Del: 16 Luglio 2024 Di: Nina Fresia Commenti: 0
Perché lasciare la propria casa? I primi cinque paesi per numero di persone migranti sbarcate in Italia

 «Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo chiedere io al luogo in cui vivo, ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso» dichiarava il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi nel febbraio 2023, commentando la strage di persone migranti sulla spiaggia di Cutro. Fermare le partenze è infatti l’obiettivo primario del governo di Giorgia Meloni: se nel primo semestre del 2023 gli arrivi erano più che raddoppiati rispetto al 2022, durante i primi sei mesi del 2024 si è verificata una contrazione del 60% rispetto ai dati record relativi allo stesso periodo dell’anno precedente.

Con un decreto promulgato a maggio, il governo italiano ha tentato di porre un ulteriore freno alle partenze allungando l’elenco dei paesi di origine delle persone migranti considerati come sicuri, che passano da 16 a 22. Sebbene per definire un paese come sicuro sia necessario dimostrare l’assenza di trattamenti disumani, degradanti e persecutori nei confronti della popolazione, spesso questo strumento giuridico è usato con una funzione prettamente politica: per disincentivare gli arrivi con l’introduzione di procedure più lunghe e complesse, i paesi da cui proviene un maggior numero di richiedenti asilo vengono inseriti nella lista di stati ritenuti sicuri.

Nello stesso quadro si inseriscono le iniziative che riguardano l’invio di ingenti somme di denaro a paesi nordafricani affinché vengano impedite le partenze dalle loro coste, grazie all’aumento dei controlli e dell’accettazione di cittadini rimpatriati forzosamente.

Sostenere che i paesi da cui arrivano le persone migranti sono in realtà sicuri, l’aumento delle espulsioni e il “riscatto” del paese in cui si vive celebrato da Piantedosi non sono altro che versioni aggiornate dello slogan “aiutiamoli a casa loro”: ma che cos’è veramente “casa loro”?

Proviamo allora a guardare un po’ più da vicino i primi cinque paesi per numero di persone sbarcate su suolo italiano nel 2023: conoscere i luoghi da dove fuggono è necessario per capire perché scappano e di cosa avrebbero davvero bisogno per essere aiutati.

Guinea

La Guinea è il paese da cui proveniva il più alto numero di persone migranti nel 2023 (più di 18mila). È originario del paese dell’Africa occidentale Ibrahima Balde, la cui storia è raccontata nel libro Fratellino, a più riprese citato da Papa Francesco. Balde, in realtà, non voleva abbandonare casa sua né il suo, per quanto precario, lavoro da camionista, ma è stato costretto a farlo per mettersi alla ricerca del fratello minore, partito alla volta dell’Europa in cerca di un futuro migliore.

Il paese è governato dalla giunta militare guidata da Mamadi Doumbouy, che detiene il potere da quando nel 2021 ha rovesciato con un golpe l’ex presidente Alpha Condé, fermato mentre tentava di prolungare la propria permanenza come capo del paese superando il limite costituzionale di due mandati. Doumbouy ha sempre sottolineato che il suo scopo è quello di traghettare la Guinea attraverso una transizione, i cui imprecisi obiettivi, in vista del termine fissato per la fine del 2024, sono lontani dall’essere raggiunti.

La repressione delle libertà di manifestazione ed espressione che ha portato il “fratellino” di Ibrahima Balde, così come migliaia di giovani guineani, a decidere di compiere una traversata pericolosa e potenzialmente fatale è resa ancora più forte dalle difficoltà socioeconomiche che attraversano il paese. La giunta militare, temendo la rabbia di una popolazione fiaccata dalla scarsa reperibilità di corrente elettrica e dall’aumento del prezzo di pane e benzina in seguito allo scoppio della guerra russo-ucraina, risponde con la forza a proteste e scioperi.

