Del: 22 Maggio 2024 Di: Redazione Commenti: 0

“L’unica democrazia del Medioriente. Israele tra storia e diritto Internazionale.” questo il nome del convegno, in programma all’Università Statale di Milano il 7 maggio, rimandato a giugno dalle stesse associazioni promotrici Italia Israele e Pro Israele

Il motivo? Non ci sarebbero le condizioni per svolgere il convegno in sicurezza. 

Eppure una soluzione il rettore Franzini sembrava averla trovata: ricorrere alla modalità on-line così da evitare i possibili scontri previsti dalla Digos. Ciò evidentemente non basta per la responsabile dell’associazione Italia Israele di Savona, Cristina Franco, secondo cui coloro che protestano impedirebbero lo svolgersi di un «civile dibattito», arrivando persino a dichiarare che «non c’è più democrazia». La dottoressa Franco non ha tutti i torti: probabilmente il dibattito non sarebbe stato civile, anzi, probabilmente non ci sarebbe stato affatto, con o senza contestatori. 

Ma anche lasciando all’avvocatessa il beneficio del dubbio, sorgono spontanei altri dubbi: un dibattito online è comunque un dibattito, perché non accettare la proposta del rettore? Che la stessa modalità telematica sia lesiva della democrazia? Sarebbe stato preferibile svolgere l’incontro in un ateneo presidiato dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa? 

In questi giorni la cronaca è invasa da notizie sulla repressione dei movimenti Pro-Palestina: dallo smantellamento dei presidi alla Columbia e alla UCLA, allo sgombero del sit-in pacifico alla facoltà di Scienze Politiche (Sciences Po) di Parigi, per non parlare delle numerose manifestazioni che in Italia sono state represse a suon di manganelli, senza che il governo o la polizia dovessero risponderne. 

Appare dunque doverosa la scelta del rettore di non far svolgere l’incontro in presenza, essendo la sua prima responsabilità quella di tutelare la sicurezza dei propri studenti. Meno doverosa appare invece la scelta delle organizzazioni promotrici di rimandare l’evento: se il convegno ha lo scopo di dibattere sulla storia e sul futuro di Israele è questo il momento giusto, se invece lo scopo – come il titolo del convegno sembra suggerire  –  è quello di affermare nuovamente il supposto primato dello stato israeliano sugli stati limitrofi in campo democratico allora, a giudizio di chi scrive, tale incontro non dovrebbe svolgersi in un’Università statale. 

Non che il tema non meriti di essere approfondito. 

La natura e il funzionamento della democrazia israeliana sono di grandissima rilevanza ed è sempre un esercizio positivo partire da uno slogan politico e sviscerarne i significati e i fini nascosti. Il rischio, tuttavia, è quello di utilizzare uno slogan come un dato politico incontrovertibile, su cui basare ulteriori speculazioni che, in questo caso, risulterebbero unicamente in una celebrazione dello stato israeliano. 

Dopotutto le pagine social delle associazioni Italia Israele e Pro Israele non pullulano certo di appelli alla ragione o alla moderazione né tantomeno di considerazioni critiche nei confronti delle politiche di Netanyahu. Fanno sorridere, dunque, le parole della dottoressa Franco secondo cui i manifestanti impedirebbero il civile dibattito, soprattutto alla luce di quanto avvenuto circa due mesi fa quando un piccolo gruppo di manifestanti Pro Israele composto da Adi (Amici di Israele), Ampi (Associazione Milanese Pro Israele) e Museo della Brigata Ebraica si è riunito davanti alla sede di Scienze Politiche in Via Conservatorio a Milano per protestare contro un convegno intitolato  «Una terra senza pace: la questione israelo-palestinese», reo di istillare negli studenti del «populismo pro Pal». 

Certo, in quel caso il convegno non fu rimandato e scontri non ce ne furono, tuttavia non bisogna dimenticare che in due mesi le tensioni sono enormemente cresciute e ciò anche a causa di una disastrosa gestione dell’apparato di sicurezza da parte delle forze dell’ordine, la cui risposta violenta alle agitazioni di piazza non ha fatto altro che radicalizzare un movimento  – quello pro Palestina – estremamente eterogeneo, in cui coesistono anime diverse, di cui alcune sono purtroppo dedite più alla sommossa che al dialogo.

In ogni caso non sono in alcun modo condivisibili le offese, le minacce, le aggressioni verbali e fisiche subite da alcuni noti sostenitori di Israele, come non lo sono quelle rivolte alla controparte. In un clima del genere sarebbe difficile tenere qualsiasi dibattito, anche per le menti più calme e votate al compromesso. Se poi una delle due parti può organizzare convegni, eventi e manifestazioni protetta da nugoli di poliziotti mentre l’altra è accusata di antisemitismo ad ogni piè sospinto è chiaro che la conversazione è destinata a tramutarsi in scontro

Per evitare ciò non bastano gli appelli alla calma e alla moderazione come non basta la miriade di dibattiti televisivi sull’argomento. È necessario organizzare incontri che spingano partecipanti e spettatori a riflettere davvero su temi e dati senza arroccarsi sulle posizioni di partenza. È necessario, in attesa di risvolti internazionali, che le parti smettano di accusarsi a vicenda e trovino un terreno comune in cui esprimere le proprie rivendicazioni senza soffocare la controparte. È necessario, forse, ritrovare una maggior lucidità e una maggiore distanza dal tema in questione, coscienti che il protrarsi di uno scontro senza quartiere finirebbe per privarci di parte delle nostra umanità.

Articolo di Giacomo Pallotta

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