Del: 4 Marzo 2024 Di: Andrea Pravato Commenti: 0

È arrivato marzo e per gli appassionati delle due ruote significa il ritorno del grande ciclismo su strada, con la Milano Sanremo ad aprire la stagione. Tra gli appassionati di ciclismo vi è una spaccatura tra chi preferisce le Classiche (gare in linea di un giorno) e chi, invece, ama i grandi Giri (Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta). Questo è un primo dualismo che caratterizza questo sport.

Tradotto in altri termini, c’è chi preferisce che la partita si giochi sull’esplosività e l’imprevedibilità di una gara secca oppure chi sulla costanza e l’equilibrio necessari per primeggiare in un Tour di tre settimane.

Premesso si appartenga alla prima categoria, ne consegue un secondo dualismo. Da qualche anno a contendersi buona parte delle Classiche, tra cui spiccano le 5 Classiche Monumento, che sono per una questione storica e tecnica le più prestigiose, ci sono due ciclisti: Wout Van Aert e Mathieu Van der Poel. Uno divenuto ciclista per vocazione, l’altro, nipote di Poulidor, il ciclismo lo ha nel sangue. Uno viene dalla patria che ha dato i natali al miglior ciclista di sempre, il Cannibale Eddie Merckx, l’altro dalla Nazione delle biciclette, l’Olanda. Ma le differenze sostanziali sembrano fermarsi qui, perché Van Aert e Van der Poel sono vittime di un gioco del destino ricorrente, che si diverte a mettere atleti che si eguagliano in talento, ad inseguire gli stessi obiettivi. Il ciclismo è pieno di esempi, partendo da Coppi e Bartali, che hanno infiammato il dopoguerra italiano, passando per Moser e Saronni fino ad arrivare a oggi con Van Aert e Van der Poel. I grandi dualismi hanno scritto la storia dello sport, hanno fatto le fortune dei giornali ma soprattutto hanno deliziato i tifosi.

Ribaltando la prospettiva, più che delizia sono spesso una croce per i diretti interessati. Si ritrovano infatti a condividere il ruolo di co-protagonisti in sceneggiature anomale, scritte per avere non una, bensì due stelle. L’anomalia sta proprio in questa coesistenza ingombrante tra due unità differenti, ma allo stesso tempo inscindibili l’una dall’altra.

E ciò che rende ancor di più indissolubile la rivalità tra Van Aert e Van der Poel, sono il fango e le pietre.

Fango. Entrambi sono cresciuti a fango e bicicletta. Fin da ragazzini praticano il ciclocross, disciplina che consiste in una gara circa di un’ora in un circuito di sabbia o terra, che il più delle volte diventa fango. Sono gli atleti più forti di sempre della disciplina, ed i loro palmarès lo dimostrano. Dal 2015 in poi, sembra ci siano due unici partecipanti al mondiale di ciclocross. Van der Poel ha raccolto 6 ori ed un argento, Van Aert 3 ori e 4 argenti.  Sono riusciti a spettacolizzare una disciplina che era sconosciuta al di fuori del nord Europa, dove storicamente è più radicata.  Da sempre il fratello minore del ciclismo su strada, con loro due in gara, il fango diventa rilevante tanto quanto l’asfalto. Il giornalista Gianpaolo Ormezzano diceva che “Il ciclismo è la fatica più sporca addosso alla gente più pulita”. Probabilmente non aveva mai visto un ciclocrossista.

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Pietre. Ciò che rende iconiche le più belle classiche Monumento, la Parigi Roubaix ed il giro delle Fiandre, sono i tratti di pavé. Lunghi tratti stradali costituiti da cubetti di pietra o porfido. Stradine di campagna poco trafficate e dall’aspetto bucolico per gran parte dell’anno, che tra marzo ed aprile si trasformano nella Mecca del ciclismo mondiale. Difficile mantenere l’equilibrio in sella, le bici tremano e ballano sopra il pavé, ma Van Aert e Van der Poel hanno dimostrato di saper domare queste superfici più di qualsiasi altro corridore negli ultimi anni.  Ma attenzione, essere sulla carta i più talentuosi non dà certezza della vittoria. Sebbene entrambi siano dati favoriti quando si presentano alla partenza, i due non sono gli unici mattatori come nel ciclocross. Van der Poel ha vinto due giri delle Fiandre ed una Parigi Roubaix, Van Aert, spesso condizionato da forature e problemi tecnici, una Milano Sanremo e tanti piazzamenti nelle due regine del Nord. Proprio qui sta il fascino del pavé, l’imprevedibilità. L’idea che con il solo talento e l’allenamento si possa domare questa superficie è un’illusione tracotante. Il pavé premia i più talentuosi, ma che siano in grado di aggraziarsi la fortuna.

