Del: 23 Luglio 2024 Di: Clara Molinari Commenti: 0
Abuso d'ufficio, un reato da abrogare?

199 voti a favore, 102 contrari, nessun astenuto. Così il 10 luglio la Camera dei deputati ha definitivamente approvato il disegno di legge presentato dal Ministro della giustizia Nordio e dal Ministro della difesa Crosetto, che reca modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare. Il ddl si compone di nove articoli, ma ad infiammare i toni e a costringere a prese di posizione immediate è stato il primo, che, con una modifica del codice penale, prevede l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio: «l’art. 323 è abrogato». Per alcuni una vittoria, per altri l’apertura di un rischioso vuoto normativo. L’opinione dei cittadini e degli esperti è già divisa e spinge a soffermarsi sulla questione più dibattuta: era necessario eliminare questo reato?

L’abuso d’ufficio di cui all’art. 323 del codice penale si configura nel caso in cui un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, procuri con intenzione a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale o arrechi ad altri un danno, violando la legge od omettendo di astenersi da una decisione quando coinvolto in un conflitto di interessi.

Questo articolo è stato oggetto di una serie di riforme legislative (nel 1990, 1997, 2012, 2020) che hanno di volta in volta ridisegnato i confini della norma, per definirli in modo più preciso. Ma il 15 giugno 2023, con l’approvazione del ddl presentato da Nordio da parte del Consiglio dei ministri, ha preso avvio l’iter che ha portato, il 10 luglio scorso, alla soppressione del reato. 

Il motivo della decisione emerge dalla relazione al ddl: si afferma come l’iniziativa governativa abbia preso le mosse dall’esigenza di «superare le criticità applicative del delitto di abuso di ufficio, rivelatosi inefficace» a fronte dell’esiguo numero di condanne dei soggetti pubblici, rispetto all’elevato numero delle iscrizioni nel registro degli indagati. Uno squilibrio tra numero dei procedimenti e quantità di condanne che ha spinto il governo a prendere la decisione tranchant di eliminare la norma.

L’eccesso di procedimenti avrebbe infatti come conseguenza la cosiddetta ‘paura della firma’: i pubblici amministratori, preoccupati dalla minaccia di incorrere in una sanzione penale, si vedrebbero paralizzati nelle loro scelte operative. «Lo stop all’abuso d’ufficio non è impunità, ma la possibilità di poter lavorare senza avere una spada di Damocle sulla testa che rischiava di creare enormi problemi ai sindaci e alla buona amministrazione» ha affermato Tajani (FI).

I sindaci sono stati presentati, da politica e stampa, come i principali destinatari della disposizione che incrimina l’abuso d’ufficio. Su questo terreno sono nate le prime divisioni. I risultati di una ricerca condotta presso l’Università degli Studi di Milano infatti contraddicono questa percezione: i procedimenti avviati toccherebbero in misura superiore altri soggetti pubblici come medici, professori universitari, magistrati.

Come giustificare allora l’abrogazione della norma in relazione a questi soggetti? 

Ma anche perseguendo come unico obiettivo quello di evitare la paura della firma, è ragionevole togliere al giudice penale il compito di occuparsi di queste forme di abuso? Il ddl Nordio lascerà dietro di sé un vuoto di tutela? Nella relazione al ddl si afferma che l’abrogazione del delitto non lascerà dietro di sé alcun vuoto, dal momento che i comportamenti abusivi dei soggetti pubblici potranno essere ricondotti ad altri reati già previsti dal nostro ordinamento.

Di diverso avviso il Professore di Diritto penale Gian Luigi Gatta, secondo il quale con l’abrogazione della norma potrebbero non essere più sanzionate almeno tre condotte, con ricadute negative dal punto di vista della prevenzione: le condotte di ‘abuso di vantaggio’ («è il caso per esempio di chi vuole truccare un concorso, per assumere magari in un ente pubblico la sua amante o il figlio di un amico, e per questo viola le procedure di concorso»); quelle di ‘abuso di danno’ («come quando un cittadino che ha il diritto di costruire su un terreno si vede negato questo diritto da un amministratore locale per un motivo futile o ingiustificato») e quelle del pubblico ufficiale che compia atti in un ambito nel quale abbia interessi personali. 

È la prevenzione il punto su cui fanno leva diversi esperti del settore, critici nei confronti dell’iniziativa governativa: il sistema penale ha anche una finalità preventiva, quella di disincentivare la commissione di reati. Come sottolineato dal Professore di Diritto penale Massimo Donini, non avere il timore di una denuncia (a fronte dell’intervenuta abrogazione) rischia di dare il via libera alle pulsioni più prevaricatrici da parte dei pubblici ufficiali: «Chi potrebbe sentirsi protetto – si chiede Donini – da una legislazione priva dell’abuso di ufficio nella parte in cui punisce la volontaria violazione di legge commessa dal soggetto pubblico, che rechi intenzionalmente a terzi un danno ingiusto? Credo solo il pubblico ufficiale che abusa».

Per superare il problema della ‘sindrome della firma’ legata al reato di abuso di ufficio non sono mancate proposte anche da chi ha accolto criticamente l’iniziativa governativa di abrogazione. L’alternativa avanzata da Gatta è quella di una riformulazione della figura di reato: una ridescrizione della norma accompagnata da interventi in sede extrapenale, che consentano di rendere più semplice e chiara la regolamentazione amministrativa. Mettere i funzionari pubblici nelle condizioni di sapere cosa possono firmare o meno grazie a più chiare regole amministrative, questa è l’idea.

Proposta avanzata anche dalla leader dem Elly Schlein: «Sull’abuso d’ufficio noi non siamo per l’abrogazione, siamo sicuramente disponibili al confronto su una riforma che possa delineare meglio la fattispecie ed evitare anche degli effetti distorsivi, però non l’abrogazione».

Quanto alle possibili conseguenze dell’abrogazione, altra parte della dottrina penalistica ha messo in luce un punto diverso rispetto a quello dell’apertura di un vuoto normativo: il rischio che situazioni prima riconducibili all’abuso di ufficio siano ricondotte a reati più gravi previsti dal nostro ordinamento. Con il contraccolpo, inevitabile, di arrivare a un risultato diametralmente opposto rispetto a quello perseguito dal ddl Nordio: la volontà di limitare le ingerenze della magistratura nell’attività dei pubblici amministratori finirebbe per essere vanificata da un aumento di contestazioni per fatti più gravi. 

Preoccupazione avanzata in un primo momento anche da Giulia Bongiorno (Lega) – presidente della Commissione Giustizia – secondo la quale abolire il reato non ridurrebbe il numero di procedimenti, ma comporterebbe il rischio che le procure possano dare interpretazioni estensive ad altri reati contro la pubblica amministrazione, per compensare il venir meno dell’abuso d’ufficio. Ma anche dalla Lega è poi arrivato il via libera all’abrogazione, «alla luce dell’intenzione del ministro (Nordio) di rivisitare l’intera materia dei reati contro la Pa».

La questione è quindi dibattuta sotto più punti di vista.

Ma, data l’intervenuta decisione della Camera, non resta ora che attendere i prossimi sviluppi: ci saranno interventi normativi ulteriori? L’abrogazione aprirà un vuoto di tutela o comporterà un aumento dei processi per reati più gravi? Sono in molti a chiederselo. 

Clara Molinari
Studentessa di giurisprudenza, scrivo per dare ascolto ai miei pensieri e farli dialogare con l’esterno. Cinema e lettura sono le mie fonti di emozioni e conoscenza; la curiosità è ciò che lega il tutto.

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