drammatiche, specialmente per quanto riguarda le vittime di stupro, le gravidanze in età adolescenziale e le donne la cui salute potrebbe essere messa in pericolo.
Ma non sono solo gli Stati Uniti ad aver limitato i diritti riproduttivi femminili. Nel mondo sono ancora molti i Paesi nei quali l’aborto è vietato. Innanzitutto, in Stati come Malta, Andorra, Egitto, Repubblica Dominicana, Filippine e Senegal è illegale in qualsiasi circostanza; in altri, quali Brasile, Cile, Venezuela, Emirati Arabi, Indonesia, Sri Lanka, Tanzania si può esercitare solo in caso di pericolo di vita per la donna; infine, in circa cinquanta paesi, tra cui Malesia, Costa Rica, Marocco, Kenya, è consentito solo in caso di problemi di salute del feto o della donna, in caso di stupro o incesto. In Italia, pur essendo previsto dalla legge 194, il diritto di aborto è fortemente ostacolato e una delle ragioni centrali è la presenza di medici obiettori nelle strutture sanitarie. La Francia può dunque gioire di questo grande traguardo.
Ma l’aria di cambiamento sul fronte dei diritti delle donne non si ferma all’aborto.
Il mondo delle star francesi sta compiendo un’altra grande lotta per impedire l’abuso delle donne, in particolare sui set cinematografici, ma in generale in ogni contesto. Il 23 febbraio scorso, alla cerimonia della consegna dei Césars, prestigioso premio cinematografico francese, l’attrice e regista Judith Godrèche ha esortato gli operatori ad un cambiamento radicale nel cinema: non accettare i soprusi, gli abusi e le violenze che restano assai diffusi.
Le sue parole hanno scosso il pubblico, soprattutto perché l’attrice, ora 51enne, ha denunciato i registi Jacques Doillon e Benoît Jacquot di violenze sessuali nei suoi confronti quando aveva 15 anni. In Italia questi nomi dicono poco, ma nel Paese d’origine Judith Godrèche è un’attrice molto popolare, mentre Doillon e Jacquot sono colossi anni Settanta/Ottanta del post Nouvelle Vague, spesso presenti ai festival di Cannes, Venezia e Berlino con i loro film.
Il caso è stato presentato alla Brigata di Protezione Minorile della polizia per stupro di un minore, e il reato potrebbe essere punito con 20 anni di reclusione. L’attrice ha deciso di parlare apertamente in quanto Jacquot, in un documentario del 2011, si è vantato del fatto che la loro relazione fosse una “trasgressione” e che il cinema ne fornisse una “copertura”. Quando il regista fece il provino a Judith lei aveva solo 14 anni, mentre lui 39. Per l’attrice, la crescita nel mondo cinematografica è avvenuta proprio per mano di Jacquot, a partire dal casting nel 1986 per il film “Les Mendiants” (I mendicanti). Innanzitutto, l’avrebbe scelta dopo un provino composto solo da due domande: “Come ti chiami?” e “Hai un fidanzato?”. Poi il regista avrebbe “adescato” Godrèche, la quale sarebbe rimasta nel suo pugno per sei anni recitando anche in “I disincantati” nel 1990.
La denuncia è anche stata supportata da una lunga inchiesta del quotidiano Le Monde, al quale Judith ha confidato particolari di quel periodo. Per esempio, ha raccontato di come un giorno Jacquot, dopo scuola, l’avrebbe portata al cinema mettendole la mano sui genitali durante la proiezione. In un’altra occasione, invece, l’adolescente sarebbe stata trascinata nella camera da letto del regista dove si sarebbe consumato un rapporto sessuale con la richiesta, espressa da lui, di non usare contraccettivi. Di fronte a queste accuse, Jacquot ha negato ogni abuso, anzi ha accusato la stessa Judith di averlo sedotto con una grande influenza per molti anni.
La seconda accusa di violenza sessuale è stata rivolta, sempre da Godreche, a Jacques Doillon, oggi 79enne, in riferimento all’epoca in cui l’attrice, sedicenne, recitò nel film “La fille de 15 ans”. Nella pellicola, il padre del fidanzato di Godreche si innamora di lei. Per interpretare il padre era stato inizialmente ingaggiato un attore, ma all’inizio delle riprese era stato licenziato da Doillon, che prese il suo posto. Successivamente, il regista decise che ci sarebbe stata una scena d’amore tra loro due: ben 45 ciak in cui Doillon, all’epoca 42enne, accarezzava e baciava Godreche. Entrambi i registi sono stati denunciati ed è in corso un’indagine.
Nel 2017 l’attrice si era espressa contro il produttore cinematografico statunitense Harvey Weinstein, appoggiando il movimento #MeToo.
Nel corso degli anni la campagna ha preso slancio in Francia, e oggi sta provocando un nuovo dibattito sul sessismo e sulla violenza sessuale nel cinema francese.
Incoraggiate dall’iniziativa di Judith, altre attrici come Julia Roy, Isild Le Besco e Vahina Giocante hanno avuto il coraggio di confessare la loro esperienza negativa sui set dei film di Jacquot.
La denuncia di Judith e delle sue colleghe è stata un terremoto per l’ambiente del cinema francese, determinando conseguenze importanti anche nel calendario delle prossime uscite. L’uscita di “Belle”, ultimo film di Jacquot, è ancora da stabilirsi; è stata annullata la proiezione alla Cinémathèque di Parigi di una copia restaurata del suo film “Les ailes de la colombe” del 1981, in calendario il 16 marzo. Infine, potrebbe slittare anche l’uscita dell’ultimo film di Jacques Doillon “CE2”, prevista per il 27 marzo.
In Francia, quindi, il mondo cinematografico è in rivolta e le attrici stanno facendo valere i propri diritti.