Lo scorso luglio, il più noto romanzo di Elena Ferrante, L’amica geniale, da cui è stata tratta anche una serie televisiva firmata da Saverio Costanzo alla regia, è stato eletto “miglior libro del Ventunesimo secolo” dal New York Times. Una giuria costituita da circa cinquecento elementi, tra autori e letterati internazionali, ha infatti passato in rassegna tutti i volumi pubblicati dal 1° gennaio del 2000 fino a oggi.
Molto apprezzato oltreoceano al momento della pubblicazione, ma decisamente meno in patria dove sarà riscoperto solo successivamente, L’amica geniale è un ciclo di quattro romanzi che coinvolge sin dalle prime pagine, che esplorano l’essere donne in un periodo di profondi cambiamenti socio-culturali, in un modo mai visto prima. Infatti possiamo considerare i quattro libri una sorta di quadro dove sono raffigurati i passaggi fondamentali della vita di ogni donna. Nei quattro libri si segue la crescita delle due protagoniste, Elena e Lila, caratterialmente molto diverse, le cui vicende si intrecciano per tutta la vita: prima durante la cupa infanzia e l’adolescenza, trascorse in un rione della periferia di Napoli, poi nell’età adulta, in giro per l’Italia e per il mondo.
Ciò che colpisce maggiormente è il forte realismo degli ambienti descritti. In particolare nel primo libro (L’amica geniale appunto, del 2011) le descrizioni delle dinamiche delle famiglie protagoniste sono estremamente caratterizzate, a tal punto che nelle pagine che precedono l’inizio del romanzo è presente una vera e propria “legenda” riassuntiva dei principali nuclei familiari dei vari personaggi. In questo modo il lettore può immergersi completamente nel contesto rionale.
Ma perché L’amica geniale merita assolutamente di essere letto?
Innanzitutto leggere Elena Ferrante significa affacciarsi a una nuova frontiera dell’essere donna e madre. Come in altri libri dell’autrice (ad esempio La figlia oscura, del 2006) il ruolo della madre non è mai unilaterale e piatto, limitato a una figura di cura e dolcezze, ma un personaggio carico di segreti, contrasti ed emozioni taciute. La madre di Elena, Immacolata, è uno dei personaggi più complessi dell’opera. “Imma” ama sua figlia e desidera il meglio per lei, ma non riesce ad andare oltre la distanza culturale intrapresa da Elena durante i suoi studi universitari alla Normale di Pisa.
Allo stesso modo Elena non vive un rapporto disteso con le figlie e nemmeno con il marito Pietro, che la renderà prigioniera di stereotipi già subiti durante l’infanzia al rione e che in passato aveva tentato invano di eliminare. Per non parlare del complesso rapporto che lega Lila a sua figlia Tina, e che spronerà la madre a cercare incessantemente quest’ultima dopo la sua scomparsa, in alcune delle pagine più strazianti di Storia della bambina perduta (2014), l’ultimo romanzo del ciclo.
Un altro aspetto doloroso per le protagoniste della storia è legato all’essere nate nel rione. Sia Lila che Elena, non con poche difficoltà, riescono a emanciparsi dai pregiudizi radicati in quell’ambiente sociale, rimanendo però vittime delle figure maschili della loro infanzia, e delle loro trame. Lila, ragazza carismatica dotata di un’intelligenza fuori dal comune, non può permettersi di proseguire gli studi a livello accademico (come invece farà Elena), a causa delle ristrettezze economiche della famiglia e della mentalità controllante del padre calzolaio.
Anche il rapporto delle due ragazze con la sessualità è estremamente complesso e trattato da Ferrante in maniera magistrale.
Il sesso viene vissuto come atto di puro godimento solo da Elena, quando dopo anni si riunisce con Nino, emblema dell’uomo ingannatore e traditore – esattamente come il padre Donato. Nemmeno una figura maschile come Pietro, più istruito degli uomini del rione, riesce infatti a concepire un rapporto carnale come qualcosa di più di un atto strettamente procreativo, ribadendo implicitamente l’equazione “donna = madre” da cui le protagoniste cercano di slegarsi.
Lila, dal canto suo, soffre sin dai primi libri una vera e propria violenza (tanto carnale quanto sociale) da parte degli uomini che la circondano, arrivando a non riuscire più ad accettare dentro di sé uomo alcuno. Nino la criticherà crudamente per questo fatto, definendola «una donna fatta male, anche nel sesso» – e sarà proprio quest’affermazione a gettare un raggio di consapevolezza in Elena sulla vera natura del suo amante.
Completamente assorbite nella terribile logica del rione, le madri delle due ragazze non riescono a proteggere e liberare le loro figlie. In un passaggio a tal proposito significativo del primo libro, una giovane Elena riflette sulla rabbia viscerale che investe e “sporca” le loro madri, immaginandola come un fumo nerastro che esce dai tombini e viene respirato durante la notte. È la stessa rabbia che Imma rivolgerà a Elena al suo ritorno al rione, quando la accuserà di non essere stata sufficientemente altruistica come sua sorella minore, Elisa (che nel frattempo ha sposato il rampollo di un ricco clan del rione, Marcello Solara). «Elisa non è come te, Elisa pensa a tutti noi», saranno le dure parole della madre.
In questa cruda cornice di contraddizioni, l’unica risorsa delle due donne sono loro stesse, reciprocamente; Lila è il luogo di Elena ed Elena è un luogo di Lila, anche quando non si trovano fisicamente insieme. Un primo “allontanamento” tra le due ragazze risale agli anni delle scuole secondarie: mentre Elena si dedica agli studi liceali, l’amica è incastrata in un tragico matrimonio con Stefano Carracci. La distanza tra loro diventa effettiva dopo il trasferimento di Elena in Toscana, prima per frequentare la Normale e poi per costruirsi una famiglia con Pietro.
Attraverso le loro differenze, le protagoniste si arricchiscono vicendevolmente sin da bambine: è proprio il fuoco di Lila ad accendere in Elena la necessità di scrivere la loro storia. Il loro continuo ritrovarsi è ciò che le aiuta ad andare avanti e a diventare le donne che sono.
Leggere L’amica geniale significa quindi addentrarsi in una storia coraggiosa, aggressiva e commovente, ma soprattutto reale, i cui personaggi lasciano talmente il segno da rendere doloroso il distacco del lettore, terminato l’ultimo libro. Un’avventura talvolta mesta, ma sempre carica di forza e di grandi meraviglie.
Tornando all’elogio ricevuto lo scorso luglio dal New York Times, non stupisce che quest’opera si sia classificata come prima, nonostante la mole di volumi pubblicati negli ultimi 24 anni. L’amica geniale è considerato tra i migliori esempi di autofiction, uno dei principali generi emergenti del nostro tempo. Frequenti nel romanzo sono i rimandi all’infanzia napoletana, presenti peraltro anche in altri lavori di Elena Ferrante. E il coinvolgimento emotivo e la minuzia con cui sono descritti certi particolari delle esperienze sessuali delle protagoniste lasciano intendere che a raccontarle sia proprio una voce femminile, suggerendo che dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante ci sia effettivamente una donna.
Articolo di Alice Pozzoli
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