Tunisia

La Tunisia, da cui proviene l’11% delle persone migranti arrivate via mare in Italia, fa parte dell’elenco di paesi considerati come sicuri. Con un Memorandum d’intesa stipulato tra il paese governato da Kaïs Saïed e l’Unione europea, il presidente tunisino si è assicurato l’erogazione di 150 milioni di euro, a cui se ne potranno aggiungere progressivamente fino ad altri 900, vincolati però da alcune riforme che il governo di Tunisi dovrà implementare. In attesa che questi fondi vengano sbloccati, l’Italia si è impegnata con il Piano Mattei a fornire a Saïed 100 milioni di euro.

La Tunisia, in quanto principale paese di imbarco per le rotte verso l’Italia, è necessaria al governo Meloni per gestire il numero di arrivi: a Saïed viene infatti chiesto, in cambio degli ingenti finanziamenti offerti, di combattere l’immigrazione illegale e i trafficanti di esseri umani. Amnesty International ha tuttavia denunciato arresti e intimidazione da parte delle autorità tunisine nei confronti di chi opera in associazioni e organizzazioni impegnate a fornire supporto materiale, legale e psicologico a rifugiati e persone migranti. Le forze dell’ordine sono anche ritenute responsabili di trasferimenti collettivi illegali di uomini, donne e bambini migranti verso i pericolosi confini con Libia e Algeria.

A partire dalla costa sono anche cittadini tunisini, in fuga da un paese che ha fortemente aumentato la repressione nei confronti degli oppositori: a dicembre 2023, almeno quaranta persone considerate ostili al governo si trovavano in carcere. Ultimo in ordine di tempo è il caso dell’arresto e della condanna a un anno di carcere per l’avvocata Sonia Dahmani. Ma i tunisini decidono di migrare anche perché colpiti dalla crisi economica: senza essersi mai veramente lasciata alle spalle i duri colpi inferti dalla pandemia, l’economia tunisina fatica a rilanciarsi, scatenando il malcontento di una popolazione per cui il tasso di suicidio dal 2011 si è moltiplicato per 1,8.

Costa d’Avorio

La Costa d’Avorio, terza tra i paesi da cui provengono più persone migranti sbarcate in Italia, è stata sotto i riflettori tra il gennaio e il febbraio scorsi per aver ospitato e vinto la Coppa d’Africa, mostrando al mondo la qualità delle infrastrutture locali. Il paese guidato dal 2010 dal presidente Alassane Ouattara è infatti un’area di relativa stabilità in un contesto (cioè quello dell’Africa occidentale) frammentato e ostaggio di giunte golpiste, gruppi jihadisti e altri movimenti criminali. Si presenta infatti come il principale esportatore di semi di cacao, con più della metà della popolazione impiegata nel settore agricolo, ed è il paese subsahariano con il più alto reddito pro capite.

Perché fuggire allora? È in realtà difficile distinguere tra chi è partito dalla Costa d’Avorio e chi è originario del paese: si stima infatti che circa il 10% della popolazione sia composta da persone migrate da paesi confinanti in fuga da contesti difficili e prive di documenti. In alcuni casi si tratta di chi è presente sul territorio ivoriano da generazioni (cioè da quando negli anni Ottanta il governo ha iniziato a incoraggiare gli ingressi nel paese per sostenere l’economia e ingrossare le fila della manodopera) e sceglie di migrare perché escluso dagli effetti della crescita economica. Altri, invece, attraversano il paese scappando dal proprio (che sia il Burkina Faso o il Mali, entrambi controllati da regimi golpisti) e si dichiarano ivoriani al momento dello sbarco.

Bangladesh

La quarta nazionalità più dichiarata dalle persone migranti al momento dallo sbarco nel 2023 è stata quella bengalese, ma nel primo semestre di quest’anno i profughi provenienti dal Bangladesh sono i più numerosi (più del 20% del numero totale) tra quelli approdati in Italia. Il viaggio che devono affrontare prevede diverse tappe: con un aereo arrivano negli Emirati Arabi Uniti da dove, salendo su un altro volo, atterrano in Egitto o in Libia, pronti per essere caricati su una barca e attraversare il Mediterraneo. E le complicazioni aumenteranno anche dopo l’arrivo: il Bangladesh è infatti tra i paesi recentemente indicato dal governo italiano come sicuri.

