Del: 6 Maggio 2024 Di: Gaia Bassanini Commenti: 0

Le misure di sicurezza approdano nel panorama penale italiano con l’entrata in vigore dell’attuale Codice penale Rocco, risalente, seppur profondamente modificato, al 1930.  

Sono giustificate dalla “necessità di apprestare più adeguati mezzi legislativi di lotta contro la delinquenza, aumentata specialmente nel periodo postbellico”, come riportava l’allora Ministro della Giustizia Alfredo Rocco nella relazione al codice in parola. Erano quindi, rispetto alla pena detentiva, un ulteriore e più penetrante strumento di contrasto alla criminalità dei plurirecidivi. 

La disciplina nel corso dei decenni ha subito delle modifiche fino ad arrivare all’impianto attuale, il quale prevede l’applicazione delle suddette misure al reo che, secondo l’attenta valutazione di un giudice, potrebbe in futuro commettere un nuovo reato. Tale soggetto viene detto, in termini tecnici, socialmente pericoloso

La prassi mostra che la menzionata valutazione è permeata da varie problematiche: in primo luogo va riportata la soggettività della valutazione che, seppur guidata da criteri stabiliti, questi risultano essere molto generici, a tal punto da costringere l’esaminatore a giudicare la personalità del soggetto sulla base della sua capacità e attitudine personale a capire l’essere umano.  In secondo luogo, è facile immaginare che sia estremamente difficile predire con certezza un comportamento futuro.

Proprio per queste ragioni è importante che il giudice abbia un approccio valutativo equilibrato, trasparente e volto a tutelare al meglio i diritti del singolo e della collettività.  

Tornando a parlare di misure di sicurezza, tra le varie modalità di esecuzione, vi è l’assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro, le quali si differenziano per le attività lavorative espletate al loro interno: legate al suolo e al contatto con gli animali o meno.  

L’obiettivo delle suddette misure dovrebbe essere un avvicinamento o riavvicinamento ad un contesto lavorativo, seppur in stato detentivo, al fine di un più agile futuro reinserimento nella società. Questo scopo si colloca in linea con il fine rieducativo della pena sancito dalla nostra Costituzione. 

Un quadro normativo foraggiato da buone premesse, ma che purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi non trova adeguato riscontro pratico. Arrivano forti critiche da più fronti, tra i quali varie associazioni del settore. 

Prima tra queste, l’associazione Antigone nel suo XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione nelle colonie agricole e case di lavoro, mette in luce diversi aspetti per cui i trattamenti riservati agli internati (sottoposti alle misure di sicurezza detentive) e i detenuti sono equivalenti:  la pena e la misura di sicurezza sono eseguite nelle stesse strutture, cioè le sezioni carcerarie, dove in entrambi i casi il lavoro tende a mancare, soprattutto per una cronica mancanza di fondi, nonché di personale carcerario.  

Altro profilo comune è l’applicazione dell’art. 41 bis al quale anche gli internati possono essere sottoposti (sentenza 197/2021). La stessa Corte costituzionale, seppur con un’ordinanza di carattere garantista, pone sullo stesso piano internato e reo: ad entrambi, anche in caso di rifiuto di collaborare con la giustizia, devono essere concessi benefici penitenziari quali i permessi premio o l’affidamento in prova al servizio sociale (corte cost. ordinanza 30/2023).  

Un altro profilo sicuramente critico è la durata indeterminata delle misure di sicurezza: spesso queste vengono prorogate più volte, anche in mancanza di alta pericolosità sociale, per l’assenza di una rete sociale adeguata pronta a riaccogliere l’internato.

Proprio per limitare questa “catena” di proroghe, nel 2014 è entrata in vigore una legge che prevede un tetto massimo alla durata.  

L’introduzione di questo limite è sicuramente riconducibile anche al lavoro della commissione d’inchiesta parlamentare del 2011 sugli ospedali psichiatrici giudiziari, cioè strutture ospedaliere finalizzate all’esecuzione delle misure detentive per gli internati incapaci di intendere e volere. L’inchiesta, oltre ad aver constatato la fatiscenza e insalubrità degli edifici e l’assoluta inidoneità dei trattamenti terapeutici, ha rivelato che diverse persone lì detenute avevano ormai il diritto di essere “dimesse”, ma, nonostante ciò, era stata prorogata loro la misura per una mancanza di luoghi in cui poter essere trasferiti e curati adeguatamente.

In quegli stessi anni anche la Corte costituzionale è intervenuta più volte, finché nel 2015 gli o.p.g. sono stati definitamente chiusi e sostituiti con le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Una parziale eccezione in questo panorama estremamente critico è la colonia agricola di Gorgona, l’ultima isola-carcere d’Europa, situata nell’arcipelago toscano.  

Qui il sovraffollamento carcerario, altrove ben noto, non è riscontrabile: a giugno 2023 erano presenti 68 detenuti a fronte di 89 posti regolamentati. Altro tratto positivo è che tra il 2020 e il 2023 sono state introdotte delle modifiche nelle attività svolte, tra cui, su richiesta degli stessi detenuti, l’abbandono del macello degli animali allevati, che aveva una connotazione violenta.   

È stata inoltre introdotta l’attività di guida turistica per gli escursionisti che prenotano una gita in giornata sull’isola, nella quale non è comunque permesso il pernottamento poiché le uniche strutture sono di pertinenza carceraria.  

Ma in una visione d’insieme questo spiraglio di luce nel territorio italiano non è sufficiente.  

I problemi rimangono molti: le colonie agricole (4 in Italia) sono collocate in luoghi remoti e di conseguenza sono molto isolati, i colloqui con i familiari diventano molto difficili, la presenza dei volontari è rara. Inoltre, negli ultimi decenni c’è stata una riduzione di strutture, progetti e personale stanziale.  

Pertanto, tutte queste problematiche riducono le misure di sicurezza ad una mera detenzione, incapace nel concreto di raggiungere lo scopo di reinserimento sociale. 

Gaia Bassanini
Mi chiamo Gaia e nella vita cerco di capire cosa voglio fare da grande, nel frattempo cucino, mi faccio incuriosire da ciò che non conosco e provo a capire cosa ci sta dietro. Mi affascinano i testi scritti bene e le persone che conoscono tanti aneddoti. Nel resto del mio tempo studio giurisprudenza.

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