Del: 11 Settembre 2024 Di: Erica Turturro Commenti: 0

Per affrontare ancora una volta il discorso «giovani e lavoro», ormai ampiamente sdoganato, basterebbe partire da un semplice dato ISTAT, quello sull’occupazione nella fascia d’età 25-34 anni, l’unica ad aver subito un calo a fronte di un – seppur timido – trend positivo che ha interessato il 2024. Potremmo procedere ad una rapida analisi degli elementi statistici e concludere che la disoccupazione giovanile rimane un grave problema in Italia, soprattutto messa a confronto con i dati provenienti da altri paesi europei. Tuttavia accantonare la questione affermando che c’è lavoro ma i giovani non vogliono scendere a compromessi o che, al contrario, non vi è abbastanza offerta rispetto ai numeri della nuova leva significherebbe affidarsi a una visione semplicistica e parziale della realtà.

Per comprendere meglio il disallineamento che sembra essersi creato fra le proposte del mercato del lavoro e gli aspiranti lavoratori la parola chiave è aspettative. Se i datori di lavoro listano una serie di requisiti che individuano il profilo perfetto per la posizione offerta e procedono ad una scrematura delle candidature ricevute, anche la nuova forza lavoro si affaccia alla ricerca di un impiego con una serie di aspettative che spera di soddisfare, se non completamente, almeno in buona quantità. Una maggiore consapevolezza di quali siano le priorità in quanto aspirante lavoratore o lavoratrice sono uno dei motivi per cui chi tenta un primo inserimento, avendo appena concluso il percorso scolastico, ha già ben in mente ciò su cui difficilmente transigerebbe. Fra le esigenze più importanti che sono state portate in luce negli ultimi anni figurano sicuramente il benessere e la salute mentale; ciò si traduce nella ricerca di un posto di lavoro che garantisce un buon compromesso fra impegni personali e vita lavorativa. Un’azienda che si dimostra attenta a questo aspetto e che offre un buon equilibrio tra tempo libero e ore di lavoro verrà sicuramente preferita ad un’azienda che punta principalmente sulla (over)produttività.

Sempre più spesso chi ha la possibilità di valutare più opzioni non sceglie automaticamente quella più remunerativa.

La competitività si misura ̶ o si dovrebbe misurare̶ anche attraverso il welfare aziendale e i benefit che vengono proposti. Pianificazioni e agevolazioni ad hoc per diverse categorie di lavoratori danno un’immagine di sé e dalla propria attività più inclusiva e comprensiva; così anche lo smart working, che la pandemia ha contribuito a trasformare in pratica comune e ora viene incontro soprattutto a chi risiede lontano dal proprio posto di lavoro. La sostenibilità, ovvero l’impegno a rendere la propria azienda green e attenta all’ambiente, è un’altra questione di rilievo, che dovrebbe diventare sempre più rilevante man mano che ci si avvicina alle nuove generazioni. D’altro canto, sono temi altrettanto importanti anche la valutazione qualitativa del lavoro ̶ ovvero la soddisfazione che si ha nel svolgerlo̶ , la parità di genere e la meritocrazia. Sapere che chi somministra il lavoro è in grado di riconoscere e premiare il merito garantisce una possibilità in più di spaziare e avere prospettive di crescita a qualsiasi stadio della propria vita lavorativa.

In linea di principio si tratta di qualità che le aziende non sono sempre state abituate a privilegiare, ma che ad oggi rientrano fra le aspettative, o addirittura fra i requisiti, che rispecchiano l’ambiente ideale in cui iniziare a lavorare.

Sempre più nello specifico, è possibile notare un altro motivo di disequilibrio fra la categoria dei neolaureati e il mondo del lavoro. Questo risiede nella differenza fra il tipo di studi che offrono le università (eccezion fatta per gli indirizzi più intuitivi) e quello che era la preparazione scolastica di qualche decennio fa. Non è difficile che recruiter e datori di lavoro di due o tre generazioni addietro non sappiano più con esattezza a quali competenze corrispondano i titoli di studio universitari di oggi.

Questo crea spesso delle aspettative da entrambe le parti, che non trovano corrispondenza nella realtà.

Non da ultimo, se ci si confronta nuovamente con il passato, non si può che notare come le cose siano cambiate anche nel rapporto con le tipologie di contratti e con le retribuzioni, poiché resta innegabile che la ragione principale dietro la ricerca di un posto di lavoro sia l’esigenza economica. Se prendiamo in paragone la generazione dei nostri genitori, l’offerta, le modalità di assunzione e i compensi in posizioni junior o entry level sono cambiate molto: complice il periodo storico degli ultimi trent’anni, con le sue difficoltà e le sue manchevolezze. In questo caso il disallineamento di cui si è parlato finora è reso ancora più evidente dal crescente divario fra le aspettative e le necessità contingenti della nuova classe lavoratrice e ciò che il mercato delle assunzioni è disposto a offrire.

Erica Turturro
Classe 98, alle prese con la magistrale di lingue. Abitudinaria ma curiosa, un po’ nerd, sognatrice di notte e razionale di giorno, colleziono ricordi.

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