
Nelle ultime settimane non saranno passate inosservate le incessanti polemiche che hanno interessato la tv pubblica. Dall’inaspettato abbandono della Rai da parte di Amadeus, alla cancellazione ingiustificata del monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile: questi eventi non sono casuali, ma si aggiungono a una lunga serie di avvenimenti che, almeno apparentemente, sembrano rafforzare il controllo del governo sulla tv di stato.
È comunque doveroso – e giusto – ricordare che la Rai non è mai stata un’emittente indipendente o interamente slegata dalla politica. Anzi, nella maggior parte dei casi ha subito l’influenza dei vari governi in carica. Analizzando però il presente, solo due settimane fa la Commissione di Vigilanza Rai è finita al centro di numerose polemiche dopo una delibera sul controllo dell’informazione politica in vista delle elezioni europee dell’8 e 9 giugno.
Questa Commissione, che ricordiamo essere composta da 20 senatori e 20 deputati a maggioranza governativa, ha tra i vari compiti quello di nominare i vertici del consiglio di amministrazione Rai e soprattutto di supervisionare il rispetto delle direttive fornite al servizio pubblico. Nel caso di specie, il 9 aprile essa si è riunita per modificare alcune disposizioni presentate dall’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni).
A ogni elezione nazionale, europea o regionale, infatti, vengono stabilite delle norme condivise che radio e tv private sono obbligate a seguire. Solitamente queste fanno riferimento alla legge sulla par condicio, ossia a quell’insieme di regole che permettono una giusta ed equa partizione dello spazio politico all’interno delle trasmissioni televisive e radiofoniche.
Questo serve per far sì che l’informazione non venga monopolizzata dai partiti più grandi e che non vada a vantaggio solo di alcune componenti politiche.
Bisogna infatti considerare che la legge è stata creata negli anni 2000 anche per far fronte al monopolio dell’informazione da parte di Silvio Berlusconi, allora presidente di un partito, ma anche proprietario di alcuni giornali e della rete televisiva Mediaset.
Ritornando al punto centrale del discorso, l’Agcom fissa le regole per la tv privata, mentre le indica per quella pubblica, sulla quale ha giurisdizione anche la Commissione di Vigilanza Rai. Come dicevamo, sono proprio alcune delibere di quest’ultima ad aver acuito le tensioni con le opposizioni.
In particolare, un emendamento presentato il 9 aprile dal deputato di Fratelli d’Italia Francesco Filini, il deputato di Noi Moderati Maurizio Lupi e il senatore della Lega Giorgio Maria Bergesio, stabilirebbe che durante la campagna elettorale per le europee «i programmi di approfondimento informativo, qualora in essi assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politico-elettorali, sono tenuti a garantire la più ampia possibilità di espressione ai diversi soggetti politici, facendo in ogni caso salvo il principio e la necessità di garantire ai cittadini una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative».
Secondo i partiti di minoranza, quest’ultimo inciso «facendo in ogni caso salvo…» avvantaggerebbe gli schieramenti governativi, i quali, con la scusa dell’informazione istituzionale, avrebbero a loro disposizione tempo indefinito per fare campagna elettorale.
Di fatto però la questione rimane di natura interpretativa e la sua evoluzione dipenderà da come verrà affrontata dalla maggioranza durante le prossime settimane.
Ad aggiungersi alle proteste è stato anche Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, che il 10 aprile, per rivendicare il proprio disaccordo con gli emendamenti della Commissione di Vigilanza, ha pubblicato un comunicato molto duro contro il governo, accusato di voler mettere le mani sulla tv pubblica.
Nel comunicato, letto in diretta tv durante i telegiornali, si dice che «la maggioranza di governo ha deciso di trasformare la Rai nel proprio megafono. Lo ha fatto attraverso la Commissione di Vigilanza che ha approvato una norma che consente ai rappresentanti del governo di parlare nei talk senza vincoli di tempo e senza contraddittorio. Non solo, Rainews24 potrà trasmettere integralmente i comizi politici, senza alcuna mediazione giornalistica, preceduti solamente da una sigla. Questa non è la nostra idea di servizio pubblico, dove al centro c’è il lavoro delle giornaliste e dei giornalisti che fanno domande (anche scomode) verificano quanto viene detto, fanno notare incongruenze. Per questo gentili telespettatori vi informiamo che siamo pronti a mobilitarci per garantire a voi un’informazione indipendente, equilibrata e plurale».
A cercare di spegnere le polemiche è stata sempre l’Agcom, che il 12 aprile ha pubblicato il proprio regolamento per la campagna elettorale.
L’autorità, come previsto dalla legge 28 del 2000, «interverrà tempestivamente in caso di squilibri, mirando ad assicurare un dibattito politico corretto e pluralistico e condizioni di parità di trattamento tra i soggetti partecipanti alla competizione elettorale. L’Autorità applicherà in modo uniforme per la Rai e per le emittenti private le regole fissate dalla legge e richiamate tanto dalla delibera della Commissione di vigilanza quanto dal proprio regolamento approvato oggi».
Il provvedimento del resto cerca di accontentare tutti, dando ampio spazio alle interpretazioni. Se infatti per Fratelli d’Italia vi è assoluta uniformità tra le disposizioni della Commissione di Vigilanza Rai e quelle dell’Agcom, Usigrai e i partiti di opposizione si dicono invece soddisfatti per la scelta dell’Agcom di non accogliere le modifiche varate dalla maggioranza di governo in Commissione, affermando quindi la differenza tra i due regolamenti.
Non essendoci quindi chiarezza sulla questione, il modo in cui questa si svilupperà dipenderà da come il governo e i suoi esponenti utilizzeranno lo spazio di informazione istituzionale. Se questo dovesse essere impiegato per fare campagna elettorale, ci troveremo di fronte, per la prima volta, a un aggiramento della legge sulla par condicio che farebbe venir meno quella “parità di trattamento” che l’etimologia latina della parola suggerisce.