Tra i motivi che spingono i bengalesi a intraprendere un percorso così impervio e costoso, vi è l’elevata vulnerabilità del Bangladesh rispetto agli eventi climatici estremi, come frane e alluvioni. La collocazione geografica del paese espone pericolosamente la popolazione ai disastri ambientali, mentre l’alta densità abitativa nelle grandi città facilita il propagarsi delle conseguenze dirette di eventi di questo genere (ad esempio, la diffusione di malattie o la scarsità di beni primari). Con due terzi del paese a meno di quattro metri sopra il livello del mare, l’innalzamento dei mari fa sì che l’acqua penetri in ampie aree del paese, distruggendo l’agricoltura e ampliando il numero di sfollati interni. Il Bangladesh, quindi, entro il 2050 sarà responsabile di 20 milioni di migranti climatici, una casistica destinata a vedere ingrossare le sue fila nei decenni a venire.

All’impatto dei disastri climatici, vanno poi aggiunti l’alto tasso di povertà (che dopo la pandemia ha superato il 40%), un governo autoritario e repressivo e il dramma dei rifugiati Rohingya (si stima che siano più di un milione nel paese).

Egitto

Sono poco più di 11mila le persone sbarcate in Italia nel 2023 provenienti dall’Egitto, paese che nel maggio 2024 è entrato a far parte della lista dei paesi sicuri secondo il governo italiano.

L’Egitto, guidato dal 2014 da Abdel Fattah al-Sisi, sta affrontando una grave crisi economica che spinge la sua popolazione, specialmente quella più giovane, a scegliere la fuga. Un terzo degli egiziani vive ai limiti o al di sotto della soglia di povertà, in un contesto di svalutazione della sterlina egiziana, di un’inflazione che tocca il 30% e di aumento dei costi per le importazioni alimentari dovuto al conflitto in Ucraina. Per contrastare le difficoltà sul fronte economico, il governo del Cairo conta sugli aiuti delle monarchie del Golfo e sui prestiti del Fondo monetario internazionale, che però richiedono ad al-Sisi, ex generale la cui ascesa e permanenza al potere è garantita dal supporto dell’esercito, di ridurre la presa dei militari sull’economia del paese.

Infine, dall’Egitto si scappa anche per un’altra crisi, cioè quella dei diritti umani: secondo quanto riportato da Human Rights Watch, sono almeno 60mila i prigionieri politici detenuti nelle carceri egiziane. I tribunali possono decidere di imporre lunghe detenzioni preventive e di rilasciare poi i detenuti (come accaduto a Patrick Zaki). Altre volte, invece, i prigionieri spariscono nel nulla o vengono ritrovati uccisi, dopo aver subito torture e soprusi dagli agenti di polizia (e questo è quello che è accaduto a Giulio Regeni).

Per quindi si decide di lasciare una casa? Le persone migranti decidono di partire per fuggire dalla povertà, trovare un lavoro migliore, godere di più libertà e diritti, evitare incarcerazioni arbitrarie o scappare da minacce ambientali ineludibili. Forse alcuni partono per poi tornare e migliorare le cose a casa propria con rinnovate risorse. O magari c’è chi scappa per non tornare mai più e trovarsene una nuova di casa. Oppure qualcuno va via perché casa non esiste più e deve faticosamente costruirsene una altrove.

Nina Fresia
Studentessa di scienze politiche, curiosa per natura, aspirante giramondo e avida lettrice con un debole per la storia e la filosofia. Scrivo per realizzare il sogno della me bambina e raccontare attraverso i miei occhi quello che scopro.

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