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La loro rivalità però non si limita alle imprese sportive, ma sta riabilitando l’intero movimento ciclistico. Perché la risonanza mediatica di questo dualismo sta ridando vitalità e visibilità al ciclismo, dopo decenni turbolenti.  Negli anni ‘90 grazie ad un inasprimento dei controlli, si son susseguite  squalifiche per casi di doping, culminate con la revoca dei 7 Tour de France a Lance Armstrong. Una perdita di credibilità per tutto il movimento ciclistico, uno sport etichettato démodé e corrotto, che ha perso l’aura di eroicità conservata per quasi tutto il Novecento. Van der Poel e Van Aert stanno contribuendo a riqualificare la reputazione del movimento ciclistico, spazzando via le polemiche degli anni più bui. Il tutto tramite una medicina semplice, facendo spettacolo leale in ogni corsa. Purtroppo, il fenomeno Van der Poel e Van Aert non appassiona gli italiani tanto quanto i belgi e gli olandesi, che al pallone preferiscono la bicicletta.

Ma il ritorno del ciclismo come sport di massa sarebbe una notizia positiva per l’Italia, che oggi ha un rapporto complicato con la bici.

E’ doveroso ricordare che siamo il paese europeo dove è più pericoloso andare in bici.  Certamente  l’Italia ha una storia di pianificazione urbana poco orientata  alla bicicletta, come lo evidenziano il numero limitato di piste ciclabili presenti nel territorio. Ma allo stesso tempo vi è una complicata convivenza con gli automobilisti. Alla base ci sta una scarsa educazione al rispetto di una categoria vulnerabile, dimostrata dall’odio diffuso specialmente sui social media. È essenziale affrontare questa problematica con un approccio strutturale, mediante la promozione di campagne di sensibilizzazione e l’implementazione di una più robusta tutela legislativa per questa categoria.  Ma al di là di soluzioni strutturali, servirebbe una radicale inversione culturale.

Spostando lo sguardo un po’ più su, tra il Belgio e l’Olanda, possiamo infatti imparare qualcosa. Il rispetto si costruisce anche attraverso l’ammirazione. Due Campioni come Van Aert e Van der Poel sono uno spot efficacissimo per il ciclismo.  Pur essendo parte di contesti dove vi è una cultura ciclistica ben radicata, con il loro dualismo la stanno ancor più fortificando. In Belgio ed in Olanda la bicicletta è al centro della vita dei cittadini e dell’agenda politica, e non è un caso che il ciclismo sia tra gli sport più amati.

In Italia il tennis sta giovando di un “effetto campione” simile. Le vittorie di Jannik Sinner stanno trainando l’intero movimento tennistico, come testimoniato dal boom di iscrizioni alle scuole di tennis. Ma se il tennis difficilmente può scavalcare i confini sportivi, il ciclismo può avere quest’ambizione. Questo sport fa storicamente parte del costume italiano, ma oggi è una passione dormiente. Avrebbe bisogno di qualcuno che la risvegli, come stanno facendo altrove Van Aert e Van der Poel e come sta facendo Sinner con il tennis.

Chi sarà in grado di riaccendere questa passione, potrebbe fungere da ambasciatore della bicicletta non solo limitata all’ottica sportiva, ma intesa come fenomeno tout court.

L’auspicio è che si sviluppi un contesto politico-culturale in cui i ciclisti si sentano più sicuri per strada, grazie ad una cultura del rispetto lungo le strade verso questa categoria ed una classe politica che la protegga, tramite interventi infrastrutturali e legislativi adeguati. Che tutto ciò avvenga per merito di una ritrovata passione degli italiani verso il grande ciclismo è utopico. Ma allo stesso tempo, che un fuoriclasse od una grande rivalità possano dare l’assist (od in gergo “tirare la volata”) ad una cultura ciclistica rinnovata, è una speranza.  In fin dei conti, tutti noi siamo ciclisti, dagli appassionati della domenica a coloro che utilizzano la bici per recarsi a scuola o al lavoro. Intanto però, fin che noi italiani aspettiamo i nuovi Coppi e Bartali, ci possiamo godere Van Aert e Van der Poel. Lo spettacolo non è da meno.

Foto di copertina: ©-Marc-Flickr-Licenza-CC-BY-NC-ND-2.0-DEED

Articolo di Andrea Pravato

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