Evan Gershkovich, giornalista, aveva 31 anni quando è stato arrestato in Russia, mentre svolgeva il suo lavoro di reporter per conto del Wall Street Journal (WSJ).
Era il 29 marzo 2023.
Statunitense, figlio di una coppia emigrata dall’allora Unione Sovietica negli Stati Uniti, Gershkovich scriveva per il WSJ dal 2022: già in precedenza aveva incentrato il proprio lavoro di reporter soprattutto sulla Russia, grazie anche al proprio bilinguismo, collaborando con Agence France Presse e con il The Moscow Times.
Nel novembre 2023, lo stesso The Moscow Times venne accusato dalle autorità russe di diffondere «informazioni false», volte a costruire una cattiva immagine dello Stato, e di essere un «agente straniero»: l’accesso al suo sito web venne bloccato.
Non è dunque sorprendente che Gershkovich sia finito nel mirino della sistematica repressione della libertà di stampa operata nella Federazione Russa: già nel febbraio 2022, pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione del territorio ucraino ordinata dal Presidente russo Vladimir Putin, Amnesty International denunciava un aggravamento della censura contro «gli organi d’informazione nazionali», operata anche per mezzo dell’organismo di controllo federale delle comunicazioni Roskomnadzor, e la messa a tacere delle proteste interne.
Il processo contro Gershkovich è iniziato proprio lo scorso mercoledì 26 giugno in Russia, nella città di Ekaterinburg, dov’era stato arrestato dal Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa (FSB), erede del KGB.
L’accusa è quella di spionaggio: secondo le autorità russe, Gershkovich avrebbe raccolto informazioni su una struttura industriale militare per conto dell’America’s Central Intelligence Agency (CIA). L’incriminazione ufficiale è giunta lo scorso 13 giugno.
Tuttavia, nessuna prova è stata fornita durante i 15 mesi che il giornalista ha trascorso nel carcere di Lefortovo, a Mosca, adibito alla reclusione di politici e giornalisti che si oppongono al regime russo fin dalla rivoluzione bolscevica (1917). Spesso la detenzione a Lefortovo, che dovrebbe essere cautelare, viene prolungata per anni. Inoltre, secondo l’avvocato russo Vadim Prokhorov, le condizioni all’interno della prigione sono durissime e prevedono un isolamento quasi assoluto dei detenuti, all’interno di celle anguste.
Lo stesso Gershkovich si è visto riconfermare più e più volte la custodia – nel corso di udienze a porte chiuse – prima dell’inizio effettivo del procedimento: ha del resto scarsissime possibilità di ottenere l’assoluzione e soprattutto di veder rispettato il proprio diritto ad un giusto processo. Anche quest’ultimo, come riportato tra gli altri da BBC, si svolgerà inoltre a porte chiuse.
L’editore e la redattrice capo del Wall Street Journal, Almar Latour ed Emma Tucker, chiedono ora che il governo statunitense aumenti i propri sforzi per ottenere il rilascio di Gershkovich:
«Evan ha passato 441 giorni ingiustamente detenuto in una prigione russa, per aver semplicemente fatto il suo lavoro. Evan è un giornalista. La diffamazione di Evan da parte del regime russo è ripugnante, disgustosa e basata su bugie calcolate ed evidenti. Il giornalismo non è un crimine. Il caso di Evan è un assalto alla stampa libera».
L’unica possibilità per Gershkovich di ottenere la liberazione non passa però per la via giudiziaria, bensì per quella diplomatica:
già nel febbraio 2023, il Presidente russo Vladimir Putin aveva lasciato intendere la propria disponibilità ad accettare uno scambio di prigionieri.
Gershkovich, insieme all’ex marine Paul Whelan, che sta scontando in Russia 16 anni di reclusione in una colonna penale sempre per il reato di spionaggio, potrebbero rientrare negli Stati Uniti qualora le autorità statunitensi e insieme tedesche accettino di restituire alla Russia Vadim Krasikov, che sta scontando una condanna all’ergastolo in Germania.
In qualità di agente russo, infatti, nel 2019 Krasikov uccise a Berlino, a colpi di arma da fuoco, l’esule Zelimkhan Khangoshvili, ex comandante delle forze separatiste cecene.
Pare che il Presidente statunitense Joe Biden e il Cancelliere tedesco Olaf Scholz avessero inoltre valutato la possibilità di alzare la posta in gioco chiedendo anche, in cambio del rilascio di Krasikov, la liberazione dell’oppositore russo Alexei Navalny, allora recluso nel carcere di massima sicurezza IK-3, nell’Artico. Ma circa una settimana più tardi, il 16 febbraio 2024, fu comunicata la morte di Navalny, da subito considerata un assassinio politico.
Impossibile non paragonare il caso Gershkovich, accusato di spionaggio nella Federazione Russa, a quello di Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, accusato di spionaggio negli USA e di fatto liberato grazie ad un patteggiamento raggiunto il 25 giugno, un giorno prima dell’inizio del processo contro Gershkovich.
A fronte delle sentite battaglie condotte da Amnesty International in favore della tutela della libertà di stampa, con particolare impegno e attenzione rivolti proprio ad Assange, la copertura del caso Gershkovich appare quantomeno insufficiente.
Poche righe sono infatti dedicate al giornalista all’interno di un più lungo e generale rapporto sullo status dei diritti umani, civili e politici all’interno della Federazione Russa: ma nessuna strutturata campagna di sensibilizzazione, nessuna petizione è stata ancora lanciata.
Lo stesso vale per Alsu Kurmasheva, la cui situazione, seppur definita dalla stessa Amnesty un «duro avvertimento per tutti i giornalisti russi che lavorano per media stranieri e coprono la guerra in Ucraina», è stata poi lasciata cadere nel silenzio.
Kurmasheva, giornalista di Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL) con doppia cittadinanza statunitense e russa, si occupava prevalentemente delle trasmissioni in lingua tatara e bashkir, parlate dalle minoranze delle Repubbliche del Tatarstan e del Bashkortostan. Queste ultime fanno parte dell’estesissima Federazione Russa ma hanno uno status diverso rispetto ad altre unità amministrative, come gli oblast’, godendo almeno su carta di una maggiore autonomia. Le repubbliche sono inoltre abitate da minoranze di etnia non russa e non di rado sono protagoniste di moti separatisti.
Anche Kurmasheva è stata arbitrariamente arrestata nell’ottobre 2023, mentre era in visita alla madre malata nella città di Kazan, nella Repubblica del Tatarstan, e da allora detenuta mediante la medesima tattica adottata con Gershkovich: il prolungamento della sua custodia nel corso di udienze a porte chiuse.
Kurmasheva è accusata di non essersi registrata come «agente straniero» e di aver preso parte alla pubblicazione del libro Dire no alla guerra, quaranta storie di russi che si oppongono all’invasione russa dell’Ucraina, diffondendo in tal modo «informazioni false» sulle forze armate russe.
Dovremmo tenere alta l’attenzione sul caso Gershkovich e sul caso Kurmasheva, così come su qualunque altro caso di giornalistə ingiustamente accusatə, repressə, incarceratə, qualunque sia l’autorità responsabile della violazione dei loro – e dei nostri – diritti. Anche qualora questə giornalistə non siano i protagonisti della narrazione mainstream, che tende per sua natura ad elevare un singolo e a dimenticarne mille.
La libertà di stampa ed espressione non dovrebbe valere egualmente per tutti e ovunque?